È tempo di pagelle ed il primo quadrimestre per la scuola si è concluso in modo disastroso. Lo scorso settembre le scuole avevano riaperto senza tenere in alcuna considerazione ciò che da mesi veniva richiesto in modo martellante da sindacati di base, organizzazioni studentesche ed associazioni varie: una riduzione del numero di alunni per classe, con un aumento di organico docente e ATA; una immediata attivazione di interventi di edilizia; reperimento di ambienti sicuri e idonei per lo svolgimento delle attività didattiche. Richieste necessarie in qualunque momento, indispensabili in periodo di pandemia: insomma, scuole aperte in presenza e in sicurezza.
Invece le scuole a settembre hanno sì riaperto in presenza ma non certo in sicurezza. È bene che questo sia chiaro, a fronte della vulgata corrente che ci narra di scuole come luoghi sicuri, quando invece niente è stato fatto per renderle tali. In questi mesi abbiamo lavorato in spazi non idonei ed angusti, in cui per gli studenti era impossibile mantenere anche quell’unico patetico metro di distanza, misura di distanziamento più bassa in Europa, che spesso non era nemmeno garantito. Si è dovuto sopperire alla mancanza di distanziamento con l’uso costante della mascherina, anche per i bambini di 6 anni, tenuti a scuola imbavagliati per 8 ore con la mensa ridotta ad un cestino pranzo da consumare al banco, abbassando momentaneamente la mascherina. Ai lavoratori è stata negata dal ministero la mascherina più protettiva, la FFP2, diffusa nella maggior parte dei luoghi di lavoro ma non a scuola, dove viene fornita la chirurgica. Le procedure di sanificazione successive all’isolamento di ambienti in cui si registravano casi covid-positivi sono state imposte ai collaboratori scolastici anziché affidate a personale specializzato e sono state procedure molto sommarie, con dotazioni e protezioni inadeguate che non hanno tutelato i lavoratori come sarebbe stato necessario. Anche questo per disposizione centrale.
I DVR delle scuole, documenti di valutazione dei rischi, sono stati integrati con parti relative alla gestione della sicurezza covid, risultando essere spesso un assemblaggio irresponsabile di misure fittizie. In alcuni casi sono addirittura state previste igienizzazioni e sanificazioni di postazioni di lavoro (banchi, computer, postazioni laboratori, attrezzi palestra) a carico degli studenti stessi. In certe situazioni è stato possibile intervenire, aprendo vertenze, mobilitazioni e azioni di protesta; in altri le disposizioni di “insicurezza” erano rigidamente tutelate da direttive emanate da Ministero e Comitato Tecnico Scientifico, organo asservito alle logiche dell’oscuramento delle necessità sanitarie. Tutto questo per non cedere di un millimetro sull’aumento di spazi e personale.
Alle pressanti richieste (ricordiamo le manifestazioni della primavera e gli scioperi del sindacalismo di base di agosto e settembre), il Governo aveva risposto con un irrisorio aumento di organico, oltretutto discriminato rispetto al resto del personale, in quanto per l’organico Covid si prevedeva addirittura il licenziamento in tronco, senza giusta causa, qualora l’attività in presenza fosse stata sospesa. Gli scioperi dell’autunno e le mobilitazioni dei lavoratori, soprattutto precari, hanno fatto decadere questa clausola vessatoria assicurando un contratto di lavoro non revocabile fino alla fine dell’anno scolastico, c’è ancora però bisogno di un costante intervento sindacale per assicurare a questi lavoratori la retribuzione, che arriva con estremo ritardo (il mese di ottobre è stato retribuito a dicembre) proprio per l’anomalo inquadramento ricevuto, a dimostrazione che non c’è nessuna volontà di implementare la pianta organica ma, anzi, si distingue rigidamente il personale assunto provvisoriamente per esigenze straordinarie da quello ordinariamente necessario.
