Crepare di salute. Ancora tagli alla sanità pubblica.

Lo scorso anno oltre quattro milioni di italiani hanno rinunciato a curarsi, ciò sostanzialmente per due motivi: impossibilità a pagare il ticket e lunghezza delle liste d’attesa. Questo dato dovrebbe essere un campanello di allarme che segnala l’urgenza di un intervento risolutivo, purtroppo, come vedremo, non ci sono interventi neanche per ridurre il fenomeno. Questo solo dato ci dice della volontà di superare il servizio sanitario garantito a tutti; operazione questa che data da diversi anni e con governi di colori diversi. Nel 2005 la spesa, per ogni individuo, in Italia era pari a quella europea, nel 2023 si registra uno scarto negativo di oltre 800 euro pro capite, cosa che ha comportato una riduzione del fondo di circa 48 miliardi.

In questi 18 anni abbiamo assistito, a volte mascherati da accorpamenti, a chiusure e/o riduzioni di presidi e, quindi, di servizi di certezza assistenziale. Lo smantellamento del servizio sanitario nazionale a favore dei servizi sanitari regionali ha fatto si che si passasse a 21 sistemi soggiacenti alle leggi del libero mercato e non di garanzia di un diritto che a parole si vorrebbe universale ed equo. Questi 21 sistemi sono molto differenti nella quantità e nella qualità dei servizi erogati, i LEA (livelli essenziali di assistenza) che sono l’obiettivo dichiarato da tutti vengono rispettati in maniera diversa e nella triste classifica le regioni del sud Italia sono quelle messe peggio (nessuna regione meridionale tra i primi 10), quello che dovrebbe essere un diritto universale ed uguale per tutti è soggetto al servizio sanitario regionale e le previsioni della riforma prevista non farà altro che aumentare questo divario. Potremmo facilmente dilungarci sui LEA e su quell’essenziale che non vuol certo dire assistenza e cure di buona qualità ma semplicemente cure salvavita, ciò nonostante, solo in pochi riescono a garantirli. Questa situazione fa si che i viaggi della speranza e la mobilità sanitaria sia alta, cosa che permette un aumento dei ricavi per le strutture private accreditate in virtù del fatto che il paziente fuori regione viene rimborsato dalla regione di residenza e quindi non conteggiato nei tetti alle prestazioni previsti dalla regione nella quale la struttura è sita. Non saranno certamente i trucchi che si vogliono portare al servizio sanitario sbandierati come rilancio della medicina territoriale ad invertire la tendenza, cioè non si aumentano i servizi spostandoli di indirizzo e rinominando le strutture che le ospitano che è quello che sta succedendo con le cosiddette case di comunità, esattamente come qualche anno fa hanno giustificato la chiusura di piccoli presidi sostenendo che si garantivano servizi di qualità anche se distanti.

Ovviamente a patirne le conseguenze sono le fasce meno abbienti che devono destreggiarsi tra trovare un medico di medicina generale, interminabili attese in un pronto soccorso o nell’esecuzione di un esame diagnostico o di una visita. La scorsa estate ha fatto notizia la novità di un pronto soccorso a pagamento, nel frattempo ne sono nati altri. Ovviamente la notizia indigna ma come non vedere la continuità di quanto fatto nello smantellare la sanità. La nascita delle assicurazioni sanitarie andava in questa direzione, l’entusiasmo di vederle diventare parte dei contratti di lavoro – polizza assicurativa invece di reali aumenti – se da una parte permetteva di accedere a servizi sanitari su un canale privilegiato di regime quasi di solvenza al contempo faceva si che il servizio sanitario pubblico potesse smettere, o comunque ridurre, la garanzia di alcune prestazioni; va sottolineato l’ovvio queste polizze, legate al contratto di lavoro, cessano se si perde il lavoro e anche in caso di pensionamento e comunque concretizzano la privatizzazione della sanità perché queste polizze sostituiscono aumenti retributivi dovuti, quindi, ne discende, che a pagarle sono i lavoratori che comunque pagano anche le tasse per un servizio sanitario inefficiente.

