Legge di stabilità 2025: genuflessioni per Meloni

E il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, intanto, ha incontrato ieri a Washington la direttrice generale del Fmi Kristalina Georgieva e, riferisce il ministero del Tesoro, ha “ricevuto elogi per il suo impegno a perseguire il consolidamento di bilancio promuovendo allo stesso tempo la crescita”.

(dal Sole 24 Ore del 26.10.2024)

Per inquadrare il contesto in cui si colloca la legge di stabilità presentata alla Camera nei giorni scorsi è bene partire da questo plauso (quasi) incondizionato delle più alte istituzioni finanziarie internazionali al governo di colei che voleva fare “finire la pacchia” all’UE.

In realtà la pacchia l’abbiamo finita un po’ tutti, noi italiani ostaggi di questi governi, ammesso e non concesso che di pacchia ne abbiamo mai vista alcuna forma o sentore.

Il governo ha firmato mesi fa il nuovo patto di stabilità europeo e si è impegnato a rispettarne i vincoli, pur in un lasso di tempo più esteso e con possibilità di deroghe per alcuni capitoli di spesa (“investimenti”, spese per armamenti, riforme strutturali). Questa legge di bilancio rappresenta quindi una tappa nel percorso di tagli che il governo deve fare per abbassare la spesa e ridurre il mostruoso debito pubblico. È per questo che la spesa va tagliata: dopo un’impennata del 40% nel quinquennio 2019-2024 (il doppio del tasso d’inflazione), ora è arrivato il tempo di frenare, perché il debito pubblico è vicino ai 3.000 miliardi e bisogna “rassicurare i mercati”. Il tutto accade quando il PIL si sta fermando (salirà forse dello 0,8% nel 2025), la recessione tedesca investe l’economia di tutta l’Unione e la Francia arranca vistosamente su una strada tutta in salita.

Occorreva dunque gettare alle ortiche le promesse funamboliche della campagna elettorale, sparate da tutti i componenti della compagine di governo: le pensioni minime a 1.000 euro per Forza Italia, la cancellazione della Fornero per la Lega, il di tutto di più giurato dai Fratelli d’Italia dopo 12 anni di opposizione. Questa legge chiarisce gli ultimi equivoci e fa pulizia delle illusioni.

L’impianto del provvedimento taglia la spesa di 30 miliardi, facendola scendere da 1.230 miliardi a 1.200 miliardi (soprattutto per il calo dei tassi d’interesse sul debito e la diversa composizione del cuneo fiscale). Le agenzie di rating apprezzano e lodano il Ministro del Tesoro: Fitch, S&P e DBRS confermano il rating o addirittura alzano l’outlook per il futuro. Se la popolazione italiana sta peggio, i capitali internazionali godono perché gli investimenti sono al sicuro e il valore patrimoniale cresce.

Nel complesso la manovra vale circa 29 miliardi e si concentra, per il 60%, sulla conferma del taglio al cuneo fiscale e la modulazione dell’Irpef sulle tre aliquote, come avvenuto nel 2024. Però l’intervento diventa strutturale e cambia le modalità di applicazione. Non più taglio del 7% per redditi fino a 20.000 euro e 6% per quelli fino a 35.000. Adesso il sistema funziona diversamente: una esenzione differenziata fino a 20.000 euro, una detrazione fissa di 1.000 euro fino a 32.000 euro e poi una detrazione in progressiva discesa fino a 40.000 euro. Un sistema complicatissimo che serve a lasciare tutto invariato per i redditi bassi e fare arrivare più soldi a chi ha un reddito attorno ai 35.000 euro: questi lavoratori otterranno circa 1.000 euro in più su base annua. È la difesa del ceto medio!

Stessa logica sostiene l’intervento sulle pensioni. La rivalutazione delle pensioni scende, seguendo il calo dell’inflazione “riconosciuta”. Dopo l’8,4% del 2022 ed il 5,6% del 2023, l’inflazione 2024 va ad attestarsi sotto il 2%. Il governo ha scelto di ritornare al sistema precedente, eliminando la “progressività” introdotta nel 2023. Le pensioni minime salgono della ridicola cifra di 3 (tre) euro al mese; le pensioni fino a 4 volte il minimo avranno la rivalutazione piena. Quelle superiori a quella cifra subiranno sì una penalizzazione, ma più leggera rispetto agli anni scorsi. Aiutiamo i più ricchi, anche qui!

Per quanto riguarda i servizi, sanità e istruzione sono i comparti più penalizzati. Nonostante che la Meloni si vanti di aver messo sulla sanità più risorse di sempre, l’aumento di 1,3 miliardi di euro mantiene fisso il rapporto tra spesa sanitaria pubblica e PIL (6,3%), laddove la Germania investe l’11%, la Francia il 10% e il Regno Unito il 9%. Quello che manca, in Italia, lo mettono i privati, con 40 miliardi di spesa aggiuntiva a carico delle proprie tasche: chi è ricco o assicurato ce la fa, gli altri rinunciano a curarsi. Sono oltre 4,5 milioni i pazienti che sono costretti a non potersi curare.

