“(…) E lasciamo stare che l’uno cittadino l’altro schifasse e quasi niuno vicino avesse dell’altro cura e i parenti insieme rade volte o non mai si visitassero e di lontano; era con sì fatto spavento questa tribulazione entrata ne’ petti degli uomini e delle donne, che l’un fratello l’altro abbandonava e il zio il nipote e la sorella il fratello e spesse volte la donna il suo marito; e, che maggior cosa è e quasi non credibile, li padre e le madri i figliuoli, quasi loro non fossero, di visitare e di servire schifavano (…)” [1]
Boccaccio, intorno alla metà del XIV secolo, licenziò un’opera che prendeva spunto dall’epidemia di peste nera che si scatenò a Firenze nel 1348 – ma in realtà a livello mondiale, in una sorta di globalizzazione dai tempi di diffusione più lenti rispetto rispetto al presente: le prime notizie certe risalgono al 1346 in Crimea, ma la sua nascita dovrebbe risalire ad alcuni anni prima nel nord della Cina[2] – nello stesso secolo. D’altronde la storia letteraria italiana è tutt’altro che scevra da tematiche simili: un altro dei testi fondativi della letteratura nostrana sono anche I Promessi Sposi, all’interno dei quali è noto che Manzoni racconta, in maniera quasi maniacale, l’epidemia di peste che si manifestò intorno al 1629 per le strade di Milano e della Lombardia. Dopo aver incrociato Renzo per le strade meneghine un cittadino esclama:
“(…) Se mi s’accostava un passo di più – soggiunse – l’infilavo addirittura, prima che avesse tempo d’accomodarmi me, il birbone. La disgrazia fu ch’eravamo in un luogo così solitario, ché se era in mezzo Milano, chiamavo gente, e mi facevo aiutare ad acchiapparlo. Sicuro che gli si trovava quella scellerata porcheria nel cappello. Ma lì da solo a solo, mi son dovuto contentare di fargli paura, senza risicare di cercarmi un malanno; perché un po’ di polvere è subito buttata; e coloro hanno una destrezza particolare; e poi hanno il diavolo dalla loro. Ora sarà in giro per Milano: chi sa che strage fa! (…)”[2]
Il tema dell’invenzione del nemico era fondamentale per Manzoni, che lo riprese anche in un saggio storico.[3] Seppure in un italiano di tempi passati, le parole di Boccaccio e Manzoni suonano ai nostri orecchi stranamente ed inquietantemente attuali. D’altronde, oggi come ieri le prospettive future appaiono alla maggior parte dell’umanità del tutto imprevedibili: immersi adesso nel mondo del coronavirus, poi, tutti noi non sappiamo davvero come si evolverà la situazione presente che ci presenta davanti orizzonti che difficilmente possiamo immaginare. Fake news, suggestioni, paure, ansie fanno in questo modo breccia nella mente dell’individuo di ogni parte del mondo.
I racconti romanzati del nostro passato oggi ci fanno riflettere su stigmi che rintracciamo anche al giorno d’oggi, durante la tragica epidemia che stiamo vivendo legata alla malattia portata dal COVID-19. I nostri nonni e nonne ci hanno magari raccontato cosa voglia dire vivere in un tragico periodo di coprifuoco, trovarsi perennemente in una situazione di ansia per l’elemento imprevedibile e mortifero proveniente dal mondo esterno: il secondo conflitto mondiale è però cosa diversa da una epidemia. Anche se non ci troviamo davanti a spaventosi eventi catastrofici a livello sanitario del calibro della famosa influenza spagnola, l’epidemia più devastante del secolo precedente, noi abitanti contemporanei del mondo industrializzato non abbiamo vissuto direttamente nelle nostre vite nulla di peggio. Certo il numero, almeno fino ad adesso, di morti e di contagi, sono nettamente inferiori all’epidemia di un secolo fa, tuttavia questa comunque non scherza: ad oggi 29 Marzo 2020 – quando scriviamo queste righe – i numeri delle persone risultate positive ai test per l’individuazione del virus risultano essere 92.472, i deceduti 10.023 ed i guariti 12.384 nella sola Italia e si sta sviluppando ogni giorno di più nel resto del pianeta.[5]
Comunque, anche se i tempi storico-sociali sono differenti dalla Toscana trecentesca e dalla Milano di tre secoli dopo, la storia pare – purtroppo – ripetersi. Durante le epidemie di peste che si consumarono in Europa nei secoli passati, infatti, nacquero vere e proprie infondate teorie del complotto nei confronti di leggendarie figure negative che avrebbero sparso la peste volontariamente per le strade della città. Nel 2020 è cambiato il modo ma non la sostanza: dopo i decreti varati dal governo sulle restrizioni dei cittadini relativo all’obbligo di rimanere a casa per evitare la diffusione del contagio, vediamo ancora una volta nascere sia teorie del complotto del tutto fantasiose sia l’individuazione di pretesi nemici della comunità del tutto inventati.