Oggi lo stato eroga tre quarti dei servizi sanitari, oltre un quinto è in regime di solvenza tutta a carico dell’utente e poco meno del 3% è garantita dalle assicurazioni sanitarie, le ultime due voci sono in costante ascesa e soprattutto la terza, anche se al momento sembra una cenerentola – che comunque muove oltre 4 miliardi e mezzo – , sembra essere quella destinata a maggiore interesse da parte degli erogatori privati, siano accreditati col servizio sanitario che privati puri.

Lo smantellamento del servizio sanitario si è accompagnato, negli anni, con la riduzione della formazione di personale sanitario: il numero chiuso nell’università sia per medici sia per infermieri sia per i tecnici ha fatto sì che oggi c’è carenza di tutte queste figure professionali: quale migliore giustificazione per chiudere un presidio poter dire non ci sono lavoratori per farlo funzionare? A questo aggiungiamo che le pessime condizioni contrattuali e le drammatiche condizioni lavorative hanno fatto si che molti operatori abbandonassero il lavoro trasferendosi all’estero o cambiando radicalmente ambito lavorativo.

La manovra economica di prossima approvazione prevede per il 2024 un incremento della spesa di tre miliardi, sembrerebbe una buona notizia, vediamo perché non lo è. Lo scorso settembre è stato rinnovato il contratto di lavoro dei medici e il governo ha garantito che a breve sarà rinnovato il contratto del cosiddetto comparto (infermieri, tecnici, amministrativi, oss, e altre), il ccnl dei medici costa due miliardi, le previsioni di costo del rinnovo del ccnl del comparto sono di almeno due miliardi e quindi i tre miliardi di incremento non basteranno a garantire gli aumenti contrattuali per i quali manca un miliardo. A questo dobbiamo aggiungere che gli aumenti dei costi dei materiali e farmaci ma anche di energia, provate a pensare al consumo elettrico di un ospedale non solo finalizzato a garantire illuminazione ma anche al funzionamento di macchine salvavita. Aumenti contrattuali a parte è pacifico che i tre miliardi promessi non sarebbero sufficienti a garantire il costo degli stessi servizi erogati nel 2023, quindi assisteremo ad un’ulteriore contrazione dei servizi e delle cure.

A rendere palese la bugia dell’aumento del fondo sanitario è il dato che non riescono a tenere nascosto del rapporto spesa sanitaria/PIL che passa dal 6.6% al 6.2% per il prossimo biennio per scendere al 6.1 nel 2026; ovvero una riduzione del 6.25%. Facendo grossolanamente dei conti, per mantenere i già scarsi servizi del 2023 sarebbe servito un aumento pari al tasso inflattivo (ad ottobre attorno al 6%) più i 4 miliardi di rinnovo contrattuale, ovvero quel 6.6 di rapporto spesa sanitaria /PIL sarebbe dovuto crescere fino al 7%; ripetiamo per garantire la miseria sanitaria del 2023 e non certo per migliorarla.

La presidente del consiglio può dire che è miope ridurre la discussione all’aumento delle risorse perché, a suo dire, bisogna concentrarsi su come queste risorse vengono spese.

Ciò a noi sembra un’affermazione da orbi, perché è urgente programmare, organizzare e fornire i servizi sanitari e socio-sanitari; motivare il personale sanitario perché questo è un valore indiscutibile e quindi investire in formazione continua e adeguare i livelli retributivi; aumentare il numero dei posti disponibili nelle università per tutte le professioni sanitarie; garantire la funzionalità e il rinnovamento dei macchinari diagnosti e terapeutici; cose che costano e che richiedono fondi se li si sottrae nulla di ciò potrà essere garantito.

Dicevamo all’inizio che oltre 4 milioni di italiani hanno rinunciato alle cure; purtroppo, è fondata la paura che sia un numero destinato ad aumentare, ciò ovviamente per tutti coloro che non potranno permettersi cure private. Per costoro sarà possibile un accesso privilegiato anche in pronto soccorso che prima del triage per stabilire l’urgenza delle cure avrà una postazione per indicare il diverso percorso per i pazienti paganti e i poveracci da curare se avanza il tempo.

Si potrà obiettare che è in aumento il numero degli italiani che hanno un reddito sotto la soglia di povertà, che è prevista la chiusura di circa 700 scuole e tutta una serie di difficoltà con le quali bisogna fare i conti quotidianamente, tutte cose vere e che rendono complice il silenzio di quanti non lottano quotidianamente per evitare il furto di diritti.

angelo

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