Negli ultimi mesi il governo ha avviato una nuova strategia contro le ONG che svolgono attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale. Il 22 e il 23 dicembre sono attraccate per la prima volta nel porto di Livorno due navi delle ONG con a bordo 250 naufraghi salvati da imbarcazioni in difficoltà. Mai era stato assegnato a queste navi un porto sicuro tanto a nord dove condurre in salvo sulla terraferma i naufraghi. Già i porti di Salerno e Bari a cui erano state destinate l’11 dicembre due di queste navi risultavano insolitamente distanti dalle aree in cui le ONG operano. Ma è stato subito chiaro il carattere tutto politico della scelta di far attraccare a Livorno la Life Support di Emergency e la Sea Eye 4, rispettivamente a due e tre giorni di navigazione dalle aree SAR (Ricerca e Soccorso) libica e maltese dove i naufraghi che avevano a bordo erano stati tratti in salvo. Scelta politica confermata prima con lo sbarco della Ocean Viking a Ravenna il 31 dicembre, e poi con l’arrivo il 10 e l’11 gennaio al porto di Ancona sempre della Ocean Viking e della Geo Barens, porti ancora più distanti dai luoghi di salvataggio. Si tratta di un cambiamento radicale della strategia mantenuta dal governo fino a novembre, quando prevaleva la tendenza a non comunicare o comunicare in ritardo il porto sicuro alle navi delle ONG. Una nuova strategia del governo e in particolare del Ministero dell’Interno che attraverso il Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso Marittimo assegna in questi casi il porto sicuro in cui sbarcare i naufraghi. L’obiettivo è quello di limitare il più possibile le attività di queste navi, impegnandole in lunghe traversate che le tengono lontane dalle aree di soccorso e che provocano un vertiginoso aumento dei costi per le operazioni. La Life Support ad esempio ha speso 25.000 euro per viaggiare dalla Sicilia a Livorno. Per fini politici strumentali si mettono a rischio le condizioni dei naufraghi costretti ad affrontare ulteriori giornate di navigazione, passando di fronte a decine di altri porti.
Forse anche più del nuovo decreto sul tema, questa nuova strategia ha riacceso il dibattito pubblico sull’argomento. Nelle città portuali che per la prima volta sono state coinvolte in questo fenomeno, la destra razzista e fascista ha subito avuto qualcosa su cui orientare la propria propaganda, non è un caso che Salerno, Bari, Ravenna, Livorno e Ancona siano tutte città amministrate dal PD. Ma al contempo vi sono state, con toni diversi, iniziative solidali antirazziste di movimento. Se infatti da una parte è da respingere la scelta del governo di indicare porti sicuri così distanti dalle aree di salvataggio, deve essere altrettanto chiaro che il salvataggio dei naufraghi non deve essere messo in discussione per nessun motivo. Se il governo ha deciso di inviare presso nuovi porti le navi delle ONG, per fiaccarne l’attività, ma anche per creare nuovi palcoscenici per la propria propaganda di odio, bisogna fare sì che questa scelta si ritorca contro il governo. Perché in molte città portuali dove vengono destinate queste navi c’è ancora un tessuto sociale solidale e sono presenti realtà antirazziste radicate che non accettano la normalizzazione di questi processi.
È in questo clima che nell’ultima seduta del Consiglio dei Ministri del 2022 è stato approvato il nuovo decreto che limita le attività delle navi delle ONG che svolgono attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo. Il provvedimento pubblicato il 2 gennaio scorso in Gazzetta Ufficiale (DECRETO LEGGE n.1 del 2 gennaio 2023), si pone nel solco della politica assassina e razzista che ha caratterizzato trasversalmente i governi degli ultimi decenni. Con questo decreto infatti il governo utilizza gli strumenti già collaudati e legittimati all’epoca di Minniti e del PD, come il codice di condotta per le ONG e l’imposizione di pesanti sanzioni amministrative per chi non rispetta tali regole o contravviene alle istruzioni delle autorità. Tuttavia l’iniziativa del governo si pone concretamente come un nuovo attacco alla popolazione immigrata e a quelle realtà che svolgono attività di solidarietà e di soccorso. Per questo è importante rilanciare la lotta contro il governo anche su questo terreno.
Non si tratta di un semplice aggiornamento del codice di condotta entro cui sono costrette a muoversi le ONG o di una operazione di facciata del nuovo governo di estrema destra per consolidare il consenso presso il proprio elettorato. Associazioni e realtà impegnate in questo campo hanno pubblicato nelle ultime settimane critiche puntuali al decreto, mettendone in discussione la stessa applicabilità. Ma anziché concentrarsi su questione tecniche può essere utile qui sollevare una questione particolare, che non viene molto trattata. L’intenzione di annientare il carattere solidale delle attività condotte dalle ONG, con l’imposizione di regole che di fatto puntano a renderle complici delle attività repressiva di controllo delle frontiere. Basti vedere quanto previsto all’articolo 1 tra le condizioni richieste alle navi che svolgono le attività di ricerca e soccorso. Alla lettera b) si richiede che siano “state avviate tempestivamente iniziative volte a informare le persone prese a bordo della possibilità di richiedere la protezione internazionale e, in caso di interesse, a raccogliere i dati rilevanti da mettere a disposizione delle autorità”.
Sono stati sollevati forti dubbi sull’applicabilità di questa procedura, ma comunque venisse realizzata risulterebbe una prima selezione. Di fatto un primo passo di quelle procedure che tracciano poi il destino di ogni persona salvata in mare mentre tenta di raggiungere l’Italia come immigrata, indirizzandola o verso i percorsi per richiedenti asilo o verso i CPR. Quindi l’attacco è chiaramente politico, non si tratta solo di rendere più difficili le operazioni, ma anche di minare il carattere solidale che rende ancora, pur nelle contraddizioni, fortemente politica l’attività condotta dalle ONG nel Mediterraneo.
Il nuovo decreto insieme all’invio di navi in vari porti della penisola, sempre più verso nord, è teso a creare un clima di emergenza diffuso. Attenzione però: concentrarsi solo sul consenso, sulla mediatizzazione, sulla comunicazione che comunque è parte dell’ossatura di questi processi rischia di far perdere di vista la materialità degli effetti che le politiche del governo possono avere sulle classi sfruttate e oppresse di ogni origine che vivono in Italia. Il governo sostiene di avere in cantiere nuovi provvedimenti in materia di sicurezza e repressione, oltre 40 milioni sono già stati destinati alla costruzione di nuovi CPR e all’adeguamento di quelli già esistenti. Si prepara una forte ristrutturazione dei sistemi di controllo e detenzione per la popolazione immigrata e non solo. La situazione è critica ma nell’esperienza dei movimenti che negli ultimi anni hanno provato a rompere le barriere del razzismo istituzionale possiamo trovare gli strumenti per respingere queste politiche e creare nuove forme di solidarietà e di lotta.
Dario Antonelli