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Mazzini e Bakunin di fronte alla Comune

Mazzini e Bakunin di fronte alla Comune

Alle origini del movimento operaio e del movimento anarchico in Italia

Nell’anniversario della Comune di Parigi (18 marzo 1871) pubblichiamo questo brano tratto da “Bakunin e l’Internazionale in Italia” di Max Nettlau, che illustra i contrasti teorici fra i due grandi rivoluzionari.

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Durante la sua lunga carriera politica di quarantacinque anni Giuseppe Mazzini è stato sempre in urto violento o latente col socialismo. Era il rappresentante nato della borghesia nazionale ascendente e, come tale, non poteva simpatizzare col socialismo; ma avrebbe potuto combatterlo apertamente o lasciarlo in pace; come facevano tanti altri protagonisti della causa nazionale, i quali non vi aggiungevano la specialità dell’antisocialismo. Mazzini voleva arrestare il socialismo, castrarlo, incorporarlo sotto una forma anodina nel suo sistema; la tutela del popolo affidata agli eletti, agli uomini di virtù e di genio. Perciò, non solo Buonarroti – che con le società segrete, in ultimo, negli anni trenta, con la Carboneria democratica universale, mirava in fondo a realizzare il Babouvismo – ebbe come avversario implacabile Mazzini, che gli oppose con la Giovine Europa del 1834 il nascente nazionalismo delle borghesie; ma deciso nemico lo ebbero pure Marx e Bakunin nell’Internazionale dal 1861 al 1872, e i socialisti francesi degli anni 1848-51, che egli aggredì dopo la loro disfatta in Francia al principio del 1852, ed altri socialisti in epoche diverse. Attaccò il socialismo nella teoria, come in quegli articoli inglesi del The People’s Journal (Londra) nel 1847, che si trovano in italiano nella sua Italia del Popolo di Losanna e Lugano nel 1850. Chiese agli operai d’aggiornare le questioni sociali e di allearsi ai repubblicani borghesi, nel 1858, quando aveva bisogno di loro, e fece tutto il possibile per tener separate le associazioni operaie italiane dal movimento sociale europeo degli anni sessanta. Ardeva dal desiderio di promulgare un nuovo Sillabo, quando, il 20 luglio 1869, scrive alla contessa d’Agoult che darebbe la metà del resto della sua vita per poter scrivere due libri, uno sulla Rivoluzione del 1789 e l’altro sulla questione religiosa, contro i Comtisti, i materialisti alla Moleschott, gli apostoli del divino contro Dio, i dilettanti come Renan, gli apostoli della brutalità come Taine, i Proudhoniani, ecc. «Essi traviano la democrazia e rovinano l’avvenire» (v. Lettres de Joseph Mazzini à Daniel Stern, Paris 1873, pp. 153-4). Tutto ciò, nonché la formidabile polemica di Proudhon contro Mazzini potrebbe esser facilmente corroborato da documenti dell’epoca e troverebbe molte conferme negli scritti e nelle lettere di Mazzini e nello studio della sua vita, – argomento particolare lontano dal presente lavoro.

Secondo la prefazione del volume XVI degli Scritti editi ed inediti (Roma, 1887), Mazzini, dalla fine d’ottobre alla metà di dicembre del 1870, dimorando a Lugano, vi concepì il progetto della Roma del Popolo, pubblicata dal 9 febbraio 1871 al 21 marzo 1872 a Roma, e redatta da G. Petroni.

La Roma del Popolo. Pubblicazione settimanale di filosofia religiosa, politica, letteratura; due volumi di pp. 4+16 e 232 in-folio piccolo, è veramente l’epitome degli amori e degli odi di Mazzini alla fine della sua carriera, quando, per la prima volta, non si trova di fronte a una urgente questione nazionale, territoriale, che lo appassioni. Allora, quando le sue preoccupazioni patriottiche erano relativamente placate dalla presa di Roma, egli avrebbe potuto mostrare che cosa aveva da dire al popolo che amava tanto ed a cui per la prima volta parlava ad alta voce e senza nessun ostacolo con questo giornale, sul quale il prestigio del suo nome richiamava l’attenzione generale. Dalle pagine di questo giornale s’impara a conoscerlo molto meglio che dagli scritti dei precedenti quaranta anni. Ora rivela tutto il suo pensiero, tutti i suoi odii; «…si fece un dovere di combattere l’invasione dirò così barbara nel nostro paese» (a proposito dell’Internazionale; Saffi al processo di Firenze, 1875; Dibatt., pp. 186-9).