In questo caotico sistema di funzionamento delle scuole in presenza, la sicurezza non è dunque mai stata tutelata. Altro che aperti in presenza ed in sicurezza. Anche la presenza stessa è stata fin da subito zoppicante: il sistema di tracciamento dei casi positivi ha determinato infatti fin da subito, l’attivazione di una quantità di quarantene che di fatto spopolavano le scuole. Nessun altro ambiente prevede un contatto fisico così ravvicinato con permanenza nello stesso spazio per un tempo prolungato, né una moltiplicazione di contatti e clusters così elevata. A scuola si sta in 25/30 persone in una stanza che anche fuori pandemia ne dovrebbe contenere la metà; ci si sta per 5-6-8 ore (nel caso di primaria a tempo pieno). L’insegnante delle superiori ha più gruppi classe: in una stessa mattina un insegnante che abbia 5-6 ore può vedere fino a 170 studenti, di 5- 6 classi diverse, con cui permane in un ambiente non idoneo per almeno un’ora.
Il tracciamento messo in atto dalle ASL prevede di accertare, in caso di presenza in classe di caso positivo, se c’è stata permanenza nell’ambiente comune superiore a 15’, mantenimento costante della distanza di 2 metri dagli studenti, mantenimento costante di finestra e porta aperta, uso costante e corretto di mascherina (preferibilmente FFP2, quella che non ci danno perché più costosa). In difetto di uno di questi requisiti il contatto con il positivo è ritenuto contatto stretto e viene disposta la quarantena anche per gli insegnanti, mentre quella per la classe viene disposta in automatico.
Fino da settembre sono scattate quindi quarantene incrociate che tenevano in ostaggio le nostre vite, semplicemente perché le scuole non assicuravano distanze e dispositivi di protezione idonei. Studenti e docenti a casa quindi, anche a settembre e ottobre, quando tutto era ancora aperto, ancor prima che a novembre partissero le disposizioni diversificate per le scuole collocate nelle zone diversamente colorate in cui il paese è stato suddiviso e, proprio negli scorsi mesi, si sono consumati dei passaggi molto importanti nella ristrutturazione progressiva e reazionaria del sistema scuola.
La quarantena, secondo disposizioni INPS, è assimilata dal punto di vista previdenziale a malattia, anzi, a degenza ospedaliera ed è evidente che quando si è malati non si lavora. Perché mai però buttare via quella meravigliosa invenzione che è la Didattica a Distanza e non far lavorare da casa chi è sì in malattia ma, in realtà, secondo le “autorità” è solo in quarantena e se ne sta in panciolle? Sono quindi arrivate circolari ministeriali che davano indicazione di attivare la DAD da casa. Siccome poi non sono mancate da parte degli insegnanti le opposizioni, le resistenze, le impugnative, le diffide che richiamavano le disposizioni INPS, allora i sindacati confederali sono scesi in campo ed hanno avviato la contrattualizzazione della Didattica a Distanza, o, per dirla come è stata non casualmente ridefinita, della DDI, Didattica Digitale Integrata.
Quella DaD che abbiamo sempre rifiutato perché divisiva, escludente, inefficace e comunque legata all’emergenza sanitaria è così diventata un elemento stabile, portato a sistema, blindata all’interno di una contratto firmato nella prima metà di novembre da CGIL CISL ed Anief. Oltre ad equiparare la DaD/DDI alla didattica in presenza per orario di lavoro, registrazione delle assenze dei ragazzi (in barba al digital divide che esclude 1/3 degli studenti dalle lezioni) ed altri aspetti, il testo contrattuale prevede che il docente in quarantena fiduciaria debba effettuare comunque didattica a distanza con la classe posta in quarantena od anche con altri classi in presenza a scuola. In pratica, pur rimanendo ancora in piedi la nota INPS, si supera per contratto separato la nozione di quarantena equiparata a malattia e si ordina di lavorare da casa a chi non ha sintomi certificati di malattia vera e propria. Non ci sarà da stupirsi troppo se prossimamente si chiederà di lavorare da casa a chi ha una gamba ingessata o qualche accidente che comunque non impedisce di stare davanti a un computer. Computer che nessuno ti fornirà, fra l’altro, perché sempre il medesimo contratto non prevede nessun impegno del datore di lavoro nel fornire strumentazione indispensabile, favorendo completamente l’amministrazione: un contratto tutto dalla parte del datore di lavoro, senza alcuna tutela per i lavoratori.
