La nostra Ventotene

Con tutto il rispetto per il manifesto di Ventotene e dei suoi estensori dell’epoca, ma cosa pensavano i nostri compagni, dico quelli che a Ventotene c’erano, che sono stati lì per anni, confinati, vittime della repressione, del fascismo, della dittatura. Quelli che avevano lottato con gli Arditi cercando di contrastare il fascismo fino dai primi momenti, quelli che avevano fatto il biennio rosso, che avevano combattuto in Spagna, quelli che avevano già ingoiato tanti rospi, che erano stati repressi dal potere e ridicolizzati, marginalizzati depotenziati da tanti burocrati sedicenti comunisti e socialisti, dalle centrali politico sindacali che avevano revocato lo sciopero generale nell’agosto del 1922, dalle forze staliniste che avevano voluto imprimere una soluzione autoritaria alla rivoluzione spagnola. Ce ne erano tanti di anarchici a Ventotene. Per loro il confino è stato solo il confino. Punto. Non è stata una fase gloriosa che ha aperto a carriere politiche folgoranti, regalando seggi in Costituente e ruoli di potere o quantomeno di prestigio nella nuova repubblica, permettendo a qualcuno di diventare Presidente della Repubblica, a qualcun altro di esercitare il senso di responsabilità che solo certi partiti hanno sempre millantato per produrre politiche di unità nazionale e rimettere al loro posto le pedine di sempre. Dopo il confino i nostri compagni hanno fatto una gran fatica a ritrovare il lavoro, a recuperare gli affetti e hanno dovuto riprendere il loro faticoso ruolo nella società, nelle fabbriche, contrastando con la repressione che mai li ha, ci ha lasciati in pace, dal dopoguerra ad ora, con  Scelba, Tambroni, con i prefetti riciclati dal fascismo, con la strategia della tensione, con le provocazioni costanti, con la repressione, con gli omicidi di stato, con le piste anarchiche tirate fuori ad ogni occasione, ma anche  con l’odio e i rancori che i comunisti e i socialisti di apparato riversavano su di loro, non di rado additandoli all’incessante  repressione. Per loro la persecuzione ha cambiato giacca, ha vestito volti più accattivanti, ma nemmeno sempre, e mai, dico mai ha smesso di farsi sentire, di usare i suoi variegati strumenti, compreso manganello e carcere che contro di noi hanno continuato ad essere agitati. E allora smettiamola con la retorica del manifesto di Ventotene. Su quell’isola, al confino, non c’erano solo tre persone a scrivere un manifesto dai passaggi altisonanti ma comunque discriminatori nei confronti di una prospettiva libertaria e libera dal dominio degli stati e dei padroni. C’erano tanti altri compagni, nostri compagni, perseguitati allora e dopo, a cui quel manifesto non parlava, tanti compagni che coltivavano sogni diversi, per quando avrebbero recuperato la libertà, che davvero avevano nella mente e nei cuori l’unità degli sfruttati e una gran voglia di costruirla, di tesserla fianco a fianco, mettendo veramente fine a tutti i fascismi.

Se non lo scrissero in un manifesto, lo cantarono in una canzone.

Al libro all’aratro al martello
la borghesia tiranna ci strappò
manette ai polsi a bordo d’un battello
su un’isola lontan ci relegò

Ed or sereni siam sulla scogliera
saldi nell’animo e con la fronte altera

Tessere si dovrà
solo un vessillo ed una volontà
coatti per un’idea
siam cavalieri dell’umanità

Siam malfattori e rei di aver bandito
il motto del lavoro e dell’amor
il nostro motto è un programma ardito
e a ognuno il frutto del proprio lavor.

Ed ora e sempre su santa canaglia
combatteremo questa aspra battaglia
tessere si dovrà
solo un vessillo ed una volontà
coatti per un’idea
siam cavalieri dell’umanità

E quando all’alba dell’atteso giorno
la bianca vela l’onda salperà
daremo ai cari il bacio di ritorno
e nell’amplesso il cuor sussulterà

Ed ora e sempre su santa canaglia
combatteremo questa aspra battaglia
tessere si dovrà
solo un vessillo ed una volontà
coatti per un’idea
siam cavalieri dell’umanità

 

Nina

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