Gli scritti di Mazzini sono così accessibili che posso fare a meno di citarne dei brani. Rimando sopratutto ai seguenti articoli: Il Comune di Francia (26 aprile 1871); Sul Manifesto del Comune Parigino (3 maggio); All’Internazionale di Napoli [del 1° maggio, che aveva ribattuto all’articolo del 26 aprile] (24 maggio); Il Comune e l’Assemblea (7, 21, 28 giugno). – Agli Operai Italiani (13 luglio), primo attacco contro l’Internazionale; questo articolo fu pure stampato su 2 pp. in-folio: La Roma del Popolo agli Operai. Supplemento al N° 20, 16 luglio 1871, firmato: G. Mazzini. – Gemiti, fremiti e ricapitolazione (10, 17, 24, 31 agosto): il 10 agosto se la prende con Bakunin per la prima volta. – La commissione ligure (Genova, 14 agosto) dirama la sua circolare per il congresso operaio. Mazzini scrive: Il moto delle classi artigiane e il Congresso (7 settembre). Fa l’elogio del socialismo moderato in Svizzera: L’Internazionale Svizzera (14 settembre). In quest’epoca è pubblicato in opuscolo Il Comune e l’Assemblea. – Il 21 settembre comincia L’Internazionale. Cenno storico, continuato il 28. – Il Congresso Democratico e lettere a società operaie a Torino e a Spezia (5 ottobre). – Ai rappresentanti gli artigiani nel Congresso di Roma (12 ottobre); Intolleranza e indifferenza (19 ottobre). – Documenti sull’Internazionale (16, 23 novembre, 7 dicembre). – La Questione sociale (30 novembre, 7 e 14 dicembre). Alla fine di dicembre vengon raccolti in un opuscolo intitolato Mazzini e l’Internazionale, gli articoli sulla Comune e sull’Internazionale.

In risposta a una lettera di F. Engels (6 dicembre) che protestava contro il modo con cui Mazzini presentava le idee di Bakunin come fossero quelle dell’Internazionale – su questa lettera tornerò in seguito –, Mazzini scrive Un’altra accusa (21 dicembre); ma si comunica che egli è già malato e la sua collaborazione diventa intermittente. Costituente e Patto nazionale esce il 18 gennaio 1872; e il 25 gennaio una critica dei Papiers posthumes di N. Rossel, il capo militare della Comune, fucilato nell’autunno. Alcune lettere del 10 gennaio e del 29 febbraio a dei giornali, in polemica con Garibaldi, ristampate il 25 gennaio e il 7 marzo, terminano la sua attività. La malattia ferma dunque la sua penna, e la morte la spezza il 10 marzo 1872, ma nulla fa presagire questa fine negli articoli dall’aprile al settembre 1871; egli seguì il suo scopo con grande risolutezza e fece approvare la sua azione dal congresso di Roma in novembre. Intanto attaccava non solo l’Internazionale, ma anche il Congresso democratico progettato da Garibaldi (v. il giornale del 1° febbraio 1872, ecc.). Con tutta la sua energia egli cerca dunque di ostacolare ogni altro movimento al di fuori del suo, che si può meglio esaminare in quel congresso tenuto a Roma in novembre, di cui si parlerà più oltre.

Ecco qualche brano delle numerose pagine scritte nel 1871 da Bakunin su questa campagna antisocialista di Mazzini, delle quali soltanto una parte fu allora pubblicata:

«…Aggiungete l’immensa e profonda simpatia che l’insurrezione, la lotta e la fine eroica della Comune di Parigi aveva destato nel proletariato d’Europa, compreso ben s’intende quello dell’Italia, l’entusiasmo espresso in questa occasione dalla parte più avanzata della democrazia e della gioventù Italiana, e capirete facilmente la disperazione e la collera del vecchio profeta… Come, quaranta anni di lavoro perduti effettivamente in un sol giorno, e ciò nel momento in cui si stava per raggiungere lo scopo! – Si sa che questa è l’eterna illusione di Mazzini, che rinasce periodicamente ad ogni nuova primavera. – Come, tutti quei nobili e santi martiri che si sono sacrificati per il trionfo della nuova religione, avrebbero versato invano il loro sangue generoso! – È un’altra tremenda illusione di Mazzini credere che tutti quei generosi patrioti italiani che hanno versato il loro sangue per la liberazione della patria, siano morti in onore del suo Dio, che la maggior parte di loro non conosceva affatto e di cui si preoccupavano ben poco. Si sono fatti ammazzare, perché hanno amato appassionatamente la libertà e la loro patria reale, ma non già per le astrazioni mistiche ed ardenti, ed insieme sì monotone e sterili di Mazzini.