Lo smartworking, già praticato da tempo in molti settori lavorativi, prevede che al lavoratore sia fornita la strumentazione necessaria e che ci sia un accertamento sulla idoneità dell’ambiente di lavoro domestico, anche ai fini della copertura assicurativa ed antinfortunistica. Nella scuola non è successo niente del genere: device, spese di connessione e di utenze tutte a carico del lavoratore. È così che si è lavorato da novembre in poi, è così che si lavora tuttora.
L’Italia è stata suddivisa in zone che secondo i colori prevedevano nelle scuole superiori didattica a distanza generalizzata od in percentuale consentendo, con la percentualizzazione, di attuare la DDI, le forme “blended” e flessibili della didattica a distanza tanto care a Confindustria: frequenza a gruppi alterni, oppure classi divise, metà a scuola e metà a casa, collegate in videolezione sincrona, il che significa violazione del divieto di videosorveglianza previsto dallo Statuto dei Lavoratori. La scuola primaria e media, invece, in questi mesi è stata trattata come una fabbrica, mantenendo la presenza al 100% tranne che nelle zone rosse, in omaggio alla nozione di scuola come servizio che sempre di più si è affermata in questi mesi. Se il paese non deve fermarsi la scuola serve perché è il parcheggio dei più piccoli.
Certo che la DAD è distruttiva, che esclude, che separa, che toglie autonomia di esperienza, che rende ancora più gerarchico il sistema scolastico; certo che è meglio stare a scuola (anche se la scuola è quello che è) piuttosto che stare a casa, però è veramente insopportabile sentire i proclami diffusi di chi dice che la scuola deve stare aperta alla pari di tutti gli altri settori produttivi. Che le scuole sono perfettamente sicure, basta arrivarci con autobus non troppo pieni perché l’unico problema sono i trasporti. Che se non bastano gli spazi le lezioni si possono fare anche all’aperto perché il gelo di gennaio è tonificante. Che il personale che chiede misure di sicurezza più efficaci toglie ai bambini la gioia della socialità e comunica cupezza. Non se ne può più di sociologi e pedagogisti che sono megafono di Confindustria, non se ne può più della Azzolina che dopo avere imposto la DaD ora impone la presenza a tutti i costi (tranne i costi di personale, edilizia e sicurezza) diventando l’eroina di qualche settore sedicente antiDaD.
Che non se ne può più se ne sono accorti. Si sono accorti che, nonostante la disgregazione dovuta al periodo, alla presenza episodica sul posto di lavoro, allo stress di lavorare in condizioni di disagio, non sono tuttavia mancate assemblee sindacali, presidi, scioperi, proteste, saldature tra lavoratori, studenti, cittadini. Nelle piazze, nonostante i divieti, sono stati portati contenuti anche significativi, rivendicazioni indispensabili come la riduzione del numero di alunni per classe, condivisa perché funzionale alla didattica, alla sicurezza, all’occupazione.
Se ne sono accorti al punto che l’agenzia governativa ARAN ed i sindacati maggiormente rappresentativi hanno stipulato a dicembre un accordo per una ulteriore riduzione del diritto di sciopero proprio nella scuola. Si introduce il contingentamento minimo per il personale ATA, che non sarà più libero di scioperare; si aumenta l’intervallo di tempo tra le azioni di sciopero per ottenere una rarefazione e quindi una riduzione degli scioperi; si aumentano i periodi dell’anno in cui non è possibile scioperare. Come se non bastasse, i Dirigenti, nell’avvisare le famiglie dello sciopero, devono precisare la rappresentatività nazionale delle sigle proclamanti, i voti ottenuti nelle ultime elezioni RSU e le percentuali di adesione agli scioperi precedenti: uno scopo dissuasorio, un evidente attacco alla credibilità dei sindacati di base, gli unici del resto che indicono scioperi e che cercano di promuovere lotte nel settore. Lotte che devono essere colte nella loro portata, indipendentemente dalla frammentarietà o dai limiti che possono manifestare.
Ancora una volta la scuola mostra di essere un settore strategico, in cui si consumano ristrutturazioni di portata generale, ma in cui sono anche attive forme di forte consapevolezza e iniziative di lotta assai importanti, cui va assicurata solidarietà, sostegno e con le quali occorre mantenere una saldatura significativa.
Patrizia Nesti