Non c’è nessuna previsione per il piano di assunzione del personale sanitario che era stato ipotizzato (30.000 tra medici e infermieri) e le risorse per il rinnovo dei contratti sono insignificanti (17 euro al mese per i medici nel 2025). Medici e infermieri hanno già proclamato sciopero per il 20 novembre.

Anche la scuola passa dei guai: il blocco del turn-over ridurrà il corpo docente di 5.660 insegnanti e il personale ATA di 2.174 addetti. Lo stanziamento per il contratto 2022-2024 resta fermo al 6% di aumento nel triennio, mentre anche per il triennio 2025-2027 il capitolo di spesa è del tutto insufficiente a recuperare l’inflazione.

Il governo ha confermato per il prossimo triennio la tassazione agevolata al 5% per i premi di produttività: ne hanno fruito 18.000 accordi aziendali che hanno coinvolto quasi 5 milioni di addetti, sottraendo mediamente 1.500 euro all’imponibile fiscale e contributivo. Sembra una buona misura per i lavoratori, ma in realtà è un modo per fare risparmiare soldi alle imprese, riducendo le entrate pubbliche.

La mannaia si abbatte definitivamente sul superbonus, trascinando con sé buona parte delle agevolazioni fiscali alle ristrutturazioni edilizie. Il superbonus 110% ha sicuramente aperto una voragine nei conti dello stato e l’affermazione di Giorgetti (“non è mai stato usato un tale volume di risorse per aiutare un così ristretto numero di beneficiari”) ha un fondo di verità. Ma d’ora in avanti la percentuale di detrazione sarà ridotta al 50% per la prima casa e al 36% per le seconde case, il plafond massimo verrà dimezzato da 96.000 a 48.000 euro e si salverà soltanto, oltre al bonus mobili, quello per l’abbattimento delle barriere architettoniche. Finisce un’epoca, e con essa uno strumento che aveva giocato un ruolo importante nel rilanciare l’economia, l’edilizia e il contrasto al lavoro in nero. Che tornerà alla grande, vista la scarsa convenienza nel “pretendere” la fattura.

Tra le novità introdotte per favorire la mobilità del lavoro, a fronte della asserita difficoltà delle aziende a reperire manodopera qualificata, è l’innalzamento a 5.000 euro della soglia massima dei fringe benefit, che possono includere ora anche le spese di affitto di chi accetta un trasferimento oltre i 100 km dalla residenza. Un altro assist alle imprese, che possono addirittura sfruttare un aumento al 130% della deduzione del costo del lavoro relativo all’assunzione di un lavoratore appartenente a determinate categorie (giovani under 30, donne con due figli, donne vittime di violenza, ex-percettori di Rdc).

Una misura che ha tenuto banco, tra le entrate, è quella relativa agli extra-profitti di banche e assicurazioni. Fallita nel 2023, è stata ora riproposta in forma del tutto spolpata. Non si tratta infatti di una tassa, ma dell’anticipazione di soldi che verranno restituiti dal 2027 in avanti. Le banche contribuiranno per quattro miliardi in due anni attraverso la sospensione delle deduzioni fiscali relative a DTA [deferred tax asset, più semplicemente imposte anticipate] e avviamento (soldi che saranno restituiti con il riavvio delle deduzioni). Le assicurazioni (cui vengono chiesti 2 miliardi in quattro anni) dovranno semplicemente fare da sostituto d’imposta, prelevando anticipatamente dai titolari di polizze sulla vita (investimenti finanziari) l’imposta di bollo al 2 per mille, che in genere si paga solo al momento del riscatto finale. Tanto tuonò che piovve, verrebbe da dire!

Per il resto siamo in presenza della solita massa di trasferimenti al sistema delle imprese e ai tagli lineari per ogni singolo ministero (7,7 miliardi nel triennio e 2,5 miliardi nel solo 2025).

La legge è blindata, sia in Commissione parlamentare che in aula (dove arriverà verso il 20 novembre): pare che deputati e senatori abbiano il solito divieto di emendamenti e che abbiano a disposizione solo 120 milioni di euro per spostare qualche singola voce di bilancio. Alla faccia del dibattito parlamentare!

L’unica strada per costringere il governo a ritirare la manovra, o modificarla alla radice, è affidata alla mobilitazione sociale. Sarà un autunno di scontro e di conflitto, per battere questa politica di carota e bastone, che prova a disarticolare l’opposizione sociale con provvedimenti e argomenti oggetto di propaganda martellante e totalitaria.

Non ci sono alternative disponibili e non possiamo tirarci indietro.

Renato Strumia

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