«Mazzini, come molti profeti moderni, è rimasto per tutta la vita presso a poco l’unico della sua religione. Da quaranta anni che predica, la gioventù italiana ha senza dubbio avidamente letti e riletti i suoi scritti, perché ci trovava quella fede patriottica e profonda nell’avvenire dell’Italia e quella volontà ardente d’agire e di sacrificarsi per la sua liberazione, che costituiscono effettivamente la grande funzione storica di Mazzini. Però, mentre che, schiacciata, soffocata, torturata ad ogni istante della sua vita dalla tremenda coalizione degli Austriaci, dei Borboni e del Papa, essa non cercava negli scritti di Mazzini che speranze politiche, non avendo neppure il tempo d’occuparsi delle sue teorie religiose, Mazzini credeva d’averla seriamente convertita a queste ultime. Egli interpretava la sua indifferenza per tutte le questioni scientifiche e teoriche, nel senso d’un rispettoso e muto consenso alle sue dottrine teologiche. – Aveva fatto i conti senza la mentalità italiana, ad un tempo sì audace e sì positiva, sì ardente, sì sottile, sì larga e sì acuta, uno degli strumenti più magnifici per la vera scienza.

L’orrendo dispotismo che pesava su tutta l’Italia, la crassa ignoranza a cui era stata sistematicamente condannata, specie dal 1815 al 1860, non avevano permesso a questa mentalità di svilupparsi. La scienza vi era diventata non solo un frutto proibito, ma quasi ignoto, e la mentalità italiana fu costretta a cercare cibo e vita, non già nel presente, ma nel passato, a vivere un’esistenza retrospettiva e malsana, non avendo da scegliere, per non morire d’inedia, che tra Machiavelli e Dante, tra la Roma antica e la Roma papale, tra Savonarola e Boccaccio. Tutto questo mondo classico, questa poesia, questa religione, questa sapienza, questa politica del passato aduggiarono come un sogno penoso l’intelligenza della gioventù di quest’epoca. Essa cercò la vita nella cospirazione.

«Fra tutti questi elementi morti, ispirandosi sopratutto a Dante e a Savonarola, e subendo molto più di quanto vuol riconoscerlo [l’influenza] della letteratura francese, religiosa, metafisica, politica, rivoluzionaria e persino socialista, dalla Convenzione Nazionale a Babeuf e da Chateaubriand a de Maistre, con l’aiuto della sua immaginazione poetica ed ardente, ma teologica, ma sterile, egli rifuse tutto ciò in un nuovo sistema teosofico-politico, che chiama la sua religione e che si sforza d’imporre all’Italia e al mondo come una nuova rivelazione della legge divina.

«Tutto andò bene sino al 1860 e anche sino al 1866. La gioventù italiana era esclusivamente preoccupata, prima degli Austriaci, dei Borboni e del Papa, e più tardi del predominio Francese che tentava evidentemente di convertire l’Italia in un vice-reame dell’Impero, e non ebbe affatto il tempo d’occuparsi delle teorie retrograde e assurde di Mazzini, non conoscendo e non venerando in lui che il capo tradizionale della cospirazione italiana. Ma dal 1860, rassicurata sull’esistenza politica dell’Italia unificata, essa cominciò a studiare e a pensare. E d’allora data la tremenda rovina di Mazzini.

«La gioventù aveva iniziato il suo nuovo movimento fondandosi in molti luoghi d’Italia sulle società di liberi pensatori. Mazzini naturalmente protestò, ma la gioventù passò oltre. Garibaldi, sebbene da un altro punto di vista, aveva pure protestato, pretendendo che la gioventù non doveva studiare altro che l’uso delle armi; ma la gioventù italiana, pensando molto giustamente che l’uso delle armi, non accompagnato da sapere, era incapace di costituire una forza, e che senza lo sviluppo del libero pensiero un uomo poteva ben diventare un ottimo soldato, però mai un uomo libero; pensando che la libertà, l’intelligenza e la scienza costituiscono gli elementi necessari d’una grande vita nazionale ed umana, questa gioventù, dico, dopo aver ascoltate rispettosamente le parole patriottiche, ma poco giudiziose del suo generale, passò oltre ancora una volta. Per la prima volta nella storia dell’Italia moderna, si vide la gioventù compiere un atto d’indipendenza rispetto ai suoi vecchi capi, così giustamente venerati. Si sarebbe detto che già prevedesse l’avvento dei due nuovi capi; la libera scienza, da una parte, o dall’altra, il popolo.

