Muoiono sempre i soliti

Continua la serie di incidenti sul lavoro, una serie impressionante di “incidenti”. A Rovigo, in una fabbrica che si occupa del trattamento dei rifiuti industriali, due operai e il conducente dell’autocisterna sono morti sul colpo per le esalazioni tossiche, un quarto cadavere rinvenuto mentre i vigili del fuoco bonificavano l’area. Grave un quinto dipendente. Potrebbe esserci un errore umano all’origine della tragedia, ma secondo la Procura “non sono state rispettate le norme della linea produttiva”. In provincia di Ravenna due operai sono morti a causa del cedimento di una porzione di una parete in un capannone. Secondo le testimonianze raccolte dai vigili del fuoco intervenuti sul posto per verificare che non vi siano altre persone coinvolte, i due erano impegnati nella costruzione della struttura, posizionati su una piattaforma aerea che è stata devastata dal pesante manufatto, schiacciati da una trave che stava per essere montata sulla sommità del nuovo capannone.

Alla Raffineria di Milazzo una vasta nube nera si è alzata nel cuore della notte a causa di un incendio, per fortuna senza vittime dirette, (ma dei fumi neri e particolato, ne vogliamo parlare?) che ha bruciato per circa 12 ore, all’interno di una cisterna piena a metà di virgin nafta (semilavorati di benzina). Alcune indiscrezioni non confermate dai dirigenti della raffineria dicono che il serbatoio andato fuoco presentava alcune anomalie.

Solo qualche anno fa la strage alla ThyssenKrupp di Torino: 4 operai bruciati vivi, altri 3 morti dopo giorni di terribile agonia, il processo ai vertici dell’azienda, ai quali per la prima volta viene contestato l’omicidio volontario.

Fra gli effetti della crisi c’è la diminuzione dei morti sul lavoro, passati, sembra dai 4 al giorno, 1.500 all’anno, di anni fa, ai circa 1100 degli ultimi anni, compresa però la strana cifra che rimane costante, dei lavoratori che non sono stati considerati morti sul lavoro dall’Inail, cioè circa 500.

C’è da chiedersi come mai non vengono considerati morti sempre lo stesso eguale numero di persone. Si può dunque dire che la sicurezza è diminuita anziché aumentata, a fronte delle centinaia di miglia di licenziamenti, ricordando che parliamo dei dati ufficiali e non di tutta l’economia sommersa e dal fatto che la maggior parte degli accidenti avvengono in agricoltura dove negli ultimi anni è aumentata la manodopera “straniera” spesso a nero.

Uno degli effetti delle politiche di Berlusconi fu di alleggerire la normativa sulla Sicurezza sul lavoro: meno ispettori, meno controlli, meno intralci burocratici per le imprese, e tutto a spese della sicurezza per i lavoratori. E le cose non sono cambiate nelle successive legislature.

Un terzo dei lavoratori morti ha oltre 60 anni. La riforma Fornero ha inciso su queste morti, non avendo fatto nessuna distinzione nell’allungamento dell’età pensionabile, tra chi svolge un lavoro pericoloso e usurante e chi uno d’ufficio.

Al contrario, nonostante la crisi in proporzione assistiamo ad un aumento del fenomeno che ci vede primi in Europa in rapporto al numero di abitanti, il solo parametro valido per valutare l’andamento delle morti in una provincia o in una regione. In realtà, se ai dati Inail si aggiungono gli incidenti dei lavoratori, italiani e stranieri, che lavorano in nero e le morti causate dalle malattie professionali, il numero dei morti sul lavoro e di lavoro supera l’indegna cifra di 10 morti al giorno.

Dobbiamo sempre pretendere di più e produrre condizioni dove una persona non debba giocarsi l’esistenza sul posto di lavoro. Senza il minimo dubbio la (scarsa) sicurezza è un problema e senza il minimo dubbio è necessaria una reazione popolare all’offensiva padronale che attacca le nostre condizioni di vita e rendono letteralmente mortali le città e i luoghi in cui viviamo, quasi servili, con salari bassissimi ed altissimi tassi di incidenti e morti sul posto di lavoro.

