Free(k) Pride

La stagione Free(k) Pride si è conclusa con una giornata dirompente di lotta frocia contro ogni imposizione e vincolo. Le strade della città si sono riempite dei corpi delle soggettività non conformi e non eteronormate, che con forza e leggerezza hanno messo in piazza la propria “mostruosa favolosità”, contro la marginalizzazione sociale, la violenza dell’istituzione familiare, la medicalizzazione e la patologizzazione dei corpi trans e intersex, le frontiere tra gli Stati e i confini tra i generi, il pinkwashing istituzionale della sindaca a 5 stelle. Un approccio intersezionale e intransigente, capace di scavalcare le barriere morali, sociali ed economiche che segnano la nostra quotidianità.

Due mesi di incontri, assemblee pubbliche e momenti di confronto hanno segnato un percorso, che riprendendo le fila del Nessun Norma dello scorso anno, è riuscito a creare spazi mostruosamente liberi in città.
Abbiamo cominciato con lo spettacolo all’università del 18 giugno, senza amplificazione e senza luce, ma con la forza dirompente di un’urgenza incontenibile, quella dei corpi e delle soggettività non conformi, quella dei corpi e delle soggettività che rifiutano ruoli imposti e confini tra i generi, quella di corpi e soggettività che vogliono smontare il dispositivo di genere, verso l’avventura del molteplice. Quest’urgenza ha segnato tutte le iniziative messe in campo dalla rete sino al corteo del 13 luglio.
Il 25 giugno l’assemblea contro la (sacra) famiglia sul sagrato della chiesa di via Santa Giulia, ha innervosito il prete, spingendolo a comiche intemperanze, perché i corpi negati e piegati dalla violenza della religione sfidavano l’ordine patriarcale e tutti quelli che lo vogliono conservare/restaurare.
Il 29 giugno al presidio al CPR i confini che dividono i sommersi dai salvati, sono divenuti tangibili, nelle grida di libertà e, fors’anche, di reciproco riconoscimento ai due lati di un muro chiuso da filo spinato e difeso da uomini in armi.
Il due luglio l’assemblea in piazza Castello, di fronte alla Regione Piemonte, ha raccolto le ragioni e le testimonianze delle persone intersex che vengono mutilate sin dall’infanzia, per adattarle ad uno dei due generi. Le persone trans hanno raccontato la loro lotta per essere riconosciute senza dover sottostare a protocolli medici, che patologizzano le loro scelte e le incanalano secondo una logica binaria.
Il sei luglio ad Asti si è svolto il primo Pride della città, oggi guidata dalla destra, che, con classica operazione di pink washing, ha appoggiato e partecipato al Pride, dove il sindaco è stato contestato dai compagn* dello spezzone indecoroso, scoppiettante, mostruoso. In testa Vulvatrix, il mostro che acchiappa omofobi e razzisti.

Le piazze attraversate dal Free(k) Pride di sabato 13 luglio sono state segnate dall’urgenza di una lotta che non si lascia inscatolare nelle gabbie istituzionali. Lotta intersezionale transfemminista e queer, forte della consapevolezza che la partita è e sarà durissima.
Il primo Pride, nel giugno del 1969 a New York è stato un riot. Da Stonewall a Torino, si intrecciano i fili glitterati di una scommessa in cui si gioca una partita di libertà che riguarda tutt*
Non un tacco indietro!

Di seguito il volantino distribuito al Free(k) Pride da* compagn* della FAT

Identità erranti
Liber* da stato frontiere polizia

Un Pride indecoroso, libero, mostruoso attraversa le strade di Torino, nel segno della rivolta frocia, della liberazione dai confini tra i corpi e tra gli Stati, del rifiuto del pinkwashing istituzionale. Un Pride che trova il suo orgoglio nella lotta contro ogni forma di oppressione e di sfruttamento. Un Pride che fugge la norma eteropatriarcale e non si piega alla legalizzazione delle proprie identità costitutivamente ed orgogliosamente erranti, fuori posto, fuorilegge. Un Pride che è lo specchio dei tanti percorsi di autonomia dai generi.
Sono passati 50 anni da Stonewall, dalla rivolta degli ultimi, dei corpi de-generi, poveri, razializzati. Sylvia Ribera, Marsha P. Johnson e tant* altr* scelsero di scendere in strada, di disobbedire alle leggi che imponevano la normalizzazione forzata. Si scontrarono con il braccio armato dello Stato che voleva piegarl* a suon di botte, manette e umiliazioni. Decisero di diventare orgogliosamente visibili.
50 anni dopo lottiamo ogni giorno contro le frontiere tra i corpi, contro la norma eterosessuale, contro la logica binaria che ci inchioda in ruoli definiti e rigidi, negando la libertà dei mille percorsi individuali, delle mille strade che si intrecciano, fuori dai reticoli istituzionali.
Vogliamo spezzare tutte le gabbie, tutte le frontiere, materiali e simboliche, che rendono arduo per ciascuno trovare l’agio di decidere come e dove vivere.

