Non siamo certamente felici di assistere ad un’arringa di due PM in una squallida aula di tribunale. Ma questo è lo stato delle cose ed a queste cose bisogna pur assistere in attesa di tempi migliori. Certamente sentire in un’aula di tribunale il nome di Marzotto, anzi del Conte Marzotto, accusato di omicidio volontario e disastro ambientale , un po’ di pelle d’oca ti viene. Non crediamo a questa giustizia, non ci abbiamo mai creduto e mai ci crederemo, ma intanto queste erano le barricate in atto, da una parte familiari di operai ed operaie deceduti per atti criminali, dall’altra padroni e padroncini che fingevano di non vedere o sapere cosa avvenisse in quella maledetta fabbrica. Loro guadavano gli altri morivano. Ora ci siamo. La sentenza è vicina. La richiesta delle PM , Camodeca e Gambassi , del processo Marlane sono state durissime, da sei a dieci anni per gli undici imputati responsabili di omicidio volontario, lesioni colpose e disastro ambientale . Sono garantista e so bene che anche in caso di condanna in primo grado, fino alla cassazione , gli imputati sono da considerarsi innocenti. Umanamente e socialmente sono però già stati condannati, dai fantasmi degli operai e delle operaie che si aggirano fra le mura di quella fabbrica. Oggi sono questi i giochi del potere giudiziario. Ma il processo in ogni caso diventerà un processo storico per la Calabria. Storico perché per la prima volta si è giunti ad un dibattimento su un disastro ambientale ed umano, parliamo di oltre cento operai ed operaie deceduti o ammalati, di proporzioni enormi. Non abbiamo avuto un processo per la Jolly Rosso spiaggiata ad Amantea nel 1990, vicenda finita senza responsabili ( un processo è in corso a Cosenza contro una ditta che avrebbe sepolto rifiuti nel fiume Olivo , ma non ha niente a che vedere con la società Messina proprietaria della Jolly Rosso). Non lo abbiamo avuto per i traffici di ferrite di zinco dalla Pertusola di Crotone finiti nei terreni del cassanese ( 18 arresti e vari funzionari della Regione Calabria ed un assessore all’ambiente finì tutto prescritto). Non lo abbiamo avuto, finito in prescrizione, per la Pertusola di Crotone ed i veleni al “cubilot” usati per le costruzioni di strade, scuole e piazzali. Non lo abbiamo avuto per le altri morti per tumori avvenute attorno a discariche tossiche nel vibonese, in Aspromonte, ad Africo. I poteri forti si aiutano e difendono a piacere, e i servi vengono sempre ben ripagati dal potere giudiziario. In Calabria non ne parliamo proprio, a fronte di un solo magistrato, scheggia impazzita, ce ne sono cento venduti alla ‘ndrangheta, alla massoneria al potere politico. In galera finiscono giovani disoccupati dediti ad attività illegali, o comunque povera gente senza un destino. Ma perché a Paola questo processo è stato possibile ? Prima di tutto grazie alla tenacia di due operai della fabbrica Marlane, Luigi Pacchiano e Alberto Cunto che ostinatamente hanno portato avanti denunce scritte alla Procura di Paola, di Cosenza, all’antimafia di Catanzaro. Poi al legame con il movimento ambientalista ed antagonista, piuttosto che a partiti e sindacati che avrebbero affossato di sicuro tutto. Solo a processo iniziato si è costituito il sindacato della CGIL provinciale, dopo che per anni la sezione dei sindacati all’interno della Marlane hanno fatto finta di non vedere niente minacciando addirittura con comunicati stampa quei pochi operai che parlavano di veleni e morti nella fabbrica. Solo adesso parla il sindaco del PD, Praticò alleato del segretario provinciale del PD e del consigliere regionale Guccione, mentre per trent’ anni sono rimasti in silenzio. Solo adesso la stampa regionale si occupa del processo mentre stava zitta quando gli operai morivano, in nome della difesa del lavoro a tutti i costi. Marzotto non si doveva toccare e guai ancora a chi parlava del Conte Rivetti, colui che ha portato il tessile in Calabria fin dagli anni 50 per poi , a finanziamenti statali chiusi, vendere tutto alla Lanerossi ed infine a Marzotto. Lui il Conte Rivetti, si è auto dedicato una statua a Maratea facendola passare per un Cristo. Le sue ceneri sono all’interno di una grotta basiliana posta proprio sotto la statua ed inaccessibile a chi volesse visitarla. Il sindaco di Maratea non ne sapeva nulla. I cancelli di chiusura sono ancora lì. Tutto questo a dimostrazione dell’atteggiamento reverenziale tenuto verso i grandi padroni che dal nord portavano benessere al sud. Oggi restano le strutture archeologiche industriali , ridotte ad un ammasso di rifiuti tossici, fatti di amianto, ferraglie varie, invase da topi e randagi. Così è la PAMAFI a Tortora, così è la Lini e Lane a Praia a mare, così è la Marlane circondata da terreni pieni di Cromo VI e veleni di ogni genere. Dopo le perizie fatte negli anni scorsi ed il ritrovamento dei rifiuti, il sindaco Praticò e il consigliere regionale Guccione ancora chiedono di sapere cosa c’è lì sotto, rinviando la bonifica che il “Comitato per le bonifiche” chiede da anni. Non ammettono l’esistenza dei rifiuti tossici sull’intera area, perché Marzotto vorrebbe vendere l’intera zona ad albergatori e imprenditori pronti a nuovi alberghi e villaggi turistici. Un’area da bonificare non è vendibile e giustamente la Procura di Paola la tiene ancora sotto sequestro. Marzotto attende oggi, chiuso in una delle sue splendide ville venete la sentenza. E’ cavaliere del lavoro, membro della Confindustria, ha ancora 2000 operai che lavorano per le sue aziende tessili ancora aperte nel Veneto, a Schio, in Cecoslovacchia, in Tunisia. Lui non è olandese come Tyssenkrupp, lui è italiano, è certo di non essere condannato. Nella Calabria malata, Marzotto, il suo nome per la verità, perché lui non si è mai sognato di essere presente a qualche udienza neanche per chiedere scusa ai familiari di quanto avvenuto, è entrato in un Tribunale, nel Veneto progredito ancora non si è mosso niente. Eppure anche lì ci sono morti ed ammalati di tumore. Ecco perché una sentenza di condanna sarebbe per la Calabria e anche per l’Italia tutta una dimostrazione di coraggio, di forza, di messaggio verso chi lavora e porta a casa un povero pezzo di pane. Gli operai morti asfissiati, a Rovigo, dai veleni ci riportano drammaticamente in una terribile realtà e ci ricordano uno per uno tutti quelli che per il lavoro, figlio dello sviluppo capitalista, hanno perso la loro vita.
Francesco Cirillo