Secondo una nota del Centro Studi Confindustria, il Prodotto Interno Lordo (PIL) dell’Italia nel terzo trimestre del 2020 crescerà del 9%, rispetto al calo del primo e secondo trimestre (17,6%). La nota definisce il rimbalzo “parziale e tormentato”.
Messaggi più ottimistici sulla congiuntura provengono dal governo: il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, in occasione di una cerimonia all’Agenzia delle Dogane, ha affermato che la ripresa è in corso, sottolineando che a questo scopo è stato mobilitato il 6% del PIL.
È opinione comune, diffusa dal governo, dalle forze politiche e accreditata dagli economisti, che la crescita economica testimoniata dall’aumento del PIL sia sinonimo di aumento dell’occupazione e miglioramento delle condizioni di vita delle classi sfruttate. Per capire se questa opinione corrisponde alla realtà, dobbiamo capire che cos’è il PIL. Il Prodotto Interno Lordo è una grandezza economica che esprime la totalità dei beni e servizi prodotti in un dato paese in un dato periodo storico. Attraverso il calcolo del Prodotto Interno Lordo si riduce una realtà composta da molte determinazioni a una totalità indistinta misurata in termini quantitativi. È un procedimento comune nella società moderna, che raggiunge la sua massima espressione nella trasformazione delle varie relazioni in rapporti monetari. Infatti, il PIL è espresso in unità monetarie. Se invece della quantità, consideriamo le varie componenti del PIL scopriamo delle cose interessanti.
Nella nota della Confindustria, ad esempio, si afferma che i consumi privati saranno frenati da incertezze e perdite di reddito. In realtà, stando ai dati ISTAT, i consumi delle famiglie sono calati nel secondo semestre del 6,7%, meno della metà del calo del PIL nello stesso periodo (14,7%). Se poi analizziamo un altro dato, vediamo che questo calo dei consumi, evidentemente, non è omogeneo per tutte le famiglie. Secondo un rapporto del Centro Studi Unimpresa, nel periodo della chiusura dovuta alla pandemia, i saldi dei depositi bancari di famiglie ed imprese sono cresciuti del 30%, circa 40 miliardi di euro. È evidente che non tutte le famiglie hanno contribuito in pari misura all’aumento dei depositi bancari, così come non su tutte le famiglie si è abbattuta nello stesso modo la contrazione dei consumi: l’esperienza ci insegna che i fenomeni sono polarizzati, cioè la propensione al risparmio aumenta con l’aumentare della fascia di reddito, mentre il calo dei consumi si abbatte sulle fasce più basse. In altre parole, complice la politica del governo, l’emergenza-Covid si è tramutata in un’altra occasione per una gigantesca redistribuzione del reddito a vantaggio del profitto e della rendita, a danno dei redditi da lavoro dipendente, soprattutto dei precari, dei pensionati e dei disoccupati.
L’aumento della massa monetaria in circolazione, una volta che le varie misure decise dalle istituzioni europee e nazionali andranno a regime, non si tradurrà in un miglioramento delle condizioni delle fasce sociali a basso reddito: l’aumento della massa monetaria provocherà l’aumento del PIL nominale, in quanto la stessa massa di merci si troverà rappresentata in una massa monetaria aumentata, generando inflazione e, mentre i capitalisti potranno rispondere all’inflazione con l’aumento di prezzo delle merci prodotte, i redditi dei lavoratori dipendenti e dei pensionati rimarranno inchiodati agli importi previsti da contratti e leggi varie, come per i sostegni ai senza reddito. Alla fine della giostra, quindi, anche se parte dei finanziamenti pubblici finiranno in qualche briciola di reddito d’emergenza o di quarantena, l’immissione di liquidità si tradurrà in una riduzione del potere d’acquisto di salari e pensioni, quindi in un taglio del reddito reale delle classi sfruttate.
