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Alternanza e lavoro minorile: due facce della stessa medaglia?

Alternanza e lavoro minorile: due facce della stessa medaglia?

Ci troviamo in un’aula di una scuola italiana, in attesa di iniziare le operazioni di scrutinio di fine anno, si tratta di una classe quarta di un istituto superiore; per la verità stiamo anche aspettando il collega d’informatica che è in leggero ritardo. Quando entra, prima ancora che qualcuno attacchi con un: “Stavamo aspettando proprio te!”, spiega il motivo del contrattempo. Fino a poco prima era al telefono con M.M. uno studente di quella stessa classe che, da qualche giorno, aveva incominciato la “fase aziendale” del suo PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento) la nuova versione della meglio conosciuta “Alternanza scuola lavoro”. M.M. aveva chiamato il docente, che ricopre anche il ruolo di tutor, per avvisare che quella mattina, mentre si recava in bicicletta nell’azienda che lo “ospita”, era stato investito da un’auto. Diagnosi del pronto soccorso frattura della spalla escoriazioni e contusioni varie per 10 giorni di prognosi e… per la spalla si vedrà.

Oltre che per comunicare che la sua parte di alternanza legata all’esperienza lavorativa finiva lì, aveva chiamato per capire come comportarsi per le questioni burocratico – assicurative. Già, di là dalla responsabilità civile regolata dal codice della strada relativa all’incidente, bisogna anche considerare che, lui, pur non essendo un dipendente, si stava recando sul posto di lavoro. Ho chiesto anch’io al collega come ci si regolasse in questi casi e lui mi ha risposto di aver fornito tutte le indicazioni per procedere con la denuncia all’INAIL che deve essere effettuata tanto dal “lavoratore” quanto dal datore di lavoro.

Non sto a discutere se M.M. sia stato più o meno ”fortunato” considerando il numero di incidenti che coinvolgono sempre più spesso i ciclisti, di sicuro so che se non fosse stato in alternanza scuola-lavoro non si sarebbe trovato lì. Non voglio nemmeno ipotizzare che avesse scelto la bicicletta per essere sicuro di arrivare in orario evitando “brutte figure” proprio nei primi giorni di lavoro, ma potrebbe essere un’opzione realistica. Questo episodio mi ha spinto, poi, a recuperare qualche altra informazione, così ho iniziato una breve ricerca in rete.

Con pochi clic ho trovato che …Recarsi al lavoro può esporre il dipendente al rischio di esser coinvolto in un incidente stradale, ad una caduta o altro, ma forse non tutti sanno che a determinate condizioni, eventi come quelli descritti possono essere coperti dall’assicurazione INAIL che interviene a copertura dei periodi di non lavoro dovuti alle conseguenze fisiche dell’infortunio.

Prima anomalia, nel nostro caso per la prestazione lavorativa dello studente non è prevista retribuzione e quindi… che tipo d’indennità potrà ricevere, se effettivamente ne avesse diritto?

Perché esprimere un dubbio? Le ragioni ci sono, infatti, nel modello INAIL 4 bis R.A. il dipendente, oltre a riportare i riferimenti anagrafici deve specificare il rapporto di lavoro, come data di assunzione, tipologia contrattuale, mansione ricoperta, articolazione dell’orario di lavoro (se full-time o part-time). Da questo punto di vista, pur mancando tutti i dati contrattuali, nella convenzione azienda scuola è specificato l’orario di lavoro, riferimento che risulta indispensabile (insieme al tragitto), per dimostrare che si tratta di un incidente in itinere. Attenzione, gli ostacoli da superare non sono finiti, la copertura INAIL, anche disponendo di questi dati, non è automatica. Infatti, bisogna dimostrare che il luogo dell’incidente si trovi sul normale percorso, dove per normale percorso si intende l’itinerario più breve che collega un luogo ad un altro. Inoltre, viene considerato anche il mezzo utilizzato nel senso che l’infortunio in itinere è coperto anche se si utilizza un mezzo di trasporto privato, purché questo sia necessario, dal momento che manchino trasporti pubblici ovvero questi non consentano una puntuale presenza al lavoro o siano particolarmente disagevoli o gravosi. E per finire, cosa succede se il mezzo privato è una bicicletta? La Cassazione (sentenza n. 7313/2016) ha ritenuto indennizzabile dall’INAIL l’infortunio occorso al dipendente che abbia fatto uso della bicicletta, dal momento che la normativa italiana ne incentiva l’utilizzo. Al contrario, sempre la Suprema Corte (sentenza n. 22154/2014) non ha giudicato coperto dall’INAIL l’incidente stradale che ha colpito il dipendente mentre si recava al luogo di lavoro, distante meno di un chilometro dall’abitazione, dal momento che il tragitto era comodamente percorribile a piedi. Si capisce bene quante clausole pendano sul nostro caso, che ora lasciamo per allargare la visuale. Non possiamo certo dimenticare che, nell’ambito alternanza/PCTO, si sono verificati anche incidenti mortali. Secondo dati riportati dal Quotidiano di Puglia, del giorno 8 gennaio 2023, i numeri sull’emergenza sicurezza per gli studenti impegnati nell’alternanza parlano chiaro: in Italia dal 2017 al 2021, (tenendo presente che dal 2020 in poi, a causa del Covid, le presenze in azienda si sono ridotte) sono stati denunciati ben 296.003 infortuni e 18 morti.

