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Il Grillo e il reddito di cittadinanza

Il Grillo e il reddito di cittadinanza

Nel disegno di legge presentato dal Mov. 5 Stelle, si legge che il “reddito di cittadinanza finalizzato a contrastare la povertà, la disuguaglianza e l’esclusione sociale nonché a favorire la promozione delle condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro e alla formazione attraverso politiche finalizzate al sostegno economico e all’inserimento sociale di tutti i soggetti in pericolo di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro. Il Reddito di cittadinanza è istituito su tutto il territorio nazionale allo scopo di promuovere le condizioni che rendano effettivo il diritto al lavoro e alla sua libera scelta, all’istruzione, all’informazione, alla cultura sottraendo ogni individuo dall’ambito della precarietà al fine dell’ottenimento della redistribuzione della ricchezza e della salvaguardia della dignità della persona.” Un reddito inferiore alla soglia di povertà come afferma Grillo: “È destinato a chi perde il lavoro, a chi non lo raggiunge. Sono 780 euro al mese, ma varia a secondo del numero dei componenti familiari. Penso a una coppia con figli, lei casalinga: gli si potrà garantire 1.200-1.300 euro. Nel frattempo chi ne usufruisce segue un percorso con lo Stato. Gli si offrono due-tre lavori, se non li accetta, perde il reddito”. La soglia di povertà relativa è il valore convenzionale calcolato dall’ISTAT che individua il valore di spesa per consumi al di sotto del quale una famiglia anche composta da un singolo soggetto, viene definita povera in termini relativi, ossia in rapporto al livello economico medio di vita dell’ambiente o della nazione. La riorganizzazione del mondo del lavoro il Jobs Act di Renzi, non regge il confronto con le riforme attuate nel resto d’Europa. Perché la flessibilità imposta al mercato del lavoro presuppone i sistemi di welfare già presenti negli altri Paesi. In Germania si punta sulla filosofia del “back to work, ritorno al lavoro, Schroder ha si, tagliato la spesa sociale, prima i tedeschi senza lavoro prendevano di più, ma il reddito minimo garantito rimane una colonna di quella riforma. In Germania la disoccupazione permette comunque di mettere il pane in tavola, mentre la riforma in Italia no. Il Jobs Act prevede una indennità di disoccupazione che in altre forme c’è sempre stata, dura pochi mesi (al massimo due anni) e poi lascia le persone senza alcuna rete sociale. Offrire un tale strumento quando un tedesco, un francese, un olandese, un inglese che possono contare su sussidi e benefit senza limiti di tempo significa affabulare. Uno studio della Commissione europea già nel 2006 descriveva l’Italia come il Paese con la maggiore flessibilità e la minore protezione. E già negli anni ’90 la UE chiedeva di introdurre una forma di reddito minimo garantito. Ma per il reddito di cittadinanza non ci sono i soldi. La spesa italiana per il welfare è assolutamente in linea con quella degli altri Paesi europei. Il nostro sistema è poi squilibrato in direzione delle pensioni. In tal modo si ha più controllo sociale, il controllo delle famiglie sulle nuove generazioni. I costi del reddito universale sono valutati in 8-10 miliardi di euro, esclusi il sostegno per affitto, figli, ecc. Dove trovarli? Recuperando il 15% dell’evasione fiscale (150 miliardi l’anno in Italia) si potrebbe dare un reddito a tutti coloro che non lavorano, licenziati o meno, cinquantenni o diciottenni. Con il 25% si arriva a coprire anche i sostegni per la casa, gli assegni per i figli. Il problema di un sussidio che poteva essere preferito all’impiego si è posto in Inghilterra come in Germania, l’erogazioni sono stare abbassate e le politiche attive per l’occupazione sono state fortemente implementate, autentici eserciti dislocati negli uffici, in Germania 90mila qua intorno ai 20mila e meno del 5% degli occupati ha trovato lavoro grazie ai centri, il mondo produttivo non vi passa. Nei centri tedeschi, ma in generale nord-europei, la persona è al centro, le vengono fatte delle interviste e le viene affidato un tutore che segue il suo percorso. Nel resto dell’Europa – i sistemi UE sono abbastanza omogenei tra loro – il disoccupato non è per forza qualcuno che è stato licenziato. Allo stesso modo in Italia dobbiamo scindere il concetto di reddito da quello di lavoro. E’ questo il vero pilastro del welfare europeo. In Italia sembra assurdo che si possa percepire un reddito e non lavorare. All’estero un ragazzo di diciotto anni entra in un job center, mette una firma, e inizia a percepire il suo reddito minimo garantito. Al quale si aggiunge un sostegno per l’affitto e altri benefit per lo studio e la formazione più in generale. Indipendentemente dalla classe sociale o dal reddito dei propri genitori. Non si creano sussidi per chi è in difficoltà, non si istituzionalizza la povertà individuando la categoria degli indigenti incentivandola a non abbandonare la propria condizione per non perdere quella forma di assistenza. Così facendo non si cambia. Anzi, si aprono le porte al lavoro nero. Al contrario, se il sussidio ha carattere universale “il povero” avrà tutto l’interesse a uscire dalla propria condizione, sapendo che non perderà comunque questo diritto, l’Italia, assieme alla Grecia e all’Ungheria, è l’unico paese in Europa in cui non esiste un reddito minimo garantito. Quando il welfare non è un diritto, il lavoro stesso diventa una forma di welfare. Questo crea “distorsioni democratiche” laddove la politica utilizza l’occupazione come strumento di clientela. Chi non ha diritto a una rete di protezione che lo tuteli dai rischi insiti in un mercato del lavoro più flessibile è più precario è ricattabile. Questa è una delle ragioni profonde della volontà tutta italiana di non avere un reddito minimo garantito. Il nostro è un welfare che si flette in favore di questi gruppi di potere, con il salario minimo garantito: è la paga oraria minima che il datore di lavoro deve corrispondere; sembra banale e ridicolo, ma è quello che sostiene Renzi, dice che ci avviciniamo al modello sociale europeo, ma mente.

