La Grossa Bugia è la principale arma usata nella propaganda elettorale, da ogni lista che seriamente ambisca alla vittoria e non voglia fare solo opera di testimonianza.
Se per la Destra “peggiore” la Grossa Bugia è quella della sicurezza e dell’invasione, per la Destra “migliore” (rappresentata dalle forze che sostengono l’attuale governo ed in particolare il Partito Democratico) la Grossa Bugia è quella del taglio del cuneo fiscale.
Il ministro dell’economia Gualtieri, a pochi giorni dalle elezioni regionali in Calabria ed Emilia-Romagna, afferma che il taglio del cuneo fiscale sarà una misura strutturale e si vanta che “dal primo luglio le buste paga di milioni di italiani saranno più pesanti e continueranno ad esserlo anche dopo” – così afferma in una trasmissione televisiva.
Stando a quanto pubblicato sul sito del Ministero dell’Economia e Finanza, il provvedimento porterà il bonus IRPEF ad un massimo di 100 euro mensili per le retribuzioni fino a 28.000 euro annui lordi, per poi decrescere progressivamente fino a ridursi a zero per le retribuzioni oltre i 40.000 euro annui lordi.
Il Governo ha dichiarato di aver stanziato 3 miliardi di euro per il 2020 e 5 miliardi a partire dal 2021 e che queste risorse provengono dalla lotta all’evasione fiscale. Pensate che cosa sarebbe possibile fare se il governo aggredisse le centrali dell’evasione fiscale: le basi NATO e la Chiesa cattolica! Comunque, perché definire il taglio del cuneo fiscale la Grossa Bugia?
Gli importi sono comprensivi degli 80 euro del bonus Renzi; se sottraiamo agli importi del bonus IRPEF l’importo del bonus Renzi, emerge chiaramente l’aspetto distorsivo del taglio del cuneo fiscale. Ad esempio, per la fascia di reddito fra euro 8.173 e 24.600, la quale riceveva per intero il bonus Renzi di 960 euro annui, il taglio del cuneo fiscale sarà di 120 euro per il 2019 e 240 nel 2020, poi crescerà fino ai 26.000 euro annui di reddito. Per la fascia 26.001 – 28.000 euro annui lordi sarà di 1.200 euro annui, il massimo.
Inoltre, i calcoli del ministero e dei sui apologeti, politici e sindacali, nascondono l’impatto che la misura avrà sulle deduzioni e sulle detrazioni già in essere, e sui rimborsi derivanti dal 730. Anche in questo caso, il taglio del cuneo fiscale avrà un effetto distorsivo sulla progressività dell’imposta, perché le imposte che gravano sui redditi più bassi sono già tanto ridotte da non poter approfittare in pieno degli importi previsti dal bonus IRPEF. D’altra parte, per gli altri redditi, spesso il bonus avrà l’unico effetto di anticipare e spalmare i rimborsi IRPEF.
Secondo le stime del ministero dell’Economia e Finanza, sono circa 3 milioni e mezzo i lavoratori esclusi dal taglio del cuneo fiscale perché percipienti retribuzioni inferiori alla soglia minima. Come si vede, a questi vanno aggiunti quelli che vedranno ridotti o annullati i rimborsi IRPEF, oltre ai disoccupati e ai pensionati comunque esclusi.
Se il governo avesse voluto fare una misura a beneficio dei redditi più bassi e dei senza reddito avrebbe potuto ridurre o abolire l’IVA, l’imposta indiretta, sui beni di prima necessità, quelli usati per il calcolo dell’indice dei prezzi per le famiglie di operai e impiegati. Senza aumentare le buste paga, il reddito reale sarebbe comunque aumentato per la diminuzione dei beni e servizi acquistati.
