Questo articolo non rappresenta che una piccola anticipazione di una ricerca, di ben più ampia portata, che ho concluso in questi mesi su Carlo Tresca (1879-1943). Trovandoci nel 140° anniversario della sua nascita è doveroso ricordare quest’instancabile militante anarchico la cui vicenda umana e politica è parte integrante, oltre che della storia dell’anarchismo, anche di quella della comunità italo-americana.
Tresca, anarchico originale e non ortodosso, uomo d’azione ed agitatore più che teorico, rappresentò nei turbolenti anni degli Stati Uniti della prima metà del XX secolo una delle figure principali dell’anarchismo italiano in America. Una vicenda, quella di Carlo Tresca, che che inizia a Sulmona, in Abruzzo e, passando per diversi importanti momenti della storia del movimento operaio americano ed un’instancabile lotta antifascista, si conclude tragicamente con il suo assassinio a New York nel 1943.
Tresca arrivò in America nel 1904 durante la fase centrale della Grande Migrazione (1880-1920), un fenomeno di massa che in circa 40 anni portò negli Stati Uniti d’America ben 5 milioni di italiani. Alcuni di questi emigranti, non solo italiani, si portarono però dietro un bagaglio particolare destinato a imprimere forti conseguenze sulla società statunitense. Infatti sin dagli anni ’80 del XIX secolo, l’emigrazione di massa portò dall’altra parte dell’Oceano Atlantico le idee sovversive europee: dal socialismo all’anarchismo fino al sindacalismo rivoluzionario.
Carlo Tresca, all’epoca giovane socialista, non rappresenta che uno dei militanti politici che all’inizio del XX secolo scelsero la via dell’emigrazione per sfuggire alla repressione dell’Italia crispina, andando ad aggiungersi alla piccola comunità fuoriuscita italiana in America. Giunto negli Stati Uniti continuò la sua attività interrotta in Italia, diventando, oltre che un instancabile militante politico, anche un prolifico giornalista con la creazione di diversi settimanali e pubblicazioni originali che accompagnarono i suoi 40 anni di battaglie negli Stati Uniti: da La Plebe (1907-1910), edito tra Philadephia e Pittsburgh (PA), passando a L’Avvenire (1910-1917) ed al famoso Il Martello (1917-1945) entrambi editi a New York.
Nel 1904 Tresca, aderente alla piccola Federazione Socialista degli Italiani d’America, dimostra sin da subito la sua insofferenza nei confronti del partito dal quale si distacca nel 1907 dopo due anni come direttore dell’organo stampa FSIA Il Proletario. Reclamando a gran voce libertà ed indipendenza creò da zero un proprio giornale: La Plebe. Il sottotitolo di quest’ultimo è significativo per l’intera esperienza politica treschiana: “Non servi di cricche personali, né soggetti a tirannie di partito, in lotta per l’Ideale contro preti, padroni e camorre”. Preti, padroni e camorre che furono tra i principali nemici di Tresca per tutta la vita, identificati da lui stesso come “camorra coloniale” insieme anche ad ambasciatori e consoli italiani. A tutto ciò dobbiamo aggiungere un altra grande battaglia cara a Carlo Tresca, sin dal suo breve periodo italiano, l’antimilitarismo. Il suo principale mezzo di battaglia rimasero sempre i suoi settimanali, oltre ad una instancabile attività di agitatore e oratore. Nel corso degli anni, grazie alla fervente attività politica e giornalistica, caratterizzata da una forte pragmaticità e senso tattico, compì una vera e propria evoluzione politica.
Tresca stringeva alleanze politiche dove più gli si addiceva al momento, cercando però sempre di mantenere una coerenza tra i mezzi e i fini. Dal suo distacco dall’FSIA Tresca diventò un battitore libero, senza partiti e associazioni che gli guardassero le spalle. Un’autonomia ed indipendenza che lo portarono così a eludere barriere e confini sociali,
politici e fisici, e ad avvicinarsi sempre più al movimento anarchico sino alla sua adesione pubblica nel 1913.
Lotta alla camorra coloniale e antimilitarismo si svilupparono all’interno di una continua azione sindacale che portò Tresca, in particolare tra il 1910 e il 1917, da una parte all’altra del nord-est degli Stati Uniti per partecipare alle maggiori agitazioni sindacali di quegli anni. Dallo sciopero dei minatori del Westmoreland (PA) del 1910, passando per il famoso sciopero di Lawrence (MA) del 1912 e quello dell’anno successivo a Paterson (NJ) sino allo sciopero dei minatori del Mesabi Range (MN) del 1916; Tresca si pose come portavoce dei numerosi lavoratori italiani che sfidavano le grandi compagnie minerarie come le grandi industrie tessili. Durante questi scioperi, affiancandosi all’Industrial Workers of the World, diventò un vero e proprio punto di riferimento. La sua figura di agitatore divenne famosa tanto da diventare un elemento chiave per la mobilitazione dei numerosi operai italiani in diverse occasioni.
