La manifestazione del 2 marzo a Pisa e le manifestazioni che si sono svolte un po’ in tutta Italia per l’otto marzo rappresentano dei significativi passi in avanti per la costruzione di un vasto movimento di massa, unitario e autonomo, che si dia l’obiettivo di cambiare le basi di questa società.
Un primo dato da tener presente è il numero delle manifestazioni. Secondo i dati del ministero degli interni il numero di manifestazioni “di spiccato interesse per l’ordine pubblico” sono aumentate di oltre il 41% nel primo bimestre del 2024, rispetto allo stesso periodo del 2023. A gennaio e febbraio 2024 sono state 2822, rispetto alle 1994 del primo bimestre 2023.
In particolare il Viminale comunica che dal 7 ottobre ci sarebbero state oltre 1100 manifestazioni contro l’occupazione militare israeliana.
Il crescente malcontento sociale accumulatosi in questi anni sta esprimendo una soggettività sociale nuova che ha cominciato ad esprimersi nelle manifestazioni legate a tematiche locali e ora sta assumendo una caratterizzazione più politica, a partire dalle proteste contro il genocidio in Palestina e in quelle legate all’emergenza climatica.
La nascita di questo movimento è collegata alla fase in cui i gruppi politici e sindacali sono stati ridotti ad un ruolo di comprimari in alcune grandi manifestazioni: una tendenza che si era già manifestata negli eventi a sostegno della lotta dei lavoratori ex GKN e nel movimento No Base a Pisa, ma che in questi giorni ha subito un’improvvisa accelerazione, accompagnato da una rinnovato protagonismo giovanile.
Molti sono convinti (e tra questi anche alcuni anarchici) che la pandemia, con le misure di controllo imposte dai vari governi, abbia segnato un punto di non ritorno nel controllo sociale. Quanto avviene in questi giorni dimostra esattamente il contrario: le società del dominio, basate sullo stato e sulla proprietà privata dei mezzi di produzione, sono società conflittuali; l’illusione di controllare in modo autoritario le contraddizioni che si generano in esse non fa altro che far esplodere queste contraddizioni in modo più dirompente.
Il movimento di massa che sta nascendo è ancora pieno delle incrostazioni della vecchia società e dei rituali della vecchia politica, i miti della legalità e della repubblica nata dalla resistenza sono ancora profondamente radicati, anche se i ceti più popolari dimostrano un crescente disinteresse verso questi punti di riferimento. Sarebbe un errore giudicare questo movimento nascente sulla base dei ritardi che manifesta, astenerci dal partecipare ad esso perché in esso son presenti tendenze che la storia ha dimostrato incapaci di portare ad una reale emancipazione del proletariato, ma capaci solo di sostituire una tirannia ad un’altra. Dobbiamo renderci conto che il movimento crescerebbe anche senza l’opera nostra, forse addirittura contro l’opera nostra e sicuramente pregiudicando la realizzazione del nostro ideale, come purtroppo è già successo in passato.
Dobbiamo essere col popolo, ci siamo ripetuti molte volte, e oggi il popolo si muove; non il popolo di Mazzini e della Costituzione repubblicana, ma il popolo degli sfruttati e degli oppressi. Si muovono i giovani e gli studenti, le donne e le libere soggettività, si muove chi lotta per la pace o contro la disoccupazione, si muovono centinaia di comitati a difesa dell’ambiente e dei servizi pubblici.
Dobbiamo essere sempre col popolo, ci siamo detti, e fare in modo che prenda da sé ciò di cui ha bisogno, senza aspettare di riceverlo da questo o quel governo. A dispetto di tutte le varie considerazioni, si può dire che raramente si sia visto un periodo più favorevole di quello attuale: le grandi masse degli sfruttati non hanno più fiducia nei metodi della delega; il governo, nella sua frenesia di difendere ogni tipo di privilegio a danno delle condizioni materiali delle classi sfruttate, ha sgombrato il campo dagli enti intermedi: parlamenti, enti locali, sindacati e partiti istituzionali contano solo come appendici del governo. Proprio questo accentramento del dominio nelle mani del governo mostra come la società sia divisa in due campi contrapposti: da una parte le grandi masse sfruttate e oppresse; dall’altra il fortino dei privilegiati con i capitalisti, i preti, i militari su cui si basa il governo.
Ogni piccola lotta, ogni libertà parziale si conquista solo con la lotta politica contro il governo. La lotta sta evolvendo verso un momento risolutivo che sbarazzi l’umanità dalle classi privilegiate oppure, con la vittoria del governo, la sprofondi nell’inferno della miseria, delle guerre e della crisi climatica.
Il movimento anarchico può svolgere un ruolo decisivo in questa lotta, portando l’esperienza delle insurrezioni vittoriose, portando una radicale critica del governo e dello Stato e soprattutto contribuendo, con il suo metodo autogestionario e federalista, a mantenere unito il movimento. L’anarchismo non ha da imporre un proprio programma, ma organizza gli elementi più decisi e combattivi nella prospettiva di un ideale di solidarietà umana che sorpassa gli odi di partito e di classe, per non parlare dei nazionalismi e dei fanatismi religiosi. Proprio la sua pratica organizzativa è la chiave per sconfiggere i tentativi di divisione e di egemonia che, ogni volta, hanno portato il movimento di trasformazione sociale alla sconfitta o ad una battuta di arresto.
Le manifestazioni di questi giorni ci fanno ben sperare. All’opera.
Tiziano Antonelli