«La gioventù italiana ha studiato e ha imparato molto durante gli ultimi cinque anni che ci separano da quell’epoca. Ha liberato in gran parte il suo pensiero dal giogo della teologia, della metafisica, della vecchia poesia e del patriottismo ambizioso o classico, e di tutte le ispirazioni tradizionali e retrospettive di un passato senza dubbio glorioso, ma morto. Ha stabilito solidamente questo pensiero ormai vivo e reale sulla base incrollabile e ampia della scienza positiva. Si può esser certi oggidì che tra dieci anni, forse tra cinque, riguadagnando tutto il tempo perduto e mettendosi al livello delle nazioni più progredite nella vita e nella scienza, essa sarà in grado di provare che questa magnifica intelligenza italiana nulla ha perduto della sua antica potenza, e che l’Italia rimane sempre la patria dei Machiavelli e dei Galilei.

«Ma non è tutto, essa deve fare un altro gran passo inanzi, e se vuole realmente diventare una gioventù utile e viva, deve diventare l’amico, il fratello, il pioniere intelligente e il soldato devoto del suo popolo. E quando parlo del popolo, non intendo la finzione teologica, metafisica, metaforica e politica di cui parla Mazzini, quando pronunzia la sua formula fallace: «Dio e popolo» – codesto popolo non è buono che a servire eternamente di piedistallo passivo e muto alla potenza e alla grandezza distruttiva dello Stato. No, io parlo del popolo vivo e reale, di quelle vili moltitudini non ancora convinte, illuminate, addormentate e annientate dall’idea mazziniana. Parlo di quei milioni di esseri umani, l’enorme maggioranza delle popolazioni di tutti i paesi, lavoratori, creatori e vittime eterne d’una Civiltà che non esiste che per opera loro, e che non ha per loro che oppressione sistematica e disprezzo. In Italia, parlo dei 15 milioni all’incirca di contadini che non sono proprietari come i contadini della Francia, e che, se si eccettuano quelli della Toscana, che godono d’una posizione relativamente sopportabile, lavorano e vivono come veri schiavi su di una terra ricca e fertile come poche ce ne sono in Europa… Parlo dei 5 milioni all’incirca di proletari salariati che lavorano nelle città e nelle fabbriche… Avrei potuto parlare dei 4 milioni all’incirca che costituiscono in Italia la più piccola borghesia e la classe dei piccoli proprietari…

«Non voglio parlare che del proletariato, tanto delle campagne quanto delle città…

«La gioventù italiana, se vuole vivere una vita ampia e reale, deve andare a cercare gli elementi di questa vita, gli elementi del proprio pensiero e della propria azione, non già sulle sterili teorie dei suoi maestri passati, ma negli istinti, nei bisogni e nelle aspirazioni presenti e potenti del proletariato. Ne sia ben convinta, soltanto lì e la vita, fuori di lì tutto è moribondo o morto. E poiché essa si sente viva, lasci i morti a seppellire i morti, e si getti decisamente nel movimento sì vivo, sì potente oggidì della reale emancipazione popolare…»

In un manoscritto per i Giurassiani Bakunin dice nel febbraio 1872: «…Si comprende come le teorie di Mazzini abbiano dovuto distruggere persino il ricordo della libertà nei suoi fedeli discepoli. E una volta soffocata questa passione, non ci sono istituzioni politiche capaci di risuscitarla nel cuore degli uomini. In Italia, come altrove, questa passione si è rifugiata principalmente nella massa del proletariato, dove s’identifica sempre più con un’altra grande passione, altrettanto legittima e potente, quella dell’emancipazione materiale.

«Ma in Italia esiste ancora una gioventù eroica, che riconosce non come dittatore, né come padrone, ma come capo militare il generale Garibaldi; nata dalla borghesia, essa si trova spostata, diseredata nella società italiana, e quindi capace d’abbracciare, con un sincero entusiasmo e senza secondi fini borghesi, la causa del proletariato. Ed effettivamente, dopo avere scosso il giogo teologico e politico di Mazzini, e non lasciandosi guidare che dal suo libero pensiero, da una parte, e da un profondo sentimento di giustizia sociale, dall’altra, essa oggidì si consacra appassionatamente a quella grande causa e si crea con ciò un nuovo avvenire…»

Il 29 agosto 1871, in una lettera alla redazione della Liberté (Bruxelles) aveva scritto: «…Esiste attualmente in Italia una gran massa di giovani, nati nella classe borghese, ma che avendo disdegnato il servizio dello Stato, e non avendo trovato posto né nell’industria né nel commercio, si trovano completamente spostati e disorientati. Sono stati ispirati dallo spirito del secolo e stanchi di contemplare sempre la bellezza mistica di Dante e la grandezza di Roma antica, si sono fatti in massa liberi pensatori, con grande disperazione di Mazzini. Dal libero pensiero al socialismo non c’è che un passo, e bisogna aiutarli a farlo…»