La sua partecipazione in prima linea a questi scioperi ed il suo ruolo di agitatore rivoluzionario gli costarono più volte le attenzioni delle autorità e della polizia. Tra il 1910 ed il 1917 fu arrestato innumerevoli volte per le cause più varie – tra cui anche l’accusa di essere una spia del kaiser – e rischiò persino la condanna a morte per lo sciopero del Mesabi Range (1916-1917). La sua fama tra il movimento sindacale divenne talmente ampia che dopo il 1916, anche a causa da una repressione senza precedenti inaugurata dall’amministrazione statunitense, alcuni dirigenti sindacali non gradivano più la sua presenza durante le agitazioni sindacali perché considerato “troppo radicale”.
Il 1917 rappresenta un anno cruciale nella storia del mondo per diversi motivi e negli Stati Uniti, come altrove, fu occasione di una violenta repressione di tutti i movimenti sociali. La “Red Scare” impazzò in particolare nei confronti degli immigrati sui quali, tra molte altre cose, pesava la minaccia della deportazione verso il paese d’origine. Tresca fu ovviamente inserito in queste liste di proscrizione. Non subì la deportazione verso l’Italia ma fu costretto a chiudere il suo giornale L’Avvenire, per sette anni una delle bandiere delle lotte degli operai italiani di quell’epoca, a causa del “Trading with enemy act”. Quest’ultimo provvedimento pretendeva la traduzione di articoli scritti in lingua straniera per vigilare che essi non incitassero al boicottaggio della guerra o alla collaborazione con il nemico.
Nonostante la forte repressione Tresca svolse un’intensa propaganda antimilitarista per tutta la durata della prima guerra mondiale. Allo stesso modo si distinse per la solidarietà nei confronti di diversi compagni incriminati, arrestati e deportati. Non si può ad esempio non citare il grande ruolo che Tresca ricoprì anni dopo nella difesa di Sacco e Vanzetti, nonostante i forti dissidi con l’ala galleanista. Tresca si impegnò sin dal 1920, affiancando il Comitato di Difesa Sacco e Vanzetti, per organizzare raccolte fondi e procurare avvocati specializzati per il caso. Fu protagonista di numerosi viaggi di propaganda da est a ovest degli Stati Uniti dove piazza per piazza, comizio per comizio urlava la loro liberazione. Il suo impegno fu determinante perché la solidarietà superasse barriere etniche e sociali riuscendo a portare la causa dei due anarchici italiani ad un pubblico sempre più ampio. Senza sosta si spese per la liberazione di Sacco e Vanzetti sino al 1927, anno del loro assassinio.
Il 1917 vede l’inizio della più famosa pubblicazione treschiana: Il Martello, di cui fu direttore sino alla sua morte nel 1943. Il “settimanale di battaglia di Carlo Tresca” non fu mai un giornale teorico o di stretta analisi politica e, come il suo direttore, preferiva la feroce critica dell’attualità, le proposte concrete spronando alla lotta e alla solidarietà le masse operaie di lingua italiana. Il Martello con il suo stile diretto e concreto andava direttamente al cuore ed alla pancia del lettore, in piena coerenza con il personaggio Carlo Tresca: eclettico, poco catalogabile, anarchico sui generis. La stretta propaganda anarchica fu delegata alla ripubblicazione dei testi od al contributo di diversi militanti contemporanei del panorama anarchico internazionale tra questi spiccano: Errico Malatesta, Camillo Berneri, Luigi Fabbri, Alexander Berkman, Emma Goldman e molti altri. Il Martello uscì giusto in tempo per occuparsi della rivoluzione in Russia. Come altri inizialmente entusiasta, Tresca non risparmiò poi critiche feroci, sino a dichiarare a chiare lettere il fallimento della rivoluzione schiacciata dall’autoritarismo bolscevico. Alla morte di Lenin scrisse su Il Martello: “sarebbe ipocrisia tacere, maggiore ipocrisia da parte nostra gettare lacrime e fiori sulla tomba del dittatore russo”.
Antimilitarismo, lotta a padroni, preti e camorre si fusero sin dal 1920 con una instancabile lotta antifascista, che Tresca portò avanti sino al suo assassinio, che fece de Il Martello uno dei più famosi settimanali antifascisti italo-americani. Per più di 20 anni Tresca fu tra i protagonisti della lotta antifascista negli Stati Uniti attraverso sit-in, manifestazioni, attività giornalistica, contestazioni a gerarchi in visita, consoli e ambasciatori oltre alla breve esperienza dell’Antifascist Alliance of North America (AFANA). Il fascismo infatti si propagò velocemente anche tra gli italo-americani, a partire dalla fondazione di un fascio a New York dal 1920 ed in particolare dopo il 1922 con lo schierarono a favore di Mussolini di ogni istituzione italo-americana, società, giornali e aziende. Tresca ingaggiò una lunga battaglia, in particolare contro i cosiddetti “prominenti”, potenti uomini d’affari, tra cui spiccava Generoso Pope, proprietario de Il Progresso Italoamericano, che velocemente si ingraziarono il regime per i loro tornaconti personali.
