Scrivevamo su questo giornale tempo fa come l’Istituto della Sacra Famiglia di Cesano Boscone (Milano) non perde mai il vizio di mettere le mani nelle tasche dei suoi dipendenti, già costretti a sopportare pesanti ritmi di lavoro soprattutto nei reparti operativi della degenza, allo scopo di aumentare i profitti aziendali.
E’ un giochetto che gli riesce bene, soprattutto quando trova sindacati accondiscendenti. Già tre anni fa, avvalendosi della sottoscrizione di alcuni sindacati, aveva incassato un accordo che aveva ridotto di 4 giorni le ferie dei propri dipendenti e la sospensione del premio di produzione per tale periodo. Un accordo al quale si erano opposti e mobilitati fin da subito l’Unione Sindacale Italiana e i Cobas sanità. L’USI in quella occasione si era espressa con un concetto lapidario “Chi agnello si fa il lupo lo mangia” che è stato premonitore di quanto è avvenuto.
Infatti l’azienda prima minaccia, poi comunica come attuativo alla fine del 2019, in modo unilaterale, il passaggio dei dipendenti che sono stati assunti con il contratto Aris, circa 900, al contratto dell’Uneba con il quale sono assunti dal 2008 un’altra parte dei dipendenti. Un passaggio che implica numerose penalizzazioni, come quella della riduzione degli stipendi e dell’aumento dell’orario settimanale da 36 ore a 38. Questa di assumere dipendenti con contratti di lavoro diversi e diversi trattamenti all’interno di una stessa azienda, pur svolgendo le stesse mansioni, è un abuso spesso utilizzato nel settore della sanità privata, utile anche a dividere i lavoratori. Ma tutto questo accade soprattutto per la condiscendenza dei sindacati (Cgil, Cisl, Uil) che lo permettono.
Questa volta le lavoratrici e i lavoratori della Sacra Famiglia non erano più disponibili a subire il solito ricatto del peggioramento delle condizioni. L’assemblea generale che si è tenuta nel teatro interno all’Istituto, stracolmo, aveva espresso molto chiaramente la posizione unitaria contraria ad ogni accordo e soprattutto nel respingere la scelta dell’azienda di imporre il trasferimento da un contratto all’altro. L’assemblea ha deciso all’unanimità di rispondere con la lotta, proclamando una prima giornata di sciopero e tutte le forme possibili di mobilitazione. Mentre l’assemblea terminava si è creato un corteo interno a maggioranza femminile che ha raggiunto gli uffici della direzione aziendale continuando la protesta.
Una importante giornata di sciopero e di manifestazione
Dopo le assemblee infuocate dei giorni precedenti è stata effettuata una giornata di sciopero il 19 febbraio 2020 per dare una forte risposta alla Direzione Aziendale. Uno sciopero molto partecipato e riuscito, sia nella sede centrale di Cesano Boscone che nelle sedi delle altre filiali. Abbastanza riuscito anche il presidio di protesta organizzato in piazza Fontana, dove diverse centinaia, soprattutto lavoratrici, hanno portato la loro protesta sotto il Palazzo della Curia milanese che è il principale azionista dell’Istituto della Sacra Famiglia.
Come una pugnalata alla schiena
Poi è arrivata la tremenda epidemia del coronavirus con le conseguenti sospensioni da parte del governo del diritto di sciopero e di mobilitazione.
Mentre gli organi d’informazione esaltavano l’eroismo degli operatori della sanità (sappiamo bene in che condizioni sono stati costretti ad affrontare la situazione) l’azienda ha approfittato cinicamente di mantenere le condizioni di saccheggio dei diritti verso i propri dipendenti.
In questa situazione di estrema debolezza ed impotenza da parte dei lavoratori l’azienda ha colto l’occasione di chiudere la partita con la complicità dei sindacati confederali che, tradendo il mandato delle assemblee hanno sottoscritto un CIA (contratto integrativo aziendale), una vera e propria disfatta su tutti i fronti, in cui si accetta il passaggio da un contratto all’altro, con il pretesto di ridurre le perdite.
