Se credete che la mia frase[2] meriti qualche ulteriore sviluppo, proverò a farlo qui. Occorre però che prima ripeta ciò che vi ho già detto: non sono sicuro di avere ragione e, per di più, mi sento in stato di inferiorità rispetto al vostro lavoro. Quando degli uomini che passano la loro giornata in una officina od in una fabbrica impegnano il loro tempo libero per cercare di esprimersi in una rivista, non è colui che gode di una grande libertà per scrivere e lavorare che può storcere la bocca e dare consigli. Anche se per caso potesse avere ragione, non paga di persona su questo punto e ciò basta a rendere sospette le sue parole. Per aderire ad un ruolo talmente ridicolo e facilmente odioso, occorrerebbe essere tra vecchi compagni e nella più totale tranquillità. Senza offendervi, non è questo il caso.[3] Allo stesso tempo, però, mi sembra che vi sarebbe un po’ di volgare vigliaccheria, una mancanza di senso di solidarietà, nel non dire semplicemente ciò che penso, beninteso restando che sono pronto in ogni momento a riconoscere che ho torto.
Occorre innanzitutto dire che non penso che esista una letteratura operaia specifica. Ci può essere della letteratura scritta da degli operai, ma essa non si distingue, se è di qualità, dalla grande letteratura. Credo in compenso che i lavoratori possano rendere alla letteratura dei nostri giorni qualcosa che sembra, nella sua maggioranza, aver perduto. Mi spiego. Si può ritenere Gorki,[4] ad esempio, come uno dei più bei rappresentanti della letteratura operaia. Per me però non c’è differenza essenziale tra i suoi libri e quelli del grande proprietario terriero Tolstoj.[5] Al contrario, li amo entrambi in parte per le medesime ragioni: esprimono in un linguaggio allo stesso tempo semplice e bello ciò che vi è di più grande – gioia o dolore – nel cuore di un uomo. Esiste al contrario un’enorme differenza tra Tolstoj ed un grande scrittore come Gide,[6] di origine borghese. Dei due, è il grande proprietario terriero che, alla sua maniera, scrive per e con il popolo.
Tolstoj e Gorki, da soli, definiscono molto bene ciò che intendo per letteratura, che voi potete chiamare all’occasione operaia e che io chiamerei, in mancanza di un termine meno ridicolo, vera. In quest’arte possono ricongiungersi il cuore più semplice ed il gusto più elaborato. A dire la verità, se una viene a mancare, l’equilibrio si rompe. Infatti, la letteratura del nostro tempo – che è in realtà una letteratura per la classe dei mercanti, almeno nella maggior parte delle sue opere – ha distrutto l’equilibrio. Non l’ha rotto soltanto per guadagnare in raffinatezza ed in leziosismi, cosa che comunque l’ha staccata bruscamente dal pubblico operaio. L’ha rotto anche – com’è naturale quando si voglia piacere a dei mercanti – nel senso della volgarità e della derisione, cosa che esclude l’interesse di Tolstoj (lo scrittore russo diceva che il giornalismo è un bordello intellettuale e che la letteratura odierna è nella maggior parte dei casi del giornalismo fatto in volumi).
Ebbene, allo stesso modo in cui è necessario che una rivista operaia reagisca contro i leziosismi e le cineserie di una certa letteratura al fine di riportarla nella città di coloro che, in tutti i campi, lavorano, mi sembra indispensabile che reagisca anche – e con forza – contro la volgarizzazione borghese. Per ripetere il mio esempio, Tolstoj non mi sembra grande se non nella misura in cui sa commuovere il lettore meno preparato. All’inverso, però, la letteratura operaia possiede senso e grandezza solo quando, rappresentando la realtà del lavoro, del dolore, della gioia, ricongiunge nel linguaggio più opportuno quella stessa verità che Tolstoj ha perseguito con tutti i mezzi dell’arte e del pensiero. Se, al contrario, questa letteratura si limita a ripetere ciò che leggiamo nei giornali risulterà certamente interessante, ma a causa del contesto in cui è nata, non in virtù di se stessa.
Ciò che talvolta mi infastidisce nella vostra rivista (non sempre, questo è certo) è un certo compiacimento che finisce per giungere a ciò che non amo nella letteratura d’oggi. Quando un produttore borghese raffazzona un bidone cinematografico che gli farà guadagnare milioni grazie alle curve di una diva fabbricata in sei mesi, perché dargli ragione scrivendo che queste curve rendono accettabile il film? Come tutti, ho le mie idee ed i miei gusti sulle curve. Le curve, però, sono una cosa, la cultura di classe un’altra, e la degradante impresa del cinema borghese deve essere giudicata diversamente. Dallo stesso punto di vista (sono dettagli, li ho scelti esclusivamente allo scopo di farmi comprendere) è vero che la briscola al bistrot dell’angolo vale bene il cocktail mondano. Il problema è però proprio che il cocktail mondano non vale nulla. Perché dunque compararli? La briscola ha del buono (per chiarire l’esempio, aggiungo che è il solo gioco di carte di cui sono patito), ma non ha bisogno di una rivista per essere celebre. Si difende perfettamente da sola.