Le frontiere sono ovunque.
Le frontiere sono linee fatte di nulla su una mappa che uomini armati in divisa rendono vere.
Le frontiere dividono e uccidono.
Nel Mediterraneo e in montagna. Nei ghetti dei raccoglitori di frutta e pomodori, nei cantieri dove la sicurezza è un lusso. Nel cuore della nostra città dove un muro separa chi ha i documenti e chi no. Oltre quel muro, nel CPR, senza che nessuno se ne curasse, a 32 anni è morto Faisal.
Le frontiere sono in mezzo a noi. Sono le leggi sul decoro che cacciano i poveri dai luoghi pubblici, sono le leggi sulla proprietà che negano una casa a chi non ce l’ha.
Sono le frontiere tra i sessi, che piegano i corpi e le soggettività erranti alle regole della famiglia, nucleo “etico” che ingabbia le relazioni, fissa i ruoli, nega la possibilità di percorsi individuali fuori dalla norma patriarcale, statale, religiosa.

Nella nostra città Appendino sgombera le baraccopoli rom e i posti occupati, cementifica la città, promuove riqualificazioni escludenti, si congratula con la polizia che arresta gli anarchici… sfila in testa al Pride e benedice le famiglie arcobaleno, in una kermesse ormai ridotta a business, drenaggio di voti, elogio della polizia in versione arcobaleno.
La retorica della “cittadinanza” partecipativa sceglie chi includere e chi escludere, nel gioco feroce delle poltrone, del potere, delle alleanze.

Noi non ci stiamo
Libertà, uguaglianza, fraternità. I tre principi che costituiscono la modernità, rompendo la gerarchia che modellava l’ordine formale del mondo, hanno il loro lato oscuro, un’ombra lunga fatta di esclusione, discriminazione, violenza.
Questi principi tengono saldamente fuori tanta parte dell’umanità. Poveri, donne, omosessuali, transessuali, bambini, stranieri erano/sono esclusi dall’accesso a questi diritti. La loro universalità, formalmente neutra, è modellata sul maschio adulto, benestante, bianco, eterosessuale. Il resto è margine. Chi non è pienamente umano non può essere “cittadino”, soggetto di diritto.
Chi non è pienamente umano non può aspirare alle libertà degli uomini.
Una libertà regolata, imbrigliata, incasellata. La cultura dominante ne determina le possibilità, le leggi dello Stato ne fissano limiti e condizioni. Per chi ne è escluso si tratta di privilegi, per chi vi è inscritto diviene una gabbia normativa.
Come il matrimonio. Un legame sancito dallo Stato (e dalla chiesa) che fissano le regole e i limiti.
La strada del movimento lgbtqi+ è stata ed è ancora in netta salita. Fascisti e preti continuano le loro crociate per escludere dall’umanità una sua parte. Le discriminazioni, la violenza statale e culturale sono molto forti.
Chi vorrebbe le stesse possibilità degli eterosessuali – adozioni, pensione di reversibilità, diritto alla cura del partner – deve adeguarsi ad un modello rigido di relazione costruita sulla coppia e sui loro figli, alla legalizzazione dei sentimenti, delle passioni, della tenerezza.
Chi sceglie di starne fuori, di fare altre strade, non può avere questi diritti anche se eterosessuale.
Se la normalizzazione delle nostre identità erranti è il prezzo per accedere ad alcuni diritti che si ottengono solo con il matrimonio, un legame sancito e regolato dallo Stato, allora questo prezzo non siamo dispost* a pagarlo.
Vogliamo continuare ad attraversare le nostre vite con la forza e la leggerezza di chi si scioglie da vincoli e lacci.
Senza frontiere, che separino i sommersi dai salvati, i cittadini e gli stranieri.
Il percorso di autonomia individuale si costruisce nella sottrazione conflittuale dalle regole sociali imposte dallo Stato e dal capitalismo. La solidarietà ed il mutuo appoggio si possono praticare attraverso relazioni libere, plurali, egualitarie.
Una scommessa che spezza l’ordine. Morale, sociale, economico.

Federazione Anarchica Torinese
corso Palermo 46 – riunioni – aperte agli interessati – ogni giovedì alle 21
www.anarresinfo.noblogs.org

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