La dimensione straordinaria del disastro ha poi sempre lo stesso storytelling dove anche elementi importanti dell’apparato istituzionale non sfuggono al contagio: sono risultati risultati positivi al Coronavirus personaggi della comunicazione mediatica come, ad esempio, il presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti, il presidente del Brasile Bolsonaro, il principe Carlo d’Inghilterra, il primo ministro inglese Boris Johnson. I grandi nomi si mischiano ai morti anonimi a dare l’idea di un contagio universale e trasversale.
In questo contesto abbiamo visto il tribunale popolare dei vari social scagliarsi astiosamente contro nemici improbabili. L’untore versione 2020 ha però una sua caratteristica apparentemente particolare rispetto ai secoli passati e, se ce lo avessero raccontato anche solo poche settimane fa, ci saremmo messi tutti a ridere: è colui o colei che va a correre da solo nei parchi o per le strade della città deserta. Sembra una narrazione da barzelletta o da romanzo fantascientifico di serie Z eppure oggi ci vediamo costretti ad attestarlo come una realtà consolidata. L’opinione pubblica dominante, sempre più incarnata dal commento qualunquista sotto molteplici link dei social, parla di colui o colei che va a correre od accompagna il cane a fare i suoi bisogni fisiologici come del male assoluto.
Le restrizioni presenti nei vari decreti emananti dal governo presieduto da Giuseppe Conte sono chiaramente espresse: è possibile uscire di casa solo per attività fondamentali, quali il rifornimento di generi di prima necessità, emergenze sanitarie e poco altro. Successivamente, il governo ha deciso di passare ad una linea ulteriormente coercitiva, inasprendo le multe per presenza immotivata per strada fino a 3000 euro: tutto ciò rende ancora più difficile, se non quasi impossibile, la libertà di movimento per qualunque essere umano sul territorio. Mentre fino a pochi mesi fa potevamo leggere determinati fenomeni solo su di un romanzo cyberpunk o del genere distopico,questi ora sono diventati pura realtà: l’apparato repressivo è arrivato addirittura all’utilizzo di droni per le strade per il controllo della popolazione civile!
Ora, se è vero che il primo veicolo del virus è proprio l’uomo e le sue relazioni sociali, per cui una richiesta di diminuire i contatti interpersonali ha una sua razionalità strumentale volta al contenimento del contagio, è anche vero che un tale livello tale di emergenza permette anche di distogliere l’attenzione dalle responsabilità delle istituzioni che tali norme hanno emanato: tutti quelli che, oggi, fanno a gara nell’emanare e/o chiedere decreti sempre più severi sono gli stessi che, ieri, facevano a gara nell’eliminare ospedali, posti letto, personale medico ed infermieristico, nonché nel regalare soldi ad una sanità privata le cui vantate mirabilie si sono sciolte come neve al sole di fronte all’epidemia. E se ne vantavano pure, costruendo su tali infamie la loro fortuna politica.
I decreti, a dire il vero, dettati in qualche modo dai comitati tecnico-scientifici, mantengono un minimo di razionalità strumentale e si concentrano sui meccanismi di evitare l’assembramento delle persone: di conseguenza, il cittadino che va a fare una passeggiata od a correre in completa solitudine non infrange affatto l’obbligo di mantenere una distanza di sicurezza minima e la cosa è formalmente del tutto legale. Quindi, per l’ennesima volta, ci troviamo di fronte ad un conflitto che si sviluppa tra i comuni cittadini piuttosto che rivolgersi nei confronti delle davvero colpevoli istituzioni. Per converso, prima del 21 marzo, data nella quale il governo ha deciso di chiudere tutte le attività produttive “non necessarie”, non è sorta nessuna vox populi dominante contro l’aggregazione di lavoratori all’interno di numerose fabbriche. La faccenda, nonostante l’evidente e questa volta effettivo pericolo, per usare un eufemismo, è quasi passata in sordina per la narrazione popolare.
