Al momento in cui scrivo, non si sa ancora se la tregua raggiunta in Ucraina reggerà, o si assisterà al riaccendersi del conflitto. Il cuore del conflitto è la città di Debal’tseve, importante nodo ferroviario e stradale nella regione di Donetsk, passata dal controllo degli indipendentisti filo-russi a quello dell’esercito regolare ucraino. Oggi a Debal’tseve ci sono migliaia di militari assediati, senza acqua né energia elettrica. I ribelli filorussi sostengono che la zona di Debal’tseve è al di fuori degli accordi di Minsk, quindi per l’esercito ucraino le cose non si mettono bene.
Ma è tutta la situazione militare che volge al peggio per gli ucraini. Secondo il capo del battaglione Azov, la formazione volontaria di ispirazione nazista che sostiene il governo di Kiev, l’esercito ucraino si troverà ad affrontare nuove sconfitte.
Il popolo ucraino, sia che si trovi nell’area occupata dai filoccidentali, sia che si trovi in quella filorussa, è la vittima di una sporca guerra in cui i governi hanno un vicendevole sopravvento manovrando carri armati, razzi, aerei. Oggi i filorussi sono all’attacco, e cercano di riprendersi il terreno conquistato dall’esercito ucraino che si è gettato in questa guerra sperando nell’aiuto degli USA e dell’Unione Europea.
Oltre a carri armati e aerei, oltre alle mosse della diplomazia, il conflitto è segnato dall’andamento del prezzo del petrolio. L’ottica in cui interpretare i conflitti interimperialistici, e quella che si combatte in Ucraina è una guerra tra USA e Russia, due potenze imperiali, per interposta persona, è quella globale. Un’interpretazione corretta deve essere capace di collegare il riaccendersi del conflitto in Ucraina, e l’acuirsi del confronto USA-Russia, con l’andamento del prezzo del petrolio.
Una chiave di interpretazione potrebbe essere questa: l’imperialismo angloamericano tenta di mettere alle corde Mosca col prezzo basso del petrolio, ma questo ha delle gravi ripercussioni sulle multinazionali del petrolio. Le grandi compagnie hanno annunciato una diminuzione dei profitti e dei dividendi, accompagnati da licenziamenti e chiusure di impianti; il più grande colpo è stato per l’industria del fracking, la nuova tecnologia per l’estrazione del petrolio da rocce bituminose, che richiede notevoli investimenti ed è remunerativa solo con un prezzo alto del petrolio. L’industria petrolifera è sempre stata uno dei settori cardine della politica statunitense, ecco allora che l’opzione militare acquista peso come alternativa al lento strangolamento della Russia per mezzo del basso prezzo del petrolio. Ma non c’è solo il petrolio; il complesso militare-industriale ha già coinvolto gli USA in numerose guerre, dopo la seconda guerra mondiale. Uno dei senatori usa che si è espresso a favore di un sostegno militare all’ucraina è John Mccaine, presidente della commisione senatoriale per gli armamenti, a lui si aggiungono esponenti degli stati del sud, coinvolti nella produzione del petrolio. Quello di cui si discute è la fornitura di armi pesanti all’Ucraina, fino a tre miliardi di dollari. L’amministrazione USA è recalcitrante a fornire all’Ucraina armi cosiddette letali, sia perché ha dubbi sull’effettiva capacità delle forze armate di Kiev di usare quelle armi, sia per l’alto numero di gruppi volontari, come il cosiddetto battaglione Azov, difficilmente controllabili.
I contraccolpi della politica dei bassi prezzi del petrolio dimostrano le contraddizioni dell’imperialismo: anche ammettendo che esista un piano che l’amministrazione US e il Regno Unito intendono realizzare, le scelte concrete si portano dietro conseguenze imprevedibili, come dimostrano le conseguenze dell’uso dell’arma del petrolio.
Quali conseguenze imprevedibili può avere l’escalation del confronto imperialistico con la Russia, e la contrapposizione fra USA e Regno Unito da una parte, Germania e Francia dall’altra? L’iniziativa franco-tedesca che ha portato ai nuovi accordi di Minsk avrà sicuramente dei contraccolpi all’interno dell’Unione Europea, visto l’atteggiamento anti-russo della Polonia, delle repubbliche baltiche, e degli altri paesi che facevano parte del patto di Varsavia.
L’esperienza di due guerre mondiali sta lì a dimostrare che le manovre e le minacce degli eserciti prima o poi portano alla guerra: la crisi economica fornisce già abbastanza argomenti alle classi dominanti per cercare di risolvere i problemi interni scaricandoli sugli altri paesi, preparando così la rovina comune. Dalle steppe gelate alle dune infuocate del deserto soffia il vento della guerra, è ora di scuotersi e di imporre le ragioni della pace, della libertà e della giustizia ai governanti ebbri di volontà di potenza.
Tiziano Antonelli