Beninteso, so che è necessario che una rivista sia viva e che non annoi. Vi sono abbastanza riviste oggi che, proponendosi soprattutto di piacere, non giungono nemmeno a non piacere: annoiano solamente. Non sono per nulla sprovvisto di senso dell’umorismo e, per me, una rivista operaia deve anche far ridere. Vi è un equilibrio da trovare, ecco tutto, e so che non è facile da trovare, soprattutto in due numeri. So anche che non avrebbe potuto cogliere l’intera mia opinione nei due esempi che vi ho fatto[7] (il testo del minatore belga è bellissimo). Giustamente, però, se ciò che vi dico ha una qualche utilità, è quella di permettervi di distinguere le differenze di stile che appaiono ad un lettore in buona fede e di decidere in un senso o nell’altro.
Voglio soltanto ripetermi un’altra volta, a rischio di essere noioso a mia volta. Non parteggio per una rivista sonnifero, né voglio che i vostri collaboratori scrivano con il mignolino alzato. Gli esempi che invocherei non sono Gide o Claudel[8] o Jouhandeau.[9] Parlo però di una letteratura di cui le novelle di Tolstoj sono il livello più elevato e che è il legame comune che può riunire artisti e lavoratori. Vallés,[10] Dabit,[11] Poulaille,[12] Guillox[13] (avete letto Compagni, il suo capolavoro?), Istrati,[14] Gorki, Roger Martin du Gard[15] e molti altri non scrivono con il mignolino alzato e parlano, per tutti, di una verità che la letteratura borghese ha perso quasi interamente di vista e che, a mio avviso, il mondo dei lavoratori conserva pressoché intatta.
Cosa dirvi d’altro? Occorrerebbe – e forse lo farò un giorno – insistere su questa verità: vi è tra il lavoratore e l’artista una fondamentale solidarietà e che, ciononostante, sono oggi disperatamente separati. Le tirannie, così come le democrazie del denaro, sanno che per dominare occorre separare il lavoro e la cultura. Per il lavoro l’oppressione economica è pressapoco sufficiente, congiunta alla costruzione di un surrogato di cultura (di cui il cinema, nella sua maggioranza). Per la seconda, la corruzione e la derisione svolgono il loro compito. La società mercantile copre d’oro e di privilegi dei buffoni decorati col titolo di artista e li spinge verso ogni genere di favori. Appena essi accettano questi favori, eccoli legati ai loro privilegi, indifferenti od ostili alla giustizia e separati dai lavoratori. È dunque contro questo movimento di separazione che voi e noi, artisti di professione, dovremo lottare. Innanzitutto tramite il rifiuto dei favori e poi, noi, sforzandoci sempre più di scrivere per tutti – lontani come siamo da questa vetta dell’Arte – e voi, che penate nella più dura delle battaglie, pensando a tutto ciò che manca alla letteratura di oggi ed a ciò che potete apportargli di insostituibile. Non è facile, lo so, ma il giorno in cui, tramite questa azione congiunta, vi giungeremo vicino, non ci saranno più gli artisti da un lato e gli operai dall’altro, ma una sola classe di creatori in tutti i sensi della parola.
Ecco all’incirca – troppo distesamente e molto confusamente perché ho scritto seguendo la corrente della penna – quello che penso. Se mi inganno, perdonatemi. Vi ripeto che non avverto, di fronte al vostro tentativo, alcuna certezza.
Cordialmente
Albert Camus
P. S. Grazie per le Belle Giornate[16] che leggo con interesse. Il soggetto è magnifico.
Traduzione di Enrico Voccia (dal testo originale comparso in La Révolution Prolétarienne, 447, febbraio 1960, pp. 2-3)
NOTE
[1] Il testo – una lettera – era nato in occasione della richiesta (avvenuta sette anni prima) di un articolo per la rivista Après l’boulot diretta da Maurice Lime, personaggio proveniente dal Partito Comunista Francese, poi collaborazionista, poi nuovamente militante nella sinistra. Di qui, probabilmente, una certa ritrosia e distanza che si nota nella lettera in questione. A distanza di tempo, ritenendo che le tematiche trattate nella lettera fossero in qualche modo ancora di attualità, Camus ne aveva consegnata una copia per la pubblicazione alla rivista anarcosindacalista francese, che la pubblicò poco dopo la morte del suo autore, avvenuta il 4 gennaio.