La proposta dei Grillini contempla di finanziare il reddito di cittadinanza attraverso il prelievo sui giochi, (peccato che siano proprio le categorie sociali più deboli quelle che tentano la fortuna con gratti e vinci e macchinette infernali), tagli alla difesa (con buona pace di chi dice che sono dei fascisti mascherati), tagli agli affitti e patrimonio pubblica amministrazione, una mensilità dalle pensioni di 3400 euro, patrimoniali superiori ai 2 milioni di euro, la robin tax.

Ora, molti ricorderanno nei primi anni 2000, il dibattito sul reddito di cittadinanza ha attraversato tutta la sinistra moderata ed estrema, anzi fu una delle ultime battaglie, diciamo unificante per unire il carattere frammentario delle lotte di allora e settori politici attraverso una mobilitazione che suscitasse nuove energie. Il Grillaccio interclassista del malaugurio non fa che riprendere una battaglia dei movimenti per riproporla spoglia del suo carattere rivendicativo e classista, sebbene pure la Tobin tax, (il nome corretto si rifà ad un economista che aveva ipotizzato una tassa sulle speculazioni finanziarie, quelle per capirci che fanno oscillare le borse con i capitali che giocano nelle borse come fosse un roulette) aveva come scopo principale quello di riequilibrare il rapporto fra capitale finanziario, capitale industriale e stati nazioni, in modo da non metterne a rischio le attività produttive e quindi le politiche economiche. La battaglia di allora forse avrebbe impedito le crisi dovute alle speculazioni finanziare o forse no, visto che la stessa è effetto della delocalizzazione, dell’industrializzazione di paesi prima esclusi, dei nuovi mercati; per taluno era solo motivo di radicalizzazione, iniziativa e proposizione dal basso, ma se si esclude la Francia, nel nostro paese simili battaglie non hanno attecchito molto, né spostato la deriva istituzionale e di chi aveva un piede già là dentro e pretendeva di influenzare se non pilotare i movimenti. 

Le forme di sussidio fin qua erogate, hanno avuto lo scopo di impedire esplosioni sociali, un costo diverso da quello necessario per far funzionare la macchina dell’accumulazione, fatta da guardie, preti, poliziotti, medici e psiconalisti, ecc. Un reddito di cittadinanza consistente e garantito a tutti distruggerebbe la sottomissione al lavoro della popolazione, quella sottomissione vitale alla produzione e distribuzione capitalista, nel nostro sud impedirebbe forme di sfruttamento selvaggio e avrebbe la funzione di alzare i salari, per quale motivo infatti persone già retribuite dovrebbero svolgere lavori pesanti, nocivi e ripetitivi? Solo una spinta dal basso, autenticamente rivoluzionaria e classista, diversificata e diffusa sul territorio, tesa alla soddisfazione, autogestione dei bisogni, dalla casa, all’acqua all’accesso alla terra, poliedrica negli interessi, che combatta necessariamente e seriamente su più livelli, sindacale, politico, ma soprattutto culturale, capace di far fronte comune, attraverso l’azione diretta a autorganizzazione sociale alla reale trasformazione radicalmente anticapitalista e antistatale potrà garantire un futuro altro.

Orestes

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