Ma tutti i dipendenti dell’Istituto ci perdono pesantemente: sia gli ex Aris, turnisti e non, sia quelli già Uneba.
Una operazione per togliere le castagne dal fuoco all’azienda prima che, con il ripristino del diritto di sciopero e di mobilitazione, riprenda il conflitto da parte dei lavoratori per la rabbia dei gravi torti subiti.
Una operazione condotta dai sindacati confederali esterni, scavalcando la stessa RSU interna che successivamente si è accodata nel sottoscrivere l’intesa raggiunta.
Referendum taroccato
L’accordo raggiunto viene portato dalle RSU a referendum tra i dipendenti. L’esito del referendum viene ritenuto, per la differenza di poche decine di voti, dai sindacati confederali (Cgil, Cisl, Uil) e dalla RSU favorevole all’accettazione dell’accordo. Da tenere presente che nella sede centrale di Cesano Boscone, dove c’è la maggioranza dei dipendenti, viene largamente bocciato, mentre nelle sedi periferiche in altre località, dove scarseggiava l’informazione, è prevalso l’accettazione dell’accordo. L’esito del referendum è stato contestato da USI Sanità e Cobas Sanità che lo “impugnano formalmente” in quanto il risultato della votazione referendaria, così come proclamato nel verbale finale del 26 giugno 2020 dove chiedono la rinnovazione delle procedure elettorali, è risultato viziato dai due elenchi degli aventi diritto al voto consegnati alla Commissione Elettorale palesemente errati, in quanto comprendenti lavoratori che avevano in essere un CCNL diverso da quello stabilito dalla RSU per la votazione.
Su pressione di molti dipendenti scontenti si decide di tentare la via legale, portando in causa l’azienda da parte di una sessantina di iscritti sostenuti sia da USI Sanità che da Cobas Sanità.
Una prima importante vittoria
Il 14 settembre 2021 nella causa promossa contro la Sacra Famiglia “Si dichiara l’illegittimità della applicazione del ccnl Uneba ai lavoratori dipendenti soggetti al ccnl ARIS. Si dichiara il diritto dei ricorrenti a mantenere la disciplina normativa e retributiva di cui al ccnl ARIS. Si condanna la Fondazione al versamento delle differenze retribuite dovute, oltre interessi e rivalutazione monetaria”.
L’USI in un suo comunicato afferma: “Speriamo ardentemente che finalmente l’onnipotenza prevaricatrice della Direzione Aziendale, campione nell’azzeramento dei principali diritti dei propri dipendenti, come il non rispettare le fondamentali regole contrattuali, subisca una brusca battuta di arresto e una inversione di rotta. Questo ricorso legale si è reso necessario dopo la sottoscrizione di quell’accordo, spezzando quell’unità necessaria alla continuazione della lotta contro l’arbitrio imposto dalla Direzione Aziendale. Ma non dormiremo sugli allori: dobbiamo mobilitarci con le unghie e con i denti per difendere questo risultato, perché niente è scontato per sempre”.
La sentenza crea una forte aspettativa fra i dipendenti dell’azienda, mentre provoca sgomento misto a preoccupazione fra i sindacati firmatari. La risposta aziendale, invece che applicare la sentenza, fa immediatamente ricorso in appello.
