Come quasi tutti avevano previsto, Renzi si è rapidamente rimangiato l’annuncio sulla possibilità di una “flessibilità in uscita” per le pensioni dei lavoratori con più di sessantadue anni. Tutto è rimandato al prossimo anno in attesa di “chiarire i dati”. Anche nelle menzogne appare quindi un barlume di verità, e cioè Renzi ammette di parlare senza sapere di cosa parla. In compenso il governo stanzia cento milioni di euro all’anno per la cosiddetta “alternanza Scuola-lavoro”. La CGIL ha commentato la “guida operativa” che il Ministero dell’Istruzione ha messo a disposizione delle scuole e delle imprese, riscontrando una notevole confusione: il Ministero infatti non esplicita la portata giuridica del documento (un’ordinanza o una circolare?), che appare persino incongruente rispetto a quanto annunciato nell’ultima pseudo-riforma della Scuola. Ma c’è anche un “colpo di scena” finale, dato che il tanto strombazzato registro delle imprese abilitate a collaborare con le Scuole, viene liquidato dal documento ministeriale come non vincolante.
La CGIL cerca disperatamente un ordine nel caos, e crede di trovarlo nelle esigenze del “mercato del lavoro”, cioè nel costringere tanti studenti a lavorare gratuitamente per le imprese. Può darsi che vi sia anche questo, ma bisognerebbe capire quale possa essere la qualità della prestazione lavorativa di uno studente immesso per qualche mese in un contesto di cui sa poco o nulla, dato che l’istruzione tecnica è stata abolita già dalla riforma Gelmini. Un modo di dire abbastanza comune riguarda coloro che invece di guardare la Luna si concentrano sul dito che la indica. Certamente a volte è così, ma capita anche che la Luna venga indicata solo per distrarre dal dito. In questo caso il dito è costituito dai cento milioni annui, l’unico aspetto concreto dello slogan sull’alternanza Scuola-lavoro. La formazione dei giovani si dimostra un pretesto per elargire fondi alle imprese private, senza indicare nessuna seria contropartita. Cento milioni non sono tanti, ma, come dice Renzi, anche qui bisognerà “chiarire i dati”, cioè vedere quanti altri soldi verranno elargiti alla chetichella nei vari decreti attuativi della pseudo-riforma scolastica. Del resto l’alibi è già pronto, poiché tutto, si sa, si fa per il bene dei giovani. I governi hanno sempre i giovani al centro dei loro pensieri.
Quando non sono gli studenti, sono i “giovani imprenditori”. Nel 1999 il governo D’Alema istituì un’apposita agenzia dal nome accattivante, “Invitalia”, incaricata di distribuire fondi alle imprese di “nuova costituzione”. Molto commovente, sennonché nei suoi sedici anni di storia Invitalia si è rivelata come un ente assistenziale per multinazionali. Rolls Royce, ad esempio, ha potuto mettere su uno stabilimento in provincia di Avellino a spese di Invitalia, cioè dei contribuenti italiani. Sempre ad Avellino, e sempre a spese di Invitalia (o Invitamultinazionali), si è insediata un’altra multinazionale, Denso Thermal Systems. Il bello è che Invitalia se ne vanta, e si vanta soprattutto di aver coperto la metà dell’investimento. Il rischio che l’altra metà sia solo nominale non ci viene accennato. Anche qui occorrerà “chiarire i dati”. Un altro dato che regolarmente non ci viene illustrato, è quanti posti di lavoro “creati” da Invitalia siano realmente sopravvissuti in questi sedici anni. In un altro documento governativo ci si fa però sapere che Invitalia può garantire sino al 75% dell’investimento della multinazionale “invitata”, senza che venga richiesta alcuna garanzia di continuità dell’insediamento industriale e del livello occupazionale.
L’anno scorso Renzi ha presentato in pompa magna ventiquattro “contratti di sviluppo” del governo, contratti in cui sono coinvolte multinazionali sia italiane che straniere. Il governo ha stanziato un miliardo e quattrocento milioni, coprendo il solito 75% degli investimenti, cioè quasi tutto, tanto da far supporre che il restante 25% rimanga sulla carta. Di fronte ad una copertura governativa di tale entità, qualcuno si potrebbe chiedere che senso abbia “invitare” le multinazionali e non fare invece direttamente da soli. Un alibi di solito invocato per invitare le multinazionali, è far pervenire in un Paese i know-how a cui altrimenti non si potrebbe accedere; ma, in un Paese come l’Italia, con un miliardo e quattrocento milioni si potrebbero produrre tutti i nuovi brevetti che servirebbero. Simili obiezioni indicherebbero però che non si è compresa la logica profonda dell’assistenzialismo per ricchi, quel grande fenomeno storico meglio conosciuto con i nomi d’arte di “Mercato” e “Capitalismo”. La potenza delle multinazionali non deriva infatti da loro mirabolanti capacità imprenditoriali o affaristiche, ma proprio dall’intreccio di relazioni e di favori che stabiliscono con la politica e con l’alta burocrazia degli Stati.
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