Nonostante i fascisti convinti fossero pochi, il fascismo si propagò molto velocemente come riaffermazione dell’italianità, come sentimento di rivalsa nei confronti della società statunitense. La battaglia antifascista di Tresca raggiunse molte volte alti livelli di scontro e di violenza per le strade delle Little Italies. In particolare negli anni ’20 gli antifascisti italoamericani erano isolati ed in netta minoranza: considerati antitaliani dagli italo-americani e pericolosi sovversivi dal governo degli Stati Uniti. Tresca divenne uno dei simboli di questa lotta, tanto che Mussolini nel 1926 giunse addirittura a ritirargli la cittadinanza italiana. Nel 1928 il console generale di New York dichiarava all’ambasciatore De Martino: “per infliggere un colpo mortale all’antifascismo negli Stati Uniti basterebbe liquidare Carlo Tresca”.
L’antifascismo treschiano non fu mai fine a sé stesso ma aveva precisi fini di liberazione sociale e rientrava pienamente nel più ampio contesto dell’antifascismo anarchico sulla scia di Luigi Fabbri, Camillo Berneri e molti altri. Coerentemente a questo divenne uno strenuo oppositore dello stalinismo, in particolare negli anni ’30 con l’emergere dei fronti popolari. Antistalinismo che dimostrò in più occasioni: nei numerosi articoli de Il Martello, in particolare in appoggio alla Spagna rivoluzionaria del 1936 ed i suoi sviluppi, così come in numerosi interventi pubblici nei confronti del Partito Comunista degli Stati Uniti d’America (CPUSA) e della sua sezione italiana. Malgrado i rapporti intrattenuti con i comunisti nel corso degli anni ’20, tentò di smascherare complotti e intenzioni degli stalinisti ugualmente a quanto fece per la propaganda fascista. L’antifascismo di Tresca divenne lentamente un vero e proprio antitotalitarismo.
L’internazionalismo portò le sue idee a scavalcare diversi confini fisici, caratteristica che emerse in diversi momenti della sua vita e di cui ne è prova il suo stesso giornale. Il Martello infatti riusciva a raggiungere i diversi luoghi dell’emigrazione italiana, dall’America all’Europa fino in Australia. Tresca mantenne sempre e comunque uno sguardo privilegiato sull’Italia in cui riuscì, almeno sino al 1926, a spedire il suo giornale che entrava dalla Svizzera clandestinamente. Coltivò in numerose occasioni contatti internazionali in particolare nei confronti delle comunità antifasciste italiane in Europa e in America. Allo stesso modo non mancò mai di esprimere solidarietà, anche concretamente con iniziative di vario genere, con le varie lotte in vari paesi del mondo e in particolare verso la Spagna rivoluzionaria.
Il Martello superava le frontiere così come Tresca eludeva barriere sociali. Sin dalla sua prima esperienza sindacale fu tra i protagonisti dell’abbattimento delle barriere etniche di cui ancora soffriva il movimento dei lavoratori di lingua italiana spingendolo verso l’IWW. Riuscì così, insieme all’appoggio decisivo di molti altri, ad unire i lavoratori indipendentemente dalla loro provenienza nel difficile contesto della società statunitense. Allo stesso modo sul finire degli anni ’30 Tresca rappresentava una sorta di anello di congiunzione tra le diverse generazioni di antifascisti e in un certo senso ne costituiva la memoria.
Carlo Tresca divenne negli anni un simbolo, un vero e proprio punto fermo che riusciva ad attraversare barriere etniche e generazionali, sino al suo assassinio l’11 gennaio 1943. Il suo omicidio ed i diversi risvolti politici che ne conseguirono, furono il risultato di un accordo tra fascisti e potenti mafiosi di New York. Il caso, nonostante diversi
indiziati, testimoni e numerose ipotesi, rimase irrisolto.
Tresca, durante i suoi 39 anni di attività negli Stati Uniti, seppe essere presente prima tra le più grandi battaglie sindacali statunitensi di inizio ’900, per poi sfuggire alla forte repressione del primo dopoguerra americano ed infine ingaggiare una lunga battaglia contro tutti i totalitarismi del mondo. Tutto ciò portando avanti nel tempo un messaggio estremamente radicale che sapeva però adattarsi di situazione in situazione: il sovvertimento dello stato e della Chiesa, l’abolizione del capitalismo per la costruzione di una società libertaria. Il percorso politico e umano del direttore de Il Martello rientra così a pieno titolo nel solco della tradizione anarchica del XX secolo, sia di quella americana sia di quella europea da cui Carlo Tresca proveniva. Un anarchico sospeso tra due mondi e capace, con la sua battaglia, di spezzare barriere ed eludere confini per la costruzione di un mondo di liberi e uguali.
Alle Incerti