Legami di sangue

BUTLER, Octavia, Legami di Sangue, Milano, Mondadori, Collezione Urania 1238, 1994 (Titolo Originale Kindred)

Octavia Estelle Butler (Pasadena, 22 giugno 1947 – Washington, 24 febbraio 2006) autrice afroamericana di fantascienza statunitense, ha vinto sia il Premio Hugo sia il Premio Nebula e nel 1995 è diventata la prima (e fino al 2003 unica) scrittrice di fantascienza a ricevere il Premio MacArthur.

Il suo testo Legami di Sangue (1979) diventato un best seller che ha venduto oltre 450.000 copie, venendo definito dai suoi colleghi scrittori contemporanei “raro artefatto magico” (Harlan Ellison) o “esempio di come la fantascienza può superare i suoi limiti” (Walter Mosley), è un romanzo a metà fra fantascienza e romanzo storico. Butler descrive uno spaccato della società schiavista americana vissuta in prima persona. Il testo, spesso letto durante i reading di associazioni per i diritti degli afroamericani è definito un romanzo-denuncia che interseca le tematiche della discriminazione razziale e di genere e che approfondisce oltretutto la dinamica servo-padrone di ispirazione hegeliana.[1]

La scrittrice Dana – nera – e suo marito Kevin – bianco – sono una coppia mista e molto anticonformista nell’America degli anni ’70. Accade però qualcosa di impensabile: Dana scompare sotto gli occhi del marito e viene risucchiata nel passato, ritrovandosi nel 1815 e nel Maryland, nella piantagione Weylin.

Non capendo dove si trova, Dana salva un bambino che stava annegando nel fiume, venendo poi minacciata col fucile dal padre che che sopravviene poco dopo. Si ritroverà nel suo tempo proprio quando una situazione di pericolo metterà a rischio la sua vita e questa sarà una costante dei suoi inspiegabili viaggi nel tempo.

Il Bambino, poi divenuto ragazzo e poi uomo, risulterà essere un antenato della protagonista, padre di una bambina che otterrà da una delle sue schiave, Alice, bisnonna di Dana della quale il ragazzo, col tempo s’innamorerà.

Nell’epoca dello schiavismo statunitense, il colore della pelle di Dana la costringerà a subire torture e violenze fisiche ogni qualvolta mostrerà di ribellarsi a quelle regole assurde. Le descrizioni delle torture subite dagli schiavi alle quali assisterà per caso in uno dei suoi viaggi temporali si proiettano davanti ai nostri occhi col suono dello schioccare della frusta:

Potevo letteralmente sentire il suo sudore, il suo respiro pesante, ogni suo grido, ogni colpo di frusta. Vedevo il suo corpo fremere, contorcersi, allungarsi sotto la frusta mentre continuava a urlare. Avevo la nausea, e dovetti costringermi a restare dov’ero, a stare zitta. Perché non smettevano?

Per favore, padrone — implorò l’uomo. — Per carità di Dio, padrone, per favore…

Chiusi gli occhi e contrassi i muscoli per non vomitare. Nei film e in televisione avevo visto persone che venivano frustate. Avevo visto il finto sangue scorrere lungo le loro schiene e avevo sentito le loro urla recitate. Ma non vi avevo mai assistito di persona, non avevo mai sentito il loro sudore, o udito le loro suppliche che li facevano vergognare davanti a se stessi e alle loro famiglie. Probabilmente ero molto meno preparata alla realtà di quella bambina che piangeva poco distante da me. Le nostre reazioni erano molto simili. Anch’io stavo piangendo. E nella testa mi turbinava un vortice di pensieri, mentre cercavo di allontanare la scena che avevo davanti agli occhi. A un certo punto, il mio vigliacco tentativo di pensare ad altro mi fece venire in mente qualcosa di utile. Ecco chi erano i bianchi che cavalcavano nella notte nel sud anteguerra, abbattendo porte, frustando e torturando i neri. Le pattuglie! Gruppi di giovani bianchi che mantenevano l’ordine tra gli schiavi. Pattuglie. Predecessori del Ku Klux Klan”.[1, p. X]

I suoi andirivieni da un epoca all’altra si spiegano con una sorta di richiamo che Rufus Weylin, figlio del padrone della piantagione (che poi erediterà tutto alla morte del padre) metterà in atto ogni qualvolta si troverà in condizioni di pericolo.

Dana è trattata da schiava, ma nei fatti è la padrona della vita di Rufus, che col tempo la considererà la persona più importante della sua intera esistenza arrivando a cedere su tutto, persino sull’affrancamento di una parte degli schiavi di sua “proprietà”. L’unico modo di liberarsi da questa sorta di maledizione per Dana sarà quello di spezzare definitivamente il legame di sangue, perdendo così, simbolicamente, una parte di se.

In questo caso , la denuncia investe allegoricamente la difficoltà della società statunitense a fare i conti con la propria storia, dove in certi casi (come la descrizione delle pattuglie punitive, antesignane del Klu Klux Klan) è difficile persino nel romanzo distinguere il passato dal presente.

A modo suo, con una trama scorrevole e mai banale Octavia Butler riesce a mettere le scene dell’epoca sotto i nostri occhi ed a dirci, prendendo in prestito le parole di un famoso cantautore americano:

Guarda le grandi piantagioni bruciare

Senti lo schioccare delle fruste?

L’odore di quella magnolia in fiore?

Guarda gli spettri delle navi di schiavi.

Riesci a sentire il loro lamento?[2]

In quest’epoca dove la discriminazione razziale, che dovrebbe essere relegata in un passato da ritrovare solo nei viaggi nel tempo, risulta invece essere una delle piaghe contemporanee, una pestilenza mai terminata che infesta ancora il genere umano.

Nel suo articolo “Femminismi”, Jane Donawerth descrive Kindred come testo facente parte del recupero di vent’anni di storia letteraria della condizione femminile, iniziato negli anni ’70.[3]

Flavio Figliuolo

NOTE

[1] https://en.wikipedia.org/wiki/Kindred_(novel)#Realistic_depiction_of_slavery_and_slave_communities

[2] DYLAN, Bob, Blind Willie McTell, https://www.youtube.com/watch?v=_uf5gi3E_rQ

[3] DONAWERTH, Jane. “Feminisms: Recovering Women’s History”, in The Routledge Companion to Science Fiction. Ed. Mark Bould et al. London and New York: Routledge, 2009. 218-219.

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