“Abbiamo assistito a un caos poco edificante di cui anche i giornalisti hanno un’ampia responsabilità. Quelli forniti dal ministero e dall’Inps sono dati di fonte amministrativa, non “statistiche”. Valutare il saldo tra attivazioni e cessazioni dei contratti come se fosse un aumento di teste, cioè di occupati, è una approssimazione non accettabile.
Il governo fa il suo mestiere, ma a me preoccupa molto quando si sbandierano dati positivi dello 0,1%, anche perché poi – come si è visto – portano a fare dietrofront il mese dopo.” (Giorgio Alleva presidente Istat-Il Fatto quotidiano 6.8.2015)
Era stato buon profeta il presidente dell’Istat se lo scorso 26 agosto il Ministero del Lavoro ha dovuto ammettere di avere preso un colossale granchio nel diffondere, il giorno precedente, dati sull’occupazione 2015 completamente sballati, guarda caso in eccesso.
Dopo avere annunciato la creazione di ben 630.585 nuovi contratti a tempo indeterminato nei primi sette mesi dell’anno, sbugiardato da una giornalista del Manifesto, il Ministero ha infatti dovuto precipitosamente rettificare, spiegando che il reale numero si riduceva a soli 327.758, tra i quali 210.260 cosiddette ”trasformazioni”, cosa che porta i nuovi contratti effettivi dal 1 Gennaio al 31 Luglio a soli 117.498 !!!
Troppa fretta nel dare la grande notizia proprio mentre a Rimini il ministro Poletti partecipava al Meeting di CL ?
Di sicuro il Ministro ed i suoi stretti collaboratori hanno rimediato una figuraccia di immani dimensioni e, non contenti, per tentare di rimediare hanno diramato una serie di ridicole e goffe giustificazioni.
“Purtroppo, un errore nei calcoli relativi alle diverse componenti ha prodotto valori non esatti“, ha dichiarato il ministero.
Da parte sua Poletti afferma: “C’è stato un errore umano nello scrivere una tabella, i dati che abbiamo modificato sono allineati a quelli dei mesi precedenti, confermati dall’Inps”, aggiungendo che si deve invece considerare il dato più importante perché “c’è una conferma dell’incremento importantissimo dei contratti stabili e un crollo delle collaborazioni“.
Ma la frittata era ormai fatta, a coronamento di una stagione che – tra un tweet e l’altro - ha visto il governo occupatissimo nel diramare cifre e tabelle che magnificavano i risultati prodotti dalla Riforma del lavoro mentre, allo stesso tempo, veniva annunciata la ripresa dell’economia.
Ad oggi, la vicenda dei contratti fasulli è però servita a mettere in piena luce come i media, ligi agli ordini di scuderia, siano disposti a veicolare verso i lettori qualsiasi panzana provenga dalle stanze del potere. E di vanterie basate sul nulla Renzi ne ha già dette non poche, ovviamente apparse sulle prime pagine con toni trionfali.
Una fra tutte quando, nel novembre 2014, affermò che – grazie all’azione del suo Governo - nei sei mesi precedenti Settembre erano stati creati ben 153.000 nuovi posti di lavoro.
A volte però si esagera: come infatti notava alquanto stizzito L. Ricolfi su La Stampa del 23/11/14 - il conto era stato furbescamente effettuato confrontando “…i dati di settembre non con quelli di 6 mesi prima (marzo), ma con quelli del mese più basso dell’anno (aprile, in questo caso)” .
Ed ancora sul tema lavoro, ecco un chiaro esempio di cosa significhi eseguire gli ordini di scuderia:
(10 Luglio 2015) “Jobs Act: Renzi, ‘C’è l’inversione di tendenza’!” Ministero, a Maggio + 185mila contratti - Si attesta a 184.707 l’aumento dei contratti nel mese di Maggio. E’ quanto emerge dai dati della comunicazione Flash del ministero del lavoro che segnano 934.258 attivazioni di contratti e 749.551 cessazioni”.
Peccato che, leggendo i numeri forniti dal Ministero, risultasse evidente che l’inversione di tendenza annunciata da Renzi era ancora una volta frutto di pura “disinvoltura” nell’uso delle statistiche.
Per cominciare, la cifra di 185.000 nuovi contratti non si riferiva (ovviamente) ai soli contratti a tempo indeterminato e, inoltre, non si discostava dai 182.000 nuovi contratti del Maggio 2014, quando il Jobs Act era ancora di là da venire.
Inoltre, quanto ai posti di lavoro “a tutele crescenti”, il saldo tra i nuovi contratti e quelli cessati ammontava a soli 271 (Duecentosettantuno) escluse le trasformazioni; ne consegue – ma i media non ne hanno fatto cenno adeguato - che tutti i rimanenti 184mila e rotti nuovi contratti erano ovviamente da ascriversi tra le varie categorie di lavoro precario.
Oggi pare però che il il giocattolo di Renzi si sia improvvisamente inceppato, dato che a Giugno il saldo dei contratti indeterminati è addirittura negativo ( -9500) con una ripresina a Luglio (+ 47).