Lettera a l’Avvenire
Temendo il peggio nella sentenza d’appello l’USI dell’azienda fa il tentativo di aprire delle contraddizioni nell’area cattolica inviando una lettera di denuncia con richiesta di pubblicazione su “Avvenire”. “L’Istituto Sacra Famiglia – si afferma – è un’azienda in cui l’azionista di maggioranza è la Curia milanese, il cui presidente è Don Marco Bove. Un Istituto tenuto in grande considerazione dalla Curia Vescovile dove sovente l’Arcivescovo di Milano si reca per le sue funzioni religiose, in occasione delle quali si fanno grandi elogi alla ‘Sacra Famiglia’ che è stata scelta come ‘Porta Santa della Misericordia’ nel Giubileo 2015-2016. Cosa non va nella gestione di tale Istituto è presto detto: non vengono rispettati i diritti dei propri dipendenti”. E si portano a riprova le documentazioni anche qui ampiamente segnalate. Ma “Avvenire”, era da aspettarselo, si guarda bene dal pubblicare la lettera di denuncia.
Alla speranza che aveva suscitato la decisione dei giudici d’appello d’invitare l’azienda alla trattativa segue purtroppo la sentenza emessa il 28 settembre 2022 in senso nettamente contrario. La sezione dell’USI in azienda fa uscire il suo comunicato del quale pubblichiamo uno stralcio.
Non ci avrete mai complici nella rapina dei nostri diritti
“La Direzione dell’Istituto Sacra Famiglia non ha perso tempo a cantar vittoria dopo l’esito della sentenza d’appello, a dir poco strabico, perché i giudici, dopo aver esortato l’azienda alla trattativa per colmare quelle differenze del passaggio imposto da un contratto all’altro peggiorativo, di fronte al netto rifiuto della Direzione Aziendale, l’hanno premiata rovesciando la sentenza di primo grado. La giravolta compiuta dai giudici dell’appello è troppo sospetta, ben conoscendo la pesante influenza dei “poteri forti” come la Curia milanese.
Questa azienda deve ringraziare i sindacati che hanno sottoscritto, durante la pandemia, quell’accordo interno (CIA), piegandosi al volere del “padrone”, tradendo quella aspettativa nelle assemblee delle lavoratrici e dei lavoratori. Deve ringraziare le RSU in carica che hanno ratificato l’accordo della rinuncia. Tutto questo ha spianato la strada all’esito stesso di una sentenza di appello così contraddittoria. Staremo a vedere quando usciranno le motivazioni: troppo frettolosamente la Direzione Aziendale ritiene la partita chiusa. Continueremo ad essere sempre dalla parte di chi non si è rassegnato alla riduzione dei diritti e ad alzare la testa, anche osando nella sfida sul piano legale, soprattutto portando avanti in azienda tutte quelle rivendicazioni necessarie per impedire ulteriori arretramenti. Di sicuro abbiamo necessità di una rappresentanza RSU (scaduta da tempo) rinnovata nella prospettiva per poter avanzare nel recupero di quanto ci è stato tolto e per non peggiorare la situazione”. L’azienda, complice la condiscendenza di Cgil, Cisl e Uil dimostrata in questi anni, è già passata ad un ulteriore attacco, annunciando la sospensione del prossimo premio di produzione, adducendo i soliti motivi di difficoltà economica.
Per un contratto unico nel comparto della sanità
La Sacra Famiglia fa parte di quelle strutture sanitarie private, convenzionate con la sanità pubblica, dove i contratti di lavoro sono una vera giungla, uno peggiore dell’altro, scelti dalla parte datoriale a seconda delle proprie convenienze, dove una stessa azienda può assumere i propri dipendenti con contratti diversi al proprio interno. Ed è proprio quello che l’Istituto della Sacra Famiglia ha cinicamente utilizzato. E’ per questo che l’Unione Sindacale Italiana, presente in questi contesti, si batte da tempo nella rivendicazione del contratto unico, sia nel pubblico che nel settore privato della sanità. Lo sciopero generale del 2 dicembre è l’occasione per avanzare su tale prospettiva, per egualitarismo e solidarietà, per l’unità dei lavoratori e lavoratrici del settore, per impedire una concorrenza sleale a favore dei privati che utilizzano contratti che costano meno a discapito dei propri dipendenti.
Enrico Moroni