La scelta politica dell’aumento del PIL si traduce in un approccio neomalthusiano. Quando il ministro Gualtieri parla di risorse aggiuntive pari al 6% del PIL da destinare all’aumento di quest’ultimo, parla in primo luogo di risorse finanziarie, che evidentemente non saranno destinate a sostenere la domanda, privata o pubblica, ma l’offerta, cioè la produzione, cioè il reddito dei capitalisti. Se invece parla in termini reali, in termini di massa di beni e servizi da destinare all’aumento del prodotto interno, parla di beni e servizi che devono assumere una forma specifica per essere utilizzabili all’interno del processo produttivo, una forma diversa da quella dei beni e servizi destinati ai consumi delle classi privilegiate oppure da quella dei beni e servizi destinati alle famiglie di operai e impiegati, come si dice in linguaggio statistico. Ogni aumento della produzione implica un aumento dei fattori della produzione. Se il fattore umano è sempre disponibile, vista la consistenza dell’esercito industriale di riserva, il capitale fisso ed il capitale circolante devono essere prodotti, o attraverso nuove produzioni o attraverso la trasformazione di produzioni di altro tipo in quel tipo di produzioni. Quindi, visto che l’aumento del PIL previsto è inferiore all’aumento degli investimenti, ne deriva che l’aumento degli investimenti viene compensato da una diminuzione della produzione di beni e servizi destinati al consumo. Poiché gli studi di mercato ci insegnano che il settore dei beni e servizi destinati al consumo delle classi privilegiate è in espansione, i consumi tagliati saranno ancora una volta quelli popolari.
Inoltre, poiché l’aumento degli investimenti porterà con sé l’aumento della produttività, ci sarà ancora meno bisogno di braccia, con inevitabile aumento della disoccupazione da una parte, aumento della pena e del logoramento da lavoro per quegli sfortunati che rimarranno prigionieri delle grinfie capitaliste.
Se quindi la crisi economica indetta dalle politiche governative di contenimento della pandemia si è tradotta in un peggioramento delle condizioni di vita dei ceti popolari, la politica della ripresa economica e dell’aumento del PIL porterà ad un ulteriore peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro.
Come diceva Amadeo Bordiga quasi settanta anni or sono, “questi maltusiani di oggi non portano in evidenza, non solo i rentiers e i loro cortigiani e preti, ma nemmeno gli imprenditori. La loro è una società in cui si immagina che il ‘patrimonio’ di ogni azienda sia di tutti i cittadini o quanto meno di tutti i suoi dipendenti. Ognuno viene infatti a spartire quanto di reddito salta fuori dalla forza-lavoro (a tre quarti!) e dalla ricchezza sociale nazionale, o aziendale. Quando poi risparmia, è chiaro che riceve in cambio azioni di cointeressenza nella propria azienda, che hanno il carattere di una compartecipanza al reddito nazionale ‘da capitale’.”
L’idea che il ciclo economico capitalistico possa essere rappresentato come in crescita continua, interrotta da brevi periodi di crisi, è messa in discussione da alcuni economisti critici, fra cui Alan Freeman che, in un lavoro del 2014, conclude che i periodi di crescita sono delle eccezioni nella storia del capitalismo. In particolare, i periodi di sviluppo traggono origine da precondizioni ben definite: l’azione di un governo o di un gruppo di governi che combina la coercizione verso altri stati o comunità indigene con il supporto diretto al capitale nazionale all’interno. Si avverte un’eco del contributo originale di Rosa Luxemburg alla critica dell’economia politica.
Questo approccio aiuta a comprendere l’intreccio fra le politiche di sviluppo, il dirigismo economico e l’autoritarismo politico e sociale. In altre parole solo lo stato di emergenza, la guerra civile strisciante, permettono ai governi di ridurre il prezzo della forza lavoro al di sotto del proprio valore, dando il sostegno principale al capitale nazionale. Alla luce di queste riflessioni, lo stato di emergenza giustificato con l’epidemia di coronavirus è una magnifica occasione di disciplinamento sociale e di centralizzazione delle risorse nelle mani del governo. D’altra parte gli stessi dati rilasciati dalle autorità non possono nascondere come aumento del PIL ed aumento dei contagi vadano nella stessa direzione, svelando al tempo stesso che l’uscita dalla pandemia non avverrà tanto con un ipotetico vaccino ma con l’uscita dalla religione del PIL. Proprio il rapporto tra crescita economica e contagi mostra il carattere nocivo del capitalismo in quanto tale, il carattere distruttivo del rapporto monetario che ne costituisce il legame sociale.
Ecco il risultato della produzione organizzata per il profitto individuale del singolo capitalista: il disordine, lo sciupio di forze umane, la scarsezza voluta dei prodotti, i lavori inutili e dannosi, la disoccupazione, le terre incolte, la crisi ambientale, le epidemie. A questi mali si può porre fine solo togliendo ai capitalisti il possesso dei mezzi di produzione e della terra e quindi la direzione della produzione; sostituendo alla competizione capitalistica la libera associazione di donne e uomini, che lavorano con mezzi di produzione comuni e spendono coscientemente le loro molte forze-lavoro individuali come una sola forza-lavoro sociale.
Tiziano Antonelli