Ramy Elgaml, un ragazzo di 19 anni residente nel quartiere di Corvetto, muore nella notte tra il 23 e il 24 novembre, inseguito da una macchina dei carabinieri nelle strade di Milano per oltre otto chilometri. Gli amici e i parenti si riversano subito in strada, chiedono “verità e giustizia”, come scrivono sugli striscioni che oggi resistono appesi tra via dei Cinquecento e via Panigarola. Le indagini vengono stranamente affidate all’Arma dei Carabinieri, invece che alla Polizia Locale, come prassi vorrebbe. Nel pomeriggio di lunedì, tre camionette della polizia appaiono in piazza Gabrio Rosa, gli autobus sono deviati e nel corso della sera una terza protesta si scatena nelle strade del quartiere, la prima di scontri diretti con la polizia che vanno avanti fino a quasi mezzanotte, con cariche, barricate, lancio di lacrimogeni, per finire con un arresto. Avete già sentito questa storia? È la stessa di Davide Bifolco (16 anni) e Ugo Russo (15 anni) a Napoli, o di Nahel Merzouk (17 anni) a Nanterre in Francia, insieme a quella di molte altre.
Vicende come quella di Ramy non sono eccezionali, né a Corvetto né in altri quartieri popolari di Milano e del suo hinterland: le dinamiche di impoverimento generale causate dai processi di sottrazione speculativa, portate dalla trasformazione urbana ormai velocissima, frammentano sempre di più il tessuto sociale e urbano, isolando in contesti definiti “marginali” sacche sempre più ampie di popolazione deprivata di tutto. In queste “isole”, se non rientrano nei piani di “periferie vetrina” su cui implementare azioni e bandi di “welfare di comunità” (leggi: privatizzazione dei servizi sociali), le uniche risposte sono la cosiddetta “rigenerazione urbana” per spingere la popolazione a più basso reddito ad andarsene; e uno stato di polizia di fatto che colpisce soprattutto le categorie considerate pericolose: tra questi, giovani e giovanissimi che subiscono una discriminazione e violenza quotidiana, se hanno il colore della pelle sbagliato, se abitano nei caseggiati popolari, se portano il borsello o se ascoltano la trap. E le solite risposte repressive vengono alimentate dalle narrazioni mediatiche tossiche che giocano sulla paura e la richiesta di ordine per giustificare interventi securitari, ricorrendo ai soliti stereotipi dello spaccio di droga e del degrado.
Ramy ha subìto tutto questo. Il quartiere Corvetto ha subìto tutto questo a 10 anni esatti dal Novembre 2014 quando, sotto la giunta Pisapia, cominciò una stagione di sgomberi abitativi in vista di Expo 2015 o di quella che oggi viene definita “riqualificazione” dei quartieri. Le periferie a sud-est di Milano hanno conosciuto un’ulteriore accelerazione, in particolare dal 2019 con l’assegnazione all’Italia dei Giochi olimpici invernali 2026, che proprio a Milano avranno uno dei centri di svolgimento del grande evento. Sono questi, infatti, i luoghi che ospiteranno le infrastrutture locali delle Olimpiadi: il Villaggio Olimpico nell’ex scalo ferroviario di Porta Romana (destinato a diventare un nuovo studentato privato e di lusso a evento terminato) e il Pala Italia a Santa Giulia (un nuovo stadio del ghiaccio realizzato nella stessa città che quasi due anni fa ha chiuso lo storico impianto dell’Agorà nel quartiere Giambellino). Ma non sono solo i cantieri olimpici a minacciare con le loro trasformazioni i quartieri: alle porte della Corvetto popolare sta sorgendo Symbiosis, 130.000 mq di distretto del lusso e del business che ospiterà direzioni centrali di Fastweb, SNAM, Louis Vuitton e altre grandi aziende; l’affaire studentati, inoltre, si dispiega con la realizzazione nell’ex Consorzio Agrario di Aparto Milan Ripamonti a opera di Hines, a pochi metri dalla Residenza Isonzo della Bocconi, mentre allo studentato del Politecnico nella proletaria piazza Ferrara si aggiungerà il cosiddetto “Bosco della Musica” a Rogoredo. Vi sono poi le operazioni di sottrazione del tessuto abitativo pubblico e popolare: ci riferiamo alla vendita dei caseggiati ex ENPAM di via Sulmona al fondo USA Apollo, che ha incaricato la SGR Investire del piano di vendita degli appartamenti storicamente abitati da inquilini di classe lavoratrice, e al progetto di abbattimento delle cosiddette “case minime” ALER di via Barzoni, che dovrebbero essere ricostruite aumentando le volumetrie e destinandone una quota alla vendita.
Tutto questo ha causato l’effetto – solo apparentemente – paradossale di aver reso uno dei quartieri con il reddito più basso della città e i tassi di disoccupazione e inoccupazione più elevati la zona dove i valori immobiliari di vendita e affitto hanno registrato l’aumento più alto di tutta l’area metropolitana. La reazione alla morte di Ramy è il risultato di un accumulo di rabbia per anni di discriminazioni e violenze subìte soprattutto dalla popolazione più giovane di Corvetto, da parte delle forze dell’ordine e delle politiche istituzionali che, coerentemente con la logica del “modello Milano”, interpretano i territori unicamente come merce da cui estrarre più valore possibile per il mercato, riducendo i servizi sociali, luoghi pubblici di aggregazione sociale e giovanile, chiudendo spazi culturali e redistribuzione alimentare (come gli storici mercati rionali). Non sappiamo dire se Corvetto assomigli di più a una “banlieue” o a un “ghetto” e crediamo onestamente che poco importi. Ciò che conta è riconoscere le dinamiche di espulsione e feroce disuguaglianza che il governo di Milano sta producendo e capire insieme alle/agli abitanti in che modo organizzare a livello di comunità forme di vita, socialità e resistenza all’ostilità poliziesca e istituzionale che portino la giusta rabbia dall’istinto alla politica.
Uno dei risultati delle proteste degli ultimi giorni è stata, oltre all’attenzione mediatica sul caso, l’iscrizione del carabiniere nel registro degli indagati. Quello che possiamo augurarci è che la mobilitazione prosegua fino a trasformarsi in rivolta vera e propria – non solo a Corvetto.
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