Il taglio del cuneo fiscale si rivela quindi come una misura elettorale. Il governo giallo rosso e le liste elettorali che lo sostengono si sono resi conto che gran parte dei lavoratori dipendenti sono rimasti delusi per l’introduzione della flat tax da parte del precedente governo, a vantaggio delle partite IVA, mentre nessuna delle promesse fatte in campagna elettorale ai lavoratori veniva applicata. Per questo, alla vigilia delle elezioni regionali in Calabria ed Emilia Romagna, il governo Conte ha provato a ricucire i rapporti con questa fascia di elettori, con una misura di facciata che accentua il carattere di classe dell’imposizione fiscale ed introduce elementi di contrapposizione fra le varie categorie di sfruttati.
A questo proposito, il segretario della CGIL Maurizio Landini si rivela un vero e proprio talebano dell’attuale maggioranza. In un’intervista rilasciata pochi giorni prima dell’approvazione del decreto, Landini afferma che i sindacati uniti ottengono un aumento delle buste paga e l’impegno da parte del Governo ad aprire una trattativa per la riforma del fisco. Abbiamo già visto che l’aumento previsto dal taglio del cuneo fiscale è molto ridotto, perché allora il segretario del principale sindacato lo enfatizza? Oltre alle ovvie motivazioni politiche, e alla necessità di difendere la traballante maggioranza di governo, Landini sa che il suo sindacato, come del resto i partiti politici, trae la maggioranza dei consensi e soprattutto attivisti e quadri fra le fasce privilegiate del proletariato e dai funzionari pubblici, sicuri beneficiari del bonus IRPEF. Proprio grazie a queste scelte la CGIL si conferma come sindacato giallo, perché anziché tenere presenti e battersi per gli interessi comuni di tutti gli sfruttati, accetta e magnifica le elemosine che la borghesia e il suo governo offrono, per legarli a sé, agli strati superiori del proletariato, ottenuti con il supersfruttamento degli strati inferiori e dei paesi satelliti.
La proposta di riforma fiscale avanzata nell’intervista da Landini è abbastanza confusa, i temi trattati però sono tali da ingenerare ulteriore confusione. Quando il segretario della CGIL afferma che le risorse vanno trovate in una “rimodulazione dell’IVA”, questo significa che, anziché battersi per la riduzione delle imposte dirette, si apre uno spiraglio per il suo aumento – e l’aumento dell’IVA significa peggioramento delle condizioni di vita dei ceti meno abbienti, aumento della sperequazione del sistema fiscale. Quando poi si parla di “detassazione degli aumenti contrattuali”, significa parlare di aumenti che non avranno ripercussioni sulle pensioni e sugli altri istituti contrattuali, aumenti ottenuti magari attraverso voucher da spendere nella scuola o nella sanità privata, accentuando lo sfacelo del sistema pubblico.
La prospettiva delineata dal segretario della CGIL è quindi quella di un’accentuazione della contrapposizione fra gli strati superiori e quelli inferiori della classe sfruttata; in questa prospettiva le mance all’aristocrazia operaia saranno pagate con i tagli al reddito e ai servizi sociali destinati agli strati più deboli.
Questa politica può salvare il governo giallo rosso dall’avanzata dell’opposizione? Il destino di un governo non mi appassiona più di tanto, un governo che è comunque il governo della miseria, della disoccupazione, della repressione e della guerra. Il problema reale è che questo governo e le forze politiche che lo sostengono agitano di fronte all’avanzata delle destre lo spettro del fascismo. Milioni di sfruttati hanno ormai perso fiducia nelle liste di sinistra, nel sistema elettorale, nelle istituzioni; usare il tema dell’antifascismo per sostenere un governo privo di credibilità di fonte alla maggioranza degli sfruttati può avere un solo risultato: identificare il peggioramento delle condizioni di vita, la repressione, la guerra con l’antifascismo, delegittimandolo agli occhi degli strati meno politicizzati dei ceti popolari.
Forse è proprio questo che le classi dominanti vogliono ottenere, allo stesso modo che la politica dei sacrifici e della delazione portata avanti da Berlinguer e dalla sua cricca negli anni ’70 del secolo scorso ha delegittimato l’ideale del comunismo agli occhi di molti proletari.
Tiziano Antonelli