[2] Camus si riferisce qui ad una lettera precedente sullo stesso tema intercorsa tra i due.
[3] Vedi la nota 1 sul passato di Maurice Lime.
[4] Maksim Gor’kij, pseudonimo di Aleksej Maksimovič Peškov (Nižnij Novgorod, 28 marzo 1868 – Mosca, 18 giugno 1936). Scrittore e drammaturgo russo proveniente da una famiglia povera ed in origine lavoratore manuale, è considerato il padre del cosiddetto “realismo socialista”: nelle sue opere è costante il tema della lotta contro la povertà, l’ignoranza, la guerra e la tirannia. Nonostante la fama, i suoi contatti con la sinistra rivoluzionaria lo resero notevolmente inviso al regime zarista e fu costretto all’esilio. Amico di Lenin, collaborò lungamente con lui sul settore culturale sia prima sia dopo la presa di potere del Partito Bolscevico e ritornò definitivamente in Russia sotto il regime stalinista.
[5] Lev Nikolàevič Tolstòj (Jàsnaja Poljana, 9 settembre 1828 – Astàpovo, 20 novembre 1910), è stato tra i più grandi scrittori, filosofi, educatori ed attivisti sociali della Russia zarista. Autore di celebri romanzi e racconti ancora oggi letti e tradotti a livello mondiale, è noto anche per il suo pensiero filosofico e politico, che tendeva a coniugare un cristianesimo radicale con l’anarchismo comunista e quella che oggi definiremmo la non violenza. È uno dei padri intellettuali esplicitamente riconosciuti dal Camus scrittore e, in parte, dal Camus pensatore politico.
[6] André Gide (Parigi, 22 novembre 1869 – Parigi, 19 febbraio 1951) è stato uno scrittore francese, premio Nobel per la letteratura nel 1947. Nei suoi testi è centrale la critica ai valori morali repressivi, particolarmente in campo sessuale. È stato, nonostante la sua ritrosia, un punto di riferimento intellettuale, oltre che per la cultura omosessuale, per la sinistra intellettuale francese, in particolar modo di quella critica verso lo stalinismo.
[7] Presenti nella lettera cui si fa riferimento nella nota 2.
[8] Paul Claudel (Villeneuve-sur-Fère, 6 agosto 1868 – Parigi, 23 febbraio 1955) poeta, drammaturgo e diplomatico francese. Da giovane militante anarchico, restò comunque, anche dopo aver intrapreso la carriera diplomatica, in qualche modo legato agli ideali della sinistra radicale.
[9] Marcel Jouhandeau (Guéret, 26 luglio 1888 – Parigi, 7 aprile 1979) è stato uno scrittore francese dal carattere ambiguo e contraddittorio.
[10] Jules Vallès (pseudonimo di Jules Louis Joseph Vallez, Le Puy-en-Velay – Haute-Loire – 11 giugno 1832 – Parigi 14 febbraio 1885) era un giornalista, scrittore e politico francese legato alla sinistra rivoluzionaria.
[11] Eugène Dabit (Parigi, 1898 – Sebastopoli, 1936): romanziere francese attento ai problemi sociali dell’epoca. Marcel Carné nel 1938 ha tratto il film Hôtel du Nord dal romanzo omonimo di Dabit.
[12] Henri Poulaille, scrittore francese (Parigi 1896 – Cachan 1980). Autore di romanzi realistici, fu un teorico e militante del movimento populista.
[13] Louis Guilloux (Saint-Brieuc 15 gennaio 1899 – 14 ottobre 1980), scrittore francese amico di Camus e legato in generale alla sinistra.
[14] Panait Istrati (Baldovinesti 1884 – Bucarest 1935). Di padre greco e madre romena, scrisse in prevalenza in lingua francese. Autodidatta, dopo aver esercitato vari mestieri nel Vicino e Medio Oriente, nel 1916 fu in Svizzera e nel 1920 si stabilì in Francia. Ebbe successo con il romanzo Kyra Kyralina (1924), in cui si ritrovano i motivi predominanti della sua narrativa: ricordi di un’infanzia misera e fantasiosa, nostalgia del ghetto familiare, nomadismo, avventure picaresche. Anch’egli era legato alla sinistra antistalinista.
[15] Roger Martin du Gard (Neuilly-sur-Seine, 23 marzo 1881 – Bellême, 22 agosto 1958) è stato uno scrittore e poeta francese, amico di Gide e premio Nobel per la letteratura nel 1937.
[16] Libro di Maurice Lime pubblicato alcuni anni prima nel 1949.