E il 5 aprile 1872 in una lettera in Spagna: «…C’è in Italia ciò che manca agli altri paesi: una gioventù ardente, energica, completamente spostata, senza carriere, senza vie d’uscita, e che malgrado la sua origine borghese non è punto esaurita moralmente e intellettualmente come la gioventù borghese degli altri paesi. Oggidì essa si getta a corpo perduto nel socialismo rivoluzionario, con tutto il nostro programma, il programma dell’Alleanza…”

Per precisare ancora e mostrare che Bakunin considerava questa situazione con ogni circospezione, ecco un altro brano del manoscritto ai Giurassiani del febbraio 1872: «..In Italia… si trova attualmente un gran numero di questi franchi volontari usciti dalla classe borghese e che si son fatti propagandisti ardenti, sinceri, audaci e infaticabili dei principi dell’Internazionale, alla quale rendono preziosi servigi. Senza di loro, sarebbe eccessivamente difficile, se non impossibile, fondare delle sezioni dell’Internazionale in Italia. Non che vi manchino l’elemento e gli istinti popolari: anzi vi sono sviluppati più largamente che in altri paesi dell’occidente d’Europa [espressione che per i Russi significa l’Europa fuori della Russia, all’ovest della Russia]. Ma l’istruzione del proletariato italiano è sommamente arretrata, e gli operai italiani, abituati a lasciarsi rimorchiare da capi borghesi, non hanno preso ancora l’abitudine dell’iniziativa. Non mancheranno di prenderla ben presto, ne sono sicuro, ed allora la missione e la funzione dei socialisti rivoluzionari borghesi dell’Internazionale si ridurranno a più modeste proporzioni. Ma nel momento attuale, la loro iniziativa è ancora indispensabile, e limitandola, si farebbe gran torto allo sviluppo dell’Internazionale in questo paese…».

Bakunin mirava dunque a quella gioventù militante degli anni sessanta che le clamorose imprese di Garibaldi avevano abituata all’azione palese, invece che all’ombra delle cospirazioni mazziniane, e che necessariamente, dopo il 20 settembre 1870 e l’ultima campagna in Francia, – data la situazione politica d’allora in Europa –non si vedeva più offerta nessuna azione italiana apertamente confessata. La Comune, l’Internazionale, e l’assoluta ostilità di Mazzini, la passività di Garibaldi verso questi prodotti dell’attività proletaria europea e francese – furono le solide basi dell’iniziativa di Bakunin di combattere Mazzini con ogni energia, che ebbe così felici conseguenze, e che sopratutto contribuì a ispirare l’Internazionale, rapidamente nascente, a idee socialiste anti-autoritarie e rivoluzionarie. C’era pure qualche altra protesta contro Mazzini, ma quella di Bakunin fu la più clamorosa. Ci fu l’articolo già citato dell’Internazionale di Napoli (1 maggio 1871) e quello del dottor Friscia nell’Eguaglianza di Girgenti. In questo ultimo si trova il seguente brano che siamo costretti a ritradurre dal testo francese, accuratamente tradotto da James Guillaume (Œuvres, VI, 1913, p. 136): «…L’Internazionale crede alla libertà, e combatte l’autorità con qualunque nome si chiami, sotto qualunque forma si inviluppi; crede alla fratellanza, ed inculca ai suoi proseliti la distruzione delle frontiere. Che cosa è mai, la nazione, se non il dispotismo e la guerra? Perché avremmo l’esattore, il gendarme, se non ci fosse a Roma un governo che, o repubblicano o monarchico, concentra nelle sue mani la potenza e la volontà delle moltitudini; perché mai avremmo un esercito di doganieri e di soldati, se le Alpi non fossero diventate una barriera tra uomini destinati ad aiutarsi a vicenda, e ad amarsi? Si può immaginare una nazione, senza una capitale che s’imponga alle città e ai comuni, senza un governo autoritario che s’imponga agli individui e ai gruppi, senza una frontiera che sottragga al lavoro milioni di braccia per farne un ostacolo agli scambi e spaventosi strumenti di rovina e di strage? È mai possibile conciliare l’idea di nazione con quella di fratellanza e di libertà?… l’Internazionale sostituisce alla nazione… l’individuo che, unendosi liberamente con altri individui, costituisce il comune, per continuare poi con la federazione dei comuni posti in una stessa regione, ed arrivare alla federazione dell’umanità…».

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