Qualche cinico potrebbe osservare che si tratta di un’esperienza reale che riproduce fedelmente quello che succede nel mondo del lavoro degli adulti, visto che nel 2019 (dato pre-covid) sono stati denunciati 1.156 infortuni mortali mentre le denunce d’infortunio sul lavoro pervenute all’INAIL sono state 644.803. L’informazione mass-mediatica si limita ad aggiornare l’elenco dei morti quasi si trattasse di un destino ineluttabile, se apre delle parentesi lo fa solo per i casi più eclatanti. Tra questi, emblematico quanto è successo dopo la morte dello studente Giuliano De Seta schiacciato da una lastra di una tonnellata. Il ragazzo era uno stagista e non un “capofamiglia”, quindi la famiglia non ha potuto incassare il risarcimento previsto dall’INAIL. Non che si possa rimediare alla perdita di una giovane vita con un risarcimento in denaro ma questo, come altri, rappresenta un esempio evidente dei vuoti legislativi che sono emersi di fronte all’introduzione del connubio scuola – lavoro.

Via via, sono state messe delle pezze, con la legge 107/2015 è stato introdotto l’obbligo di includere nel programma di formazione corsi in materia di salute e sicurezza nel posto di lavoro; chiunque abbia operato nella scuola sa che si tratta di poche ore che, di fatto, assolvono l’obbligo formalmente ma hanno una minima incidenza sulla prevenzione come evidenziato dai dati di cui sopra.

Più recentemente, nel Decreto legge 4 maggio 2023 n. 48, all’Art. 17 si legge che “al fine di riconoscere un sostegno economico ai familiari degli studenti delle scuole o istituti di istruzione di ogni ordine e grado, anche privati, comprese le strutture formative per i percorsi d’istruzione e formazione professionale e le Università, deceduti a seguito d’infortuni occorsi, successivamente al 1° gennaio 2018, durante le attività formative, è istituito, presso il Ministero del lavoro delle politiche sociali, un Fondo con una dotazione finanziaria di 10 milioni di euro per l’anno 2023 e di 2 milioni di euro annui, a decorrere dall’anno 2024”.

Se questo è un tentativo di far dimenticare la vergogna del mancato risarcimento di cui sopra è ugualmente chiaro che chi governa non mette minimamente in discussione il fatto che si possa morire da minorenni in nome delle competenze e dell’orientamento. Una conclusione amara che ci spiega, bene, come l’attenzione di chi si occupa di formazione si concentri, già dall’adolescenza, più sulla definizione di “un’identità di lavoratore” piuttosto che sul massimo sviluppo delle potenzialità dell’individuo.

Il processo d’apprendimento è finalizzato all’unico scopo valido, secondo loro, cioè all’inserimento funzionale nel mondo del lavoro e al soddisfacimento delle necessità aziendali.

Questo tema induce ad un’altra riflessione. In base ai dati elaborati a partire da report e database presenti su portali nazionali dell’INAIL e dell’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale (INPS) è stato elaborato il Primo rapporto statistico “Lavoro minorile in Italia: rischi, infortuni e sicurezza sui luoghi di lavoro”, presentato da Unicef Italia in occasione della Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile. I dati sono stati raccolti per età, regione e genere e denunciano come, nel bel paese, persista una piaga legata al lavoro minorile. Tra il 2017 e il 2021 sono stati sette gli infortuni con esito mortale per i minorenni sotto i 14 anni e 67 per la fascia di età 15-19 anni.

Nel periodo compreso tra il 2017 e il 2021 le denunce di infortunio di minorenni sotto i 19 anni presentate all’INAIL a livello nazionale ammontano a 352.140 di cui: 223.262 per i minorenni fino a 14 anni (erano 31.857 nel 2021 e 18.534 nel 2020) e 128.878 nella fascia di età 15-19 anni (erano 18.923 nel 2021 e 11.707 nel 2020).  Numeri impressionanti che dovrebbero sollecitare iniziative tese a tutelare questi adolescenti, molti dei quali sono direttamente coinvolti nel fenomeno della dispersione scolastica ….. altro che alternanza scuola lavoro!

Tra l’altro, iniziare a lavorare presto significa anche perdere delle opportunità formative e rimanere intrappolati in un circolo vizioso che di fronte a scarse competenze manterrà questi ragazzi all’interno di un circuito di sfruttamento, di mansioni sottopagate, di rischio per la propria salute se non per la propria vita.

Chi ha pensato all’alternanza trascurando il fenomeno della dispersione scolastica, ignorando le dinamiche del lavoro minorile ha fatto, chiaramente, una scelta. Chi è stato responsabile di quelle scelte, di fronte alle loro tragiche conseguenze, versa lacrime che scorrono sul volto dell’ipocrisia.

E non servono le parole del presidente della Repubblica che, in occasione della giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile, ha dichiarato: “È necessaria una presa di coscienza della pericolosità dell’ingresso in età precoce nel mondo del lavoro di bambini e ragazzi che, senza alcuna tutela, vedono compromettere irrimediabilmente il proprio futuro e del danno che questo reca all’intera società”. La presa di coscienza c’è stata da tempo, bisogna, piuttosto, riprendere le lotte in difesa dei diritti che ogni giorno il potere cerca di ridurre.

L’Osservatore Normanno

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