Situazioni che vedono la complicità dei sindacati confederali. Subito dopo, tutti a spargere lacrime false e retoriche: i padroni, i politici, i sindacati confederali.

I morti sul lavoro non sono mai una fatalità: sono parte della brutalità e della violenza del capitalismo e della sua logica del profitto; non ci sono vittime del destino, ma lavoratori assassinati dall’aumento dello sfruttamento e dal cinismo dei padroni. Il numero delle richieste di indennizzo per malattie professionali è diminuito com’è diminuito il lavoro salariato.

La questione sicurezza, senza il minimo dubbio, è urgente, è attuale e riguarda allo stesso modo, lavoratori e utenti. Non ce la daranno, se non saremo noi a riprendercela. Basta protagonismi e settarismi portati avanti da leader e derive politiche nell’autorganizzazioni sindacali. Per tutti questi anni il destino è stato affidato a “salvatori” di ogni genere, fino al punto di perdere ogni traccia di dignità. In quanto lavoratori dobbiamo assumere le nostre responsabilità invece di delegare le nostre speranze a capetti “illuminati” e “abili”. Nello stesso modo in cui stiamo lottando per non abbandonare la nostra vita nelle mani dei padroni e dei burocrati.

Un’attenzione in più andrebbe posta alla salute delle donne, costrette a conciliare vita familiare e lavorativa continuando a lavorare doppiamente sopportando doppia fatica, doppio stress, doppie ripercussioni sulla salute ma senza aver in cambio alcun riconoscimento o aiuto. Più della metà delle donne ha ancora il carico del lavoro domestico anche se ha un impiego.

Unica soluzione per contrastare l’attacco su tutti i fronti che stiamo subendo, è creare forme di “resistenza collettive”. Promuovere l’idea dell’autorganizzazione e della solidarietà nei posti di lavoro; comitati di lotta ed iniziative collettive dal basso, abolendo le burocrazie sindacali. Per anni abbiamo dovuto sopportare la miseria, il ruffianesimo e i soprusi nei posti di lavoro. Ci siamo abituati a contare i nostri colleghi morti, la cui morte viene etichettata come “incidenti sul lavoro”. Disinteressati o invitati a chiudere gli occhi sugli migranti – nostri fratelli in lotta nella vita quotidiana – che vengono assassinati. Ci siamo stufati di vivere con l’ansia di come procurarci il salario, i contributi e una pensione che sta diventando sempre di più un miraggio.

La nostra vita è minacciata dalla generale insicurezza dei luoghi di lavoro, sempre più luoghi di morte. Perché il fatto di ritornare a casa o meno dipende dal gesto di ognuno di noi. Ogni lavoratore è responsabile della propria e altrui vita, troppe volte ho visto nei cantieri gesti irresponsabili dettati si dalla fretta, si dalla stanchezza, certamente dalla noia, ma soprattutto dalla leggerezza, per non dire menefreghismo. Allora occorre che la questione della sicurezza ridiventi una battaglia di civiltà, cioè sensibilità nei confronti di chi condivide la nostra stessa vita o mesi di lavoro, e quindi classista, riconoscimento di un uguale destino, in quel giorno o nella storia di singoli lavoratori, che insieme tornano a farsi classe, di chi costruisce la realtà in cui si vive, e quindi finalmente con un’ottica rivoluzionaria, che cambi le relazioni quotidiane le giuste informazioni, le conoscenze ed esperienze, che magari diventi mentalità per tornare a casa la sera e non solo. Perchè l’opera umana diventi finalmente, rivoluzionata, un luogo di libera espressione e d’incontro di persone e non lavoratori. Per non morire da schiavi !

Orestes

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