Il nemico attuale, basata sul razzismo imperante, ora non è più l’immigrato o il cinese, bensì colui o colei che disseminerebbe il virus attraverso l’attività sportiva solitaria, portando a spasso il cane o recandosi in solitaria al lavoro. L’evidente irrazionalità della cosa rivela una dinamica antropologica che attraversa i millenni: parliamo dell’irrazionale tentativo di trovare un capo espiatorio, attività di fatto appoggiata dal potere poiché gli permette di sottrarsi a quella che dovrebbe essere la ben indirizzata rabbia popolare nei suoi confronti. Sembra di trovarsi di fronte ad esperimento sociale nel quale le cavie collaborano volontariamente, in una sorta di sindrome di Stoccolma…
Camminare a distanza l’uno dall’altro non vuol dire necessariamente essere diffidenti se non ostili: l’ostilità che si è formata tra gli individui mostra perciò il vero volto del populismo. Questo si presenta ideologicamente come il difensore degli interessi popolari contro i “poteri forti”; nella realtà, la sua costruzione di un nemico inventato – in Italia, un tempo il meridionale, poi l’immigrato, oggi il runner, domani chissà – svolge di fatto il ruolo di difensore di quei poteri che, a parole, dichiara di combattere. Oggi, la logica populistico-razzistica porta alla denuncia di chi viene notato a correre da solo o addirittura semplicemente portare a spasso il proprio cane, talvolta anche persone che si muovono da sole in macchina per andare al lavoro, atteggiamento rinforzato esplicitamente da molte amministrazioni locali di ogni genere: chiunque, a questo punto, potrebbe essere tuo nemico o nemica – salvo i potenti, ovviamente… più che una lotta al virus sembra quasi diventato per alcuni una lotta all’ultimo sangue con chiunque attraversi la nostra strada. Il rischio che il nostro mondo corre è l’allontanamento tra noi comuni mortali e la solidarietà tra padroni che vedono in questo gioco un modo di preservare i propri interessi.
Il distanziamento sociale chiaramente poi porta ad altri fenomeni sociologici, quale la ricerca di contatto attraverso altri mezzi. Internet, in tale contesto, gioca un ruolo fondamentale: chiusi dentro ad una gabbia, l’unico mezzo per cercare aggregazione sociale è attraverso uno schermo! Questo vasto esperimento sociale di reclusione, sembra sempre di più portare all’idealizzazione dell’aggregato sociale effettuato ognuno da casa propria. Le conseguenze nel futuro, chiaramente, potrebbero benissimo essere quelle di mettere in rischio anche le attività aggregative alle quali eravamo abituat* fino a ieri. La divisione sociale, l’autoisolamento, se può portare benefici di ordine sanitario, sta portando tanti e tali vantaggi al potere che difficilmente, una volta esauritosi il contagio, vorrà farne a meno.
Da questo punto di vista, il runner e tutti gli altri personaggi che gli vengono assimilati nella costruzione ideologica dell’invenzione del nemico 2.0, che continuano a correre da soli sopportando i mille idioti che li vedono come una sorta di untori, nel loro correre tracciano la strada della speranza: la strada della razionalità contro l’irrazionalismo dilagante. È una strada che dobbiamo tutti percorrere e che a tutti dobbiamo indicare: perché quando questa malattia giungerà al suo termine,soprattutto quando potremo di nuovo scendere per le strade ed operare collettivamente in maniera non solo virtuale, si presentino i conti a chi davvero di dovere.
Lorenzetto e F. Z.
NOTE
[1] BOCCACCIO, Decameron, Prima Giornata.
[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Peste_nera
[3] MANZONI, Alessandro, I Promessi Sposi, capitolo XXXIV.
[4] MANZONI, Alessandro, Storia della Colonna Infame, capitolo XXXIV.