A dare una botta ai vaniloqui renziani ha provveduto il segnale di allarme lanciato lo scorso 31 Luglio dall’Istat (disoccupazione salita al 12,7%, quella giovanile al 44,2%, +85mila disoccupati nell’ultimo anno) che ha improvvisamente messo in ambasce quella stampa, ed i suoi proprietari, che fino ad allora avevano sostenuto incondizionatamente il Governo e che ora iniziano invece a nutrire seri dubbi sulle capacità del premier nel creare in qualche modo occupazione e poter quindi continuare il suo spettacolo di illusionismo.
Infatti, per chi non fosse in malafede oppure obnubilato dal noto personaggio, era fin troppo evidente come tutta la smodata propaganda governativa fosse soltanto un puro espediente mediatico per creare un falso obbiettivo sul quale catalizzare l’attenzione dei cittadini.
Uno specchietto per le allodole equivocando furbescamente sulle parole (Tutele crescenti) e una colossale foglia di fico sotto la quale nascondere la vera sostanza della riforma: dare alla questione lavoro una svolta definitiva basata sul presupposto neoliberista secondo il quale, eliminati lacci, laccioli e impicci di varia natura, il “mercato del lavoro” opera in maniera efficiente e favorisce l’occupazione (grazie alla completa sottomissione dei lavoratori, diremmo noi).
Andando ancora più a fondo della questione, l’intero impianto dell’inganno governativo era finalizzato a raggiungere un puro e semplice baratto tra la pelle dei lavoratori, cancellando e/o indebolendo tutele e diritti, e le smanie liberiste di FMI e UE, per ottenere in cambio un atteggiamento compiacente in fatto di allentamento dei vincoli sui conti pubblici.
Né più né meno di quanto accaduto nel 2012 in Spagna con la Reforma laboral di Rajoy, che per molti aspetti anticipava in modo impressionante il contenuto del Jobs Act.
Non a caso abbiamo visto approvare frettolosamente entro la fine del 2014 la bestiale disciplina dei licenziamenti per poi rimandare a Marzo sia il nocciolo della Riforma che i decreti relativi ai sussidi di disoccupazione, tanto che l’Inps ha dichiarato di essere in procinto di effettuare i primi versamenti solo a fine Luglio, e pare sia attualmente in ritardo di qualcosa come 230.000 richieste di sussidio !
Il risultato della Riforma copernicana, quello effettivo sul quale nessun media spende una parola, non sono certo i 117.498 contratti “a tutele crescenti” dei 7 mesi 2015.
E’ sufficiente leggere le tabelle pubblicate dal Ministero per il mese di Luglio.
Se il lavoro “a tempo indeterminato” cala (a Giugno – 9.500 contratti, a Luglio: + 47 nuovi contratti) ed è pari al solo 18,0% del totale, la parte del leone (ringraziamo il Ministro Poletti per il suo Decreto) la fa ancora una volta il lavoro a tempo determinato (69,6% del totale) , cui si aggiungono l’Apprendistato (2,8%), le Collaborazioni (3,3%) e “Altro” (6,4%).
Tra ciò che il Ministero del Lavoro classifica come “Altro” si suppone siano da includere, ad esempio, il lavoro remunerato con il “Voucher”, escogitato dalla Legge Biagi per scovare il lavoro nero in agricoltura ma poi, con la Fornero, assurto a ben altri traguardi e, con il Jobs Act, letteralmente esploso, tanto che secondo l’Inps nei primi sei mesi del 2015 avrebbe avuto un incremento del 74%.
Uno strumento semplice, perché non prevede né contratto né indennità di qualsiasi genere per, un impiego usa-e-getta che, con l’innalzamento a 7.000 euro del tetto massimo annuo, potrà essere utilizzato d’ora in avanti in qualsiasi settore economico senza limitazioni di sorta.
Per finire, vale la pena spendere due parole sul cosiddetto part time “involontario”, sul quale basta il Rapporto Annuale 2015 Istat presentato lo scorso 20 maggio a Montecitorio e ignorato dalla stampa: “Il part time è l’unica forma di lavoro cresciuta quasi ininterrottamente negli anni della crisi. Gli occupati part time sono oltre quattro milioni nel 2014, il 18,4 per cento sul totale degli occupati ( … ) il maggiore ricorso al tempo parziale sembra essere stata una delle strategie delle imprese per far fronte alla crisi. L’incremento ha riguardato soprattutto quello involontario, scelto in mancanza di occasioni di lavoro a tempo pieno: la sua incidenza sul totale degli occupati a orario ridotto è cresciuta dal 40,2 per cento nel 2008 al 63,6 nel 2014. ( … ) A livello europeo si passa dall’11,7 per cento dell’Italia al 5,8 per cento della media Ue .”
A distanza di tempo suona oggi come uno sbeffeggio quel “Ora non avete più scuse !” rivolto da Renzi all’imprenditoria nazionale, ben sapendo che – in mancanza di opportuni vincoli - i milioni di euro della decontribuzione sarebbero stati utilizzati in massima parte per le trasformazioni, con un effetto nullo sull’occupazione.
D’altra parte, si è mai visto il capitale disfarsi per pura bontà d’animo del suo esercito industriale di riserva ?
Peffe