Prosegue in modo sempre più odioso la propaganda militarista nelle scuole
Nello scorso mese di agosto è stato stipulato un accordo tra la Marina Militare e il Ministero dell’Istruzione per dare il via negli Istituti Tecnici (indirizzo trasporti e logistica, articolazione, costruzione del mezzo e conduzione del mezzo) e nei Professionali (indirizzo enogastronomia e ospitalità alberghiera) a percorsi di alternanza scuola-lavoro, oggi definiti PCTO. Il presupposto dell’iniziativa, come si legge nelle premesse dell’accordo, è il ruolo centrale che il mare ha per l’Italia, o per dirla con le parole dell’estensore dell’accordo, per il ruolo cruciale del cluster marittimo nella creazione di posti di lavoro e nell’economia del paese. Tutto ciò ovviamente sembrerebbe aver poco a che fare con il ruolo della Marina Militare se in questo “cluster” marittimo non avesse grande rilevanza la questione della sicurezza dei mari.
Nel testo dell’accordo viene infatti richiamata la strategia dell’Unione Europea per la sicurezza marittima e la necessità di una saldatura tra le varie politiche e strategie settoriali che rafforzi il legame di cooperazione civile e militare anche attraverso l’intervento nelle scuole e nell’ambito accademico. Da qui il ruolo della Marina Militare nella promozione e conduzione di attività che portano avanti, nelle scuole, gli obiettivi di cittadinanza e di sviluppo sostenibile previsti da Agenda 2030 con l’arrogante assunzione dell’improbabile ruolo di educatori da parte dei militari.
Un ruolo di servizio al civile che l’apparato militare sempre più assume in vari campi, in particolare nelle scuole, per giustificare la propria intrusione nel settore educativo e la relativa mission propagandistico ideologica con cui vorrebbe spadroneggiare nelle aule. Sull’intervento nelle scuole le forze armate costruiscono la giustificazione etica di una attività che ha tutt’altre caratteristiche.
Che cosa sia infatti la tanto richiamata sicurezza marittima non è difficile da capire: oltre al controllo repressivo dei flussi migratori è infatti stato evidenziato in occasioni recenti di carattere ufficiale, come il convegno Civiltà del mare tenutosi nella scorsa primavera a Livorno di cui abbiamo già trattato su questo giornale, che uno specifico interesse è rivolto ai fondali marini, intesi come spazio di estrattivismo (gasdotti, posa di cavi etc.) in funzione degli interessi di colossi quali ad esempio ENI. Queste, aldilà di ogni retorica di cittadinanza, le saldature reali fra militare e civile, legate a concreti interessi economici.
Se ci fossero dubbi sulla natura assai poco civica e tutta rigorosamente militare degli interventi nelle scuole, sarebbero illuminanti alcuni passaggi dell’accordo in questione che intimano alla parte scolastica di attenersi alla massima riservatezza per tutto ciò che concerne dati e informazioni di carattere militare di cui venisse a conoscenza. All’articolo 13 leggiamo infatti che: il personale non appartenente all’Amministrazione della M. M., partecipante, a qualsiasi titolo, alla presente attività, dovrà essere adeguatamente edotto sulle tematiche afferenti alla sicurezza delle informazioni e sulle possibili conseguenze, anche penali, derivanti dall’acquisizione intenzionale e/o non autorizzata di informazioni di carattere classificato e/o comunque ritenute sensibili per la M.M. e sulla loro indebita divulgazione, attraverso apposito momento informativo e susseguente sottoscrizione di apposito modulo.
Ci auguriamo che queste attività come altre già proposte, non abbiano successo nelle scuole.
Infatti, nonostante la potente campagna di colonizzazione militare in atto, già diversi progetti precedentemente proposti hanno avuto accoglienza meno che tiepida. Cresce infatti anche il fronte della protesta, grazie ad una rinnovata ostilità alla cultura delle armi che proprio la situazione di guerra ha sviluppato e grazie al lavoro di strutture utilissime, di recente costituzione, come l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole, che raccoglie dati relativi a tutti i gradi di istruzione. Perché se le scuole superiori sono le più bersagliate dalla militarizzazione in virtù delle attività di alternanza scuola lavoro e degli adescamenti occupazionali nel settore della Difesa, anche le scuole primarie non sono al riparo da campagne belliciste improntate alla fidelizzazione delle persone piccole. Campagne a cui si adegua anche il mercato, come sta a dimostrare la linea di zaini scuola militari (modello Folgore, Alpini etc) con cui l’azienda “Giochi preziosi” intende equipaggiare bambini e bambine, questione su cui l’Osservatorio ha lanciato iniziative di denuncia e boicottaggio. Forse però il segmento dell’istruzione più insidioso è quello universitario, sia per le dinamiche sfuggenti proprie dell’ambito accademico, sia per l’assenza di organi collegiali simili a quelli delle scuole, sia per i vari aspetti dissimulati e parcellizzati che spesso la ricerca assume.
Occorre impegnarsi perché la sensibilità antimilitarista cresca e si traduca in forme di opposizione efficace nelle scuole. Ognuno agisca al livello che sa e che può praticare, consapevole delle potenzialità e dei limiti che ogni forma di lotta può avere se non diventa terreno di egemonia ma si fa pratica solidale da mettere in comune con altre. Certamente è difficile inserirsi nelle dinamiche dei rigidi rapporti tra istituzioni, quella scolastica e quella militare, soprattutto quando tali dinamiche sono cementate da accordi formali, oltre che dalla logica gerarchica che le accomuna. Certamente è difficile, in una situazione sempre più disciplinata come quella delle scuole, confidare nell’opposizione legata ad atti prodotti dagli organi collegiali (mozioni, delibere etc) in cui si deve ricercare la maggioranza. Ma tutto serve ed è utile, purché non si confini nella sacca asfittica dell’opposizione istituzionale e contribuisca a creare ciò che veramente può rompere gli equilibri: il rifiuto generalizzato da parte di studenti, lavoratrici, lavoratori, educatori, genitori della propaganda di guerra, della cultura della morte, dell’oppressione, della gerarchia, dello sfruttamento, della cieca obbedienza.
Patrizia Nesti