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Quale ricerca per quale università?

Quale ricerca per quale università?

Spesso si considera l’università un luogo “libero” rispetto al resto delle istituzioni, merito anche delle attività dei collettivi studenteschi che bene o male, con tutti i loro limiti, contribuiscono ad animare la vita interna delle facoltà. Il rischio sempre presente è comunque quello di vedere l’università come “un ghetto d’oro in un mare di merda”, dunque come una fortezza di libertà e sapere totalmente isolata dal mondo, nella quale si può parlare di chimica, filologia, matematica e psicologia senza temere “incursioni esterne” dal mondo politico, economico o militare. Visione abbastanza illusoria. La ricerca, in Italia come in qualunque Stato a capitalismo avanzato, non è libera (salvo sparute eccezioni), ma pesantemente condizionata dal suo ruolo sociale, che è quello di fornire dati e studi a enti privati e pubblici votati allo sfruttamento degli esseri viventi e dei territori. La constatazione diventa più chiara se si pongono alcuni variegati esempi, tutti già approfonditi in appositi opuscoli e articoli da compagni, soprattutto anarchici, di tutto il Paese:

– Palermo: la Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Palermo sigla un contratto con il Laboratorio di difesa dell’Esercito Americano per la produzione di materiali nano-strutturati per “applicazioni di conversione energetica”. Non sarà inutile ricordare che alcuni docenti della stessa Facoltà sono tra gli “esperti” che hanno garantito l’assenza di rischi ambientali o sanitari connessi al MUOS [1];

– Napoli: la Facoltà di Architettura dell’Università “Federico II” sigla un accordo con il DAP (Dipartimento Amministrazione Penitenziari) per la riqualificazione di alcune carceri in Campania avvalendosi del lavoro (non retribuito) dei ricercatori [2];

– Napoli: l’Università “Parthenope”, assieme ad una sua struttura quale il Centro campano per il monitoraggio e la modellistica marina ed atmosferica, istituisce un corso universitario chiamato “Ingegneria sanitaria ambientale” dedicato allo sviluppo e alla realizzazione di droni, gli stessi che possono essere utilizzati per monitorare cortei e manifestazioni [3];

– Roma: la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università “Roma Tre” sviluppa un master in “Peacekeeping & Security Studies”, ossia la gestione dell’ordine e della sicurezza nelle situazioni di conflitto interno come internazionale, in collaborazione con l’Esercito Italiano e con le Forze dell’ordine [4];

– Trento: il Dipartimento di Ingegneria e Scienze informatiche dell’Università di Trento collabora con Finmeccanica al progetto Eledia, laboratorio di ricerca e sviluppo di tecnologie della telecomunicazione e dell’intercettazione espressamente pensate per il mantenimento della sicurezza interna [5].

Potremmo continuare per molte pagine, se non fosse che già così si può avere un’idea degli stretti legami tra tante e tali realtà. Nessuno se ne stupisca. In quanto “pubblica”, l’università è una diretta emanazione, nonché un suo strumento di diffusione, dell’ideologia del suo finanziatore: lo Stato. Dire che l’università è libera in quanto pubblica significherebbe accettare la visione di uno Stato “sociale”, in qualche modo “buono”, cosa già ampiamente discussa e contestata in vari articoli comparsi su Umanità Nova – e, in effetti, già contestata dalla cruda realtà di ogni giorno. Allo stesso tempo, l’università “privata” è il centro di formazione delle classi dirigenti del neocapitalismo. Anche in questo caso, infatti, chi ci investe pretende un suo tornaconto, e agli enti privati interessa potersi garantire forza-lavoro intellettuale altamente qualificata e flessibile, così da poter effettuare un ricambio generazionale senza perdere profitti.

La questione affrontata dal movimento studentesco negli ultimi anni, e cioè l’ingresso dei privati nel pubblico che ha visto i suoi momenti di più dura contestazione nel 2008 e nel 2010, è di certo grave, ma in fondo perfettamente in regola con un sistema binario quale quello dello Stato/Capitale. In realtà, parlare di “privatizzazione” è spesso sbagliato, nella misura in cui tra gli enti che entrano nelle facoltà scientifiche, come descritto dai compagni di Trento, c’è Finmeccanica, la “piovra” tecnologica che però vede una consistente partecipazione statale.

Il punto, chiarissimo ai nostri cari riformisti, è che non si può dividere l’università dalla produzione, nello specifico dal settore produttivo di un Paese noto soprattutto come esportatore di armamenti e tecnologia repressiva (altro che “made in Italy”).

A questo punto, dovremmo forse chiederci quali contraddizioni agiscono, già ora, nello spazio universitario. Si è già detto del lavoro, limitato quanto si vuole ma importante, dei collettivi universitari, che in un’università sempre più “deideologizzata” (e, per questo, estremamente ideologica) mantengono spazi di critica e riescono a creare momenti di lotta. Si possono poi ricordare alcune iniziative dei ricercatori universitari, che anni fa provarono a chiedere al Governo che non venisse incentivata la ricerca e la produttività nel campo tecnologico-militare e anzi venissero privilegiati campi di loro preferenza. È persino inutile dire che politica e burocrazia accademica hanno riso loro in faccia.

Bisogna poi ricordare l’esistenza di corsi universitari che si pongono in qualche modo criticamente nei confronti del potere costituito. Si pensi, per esempio, a quei corsi in cui si discutono le tesi di Foucault, Marx e altri filosofi ari alla sinistra. Va però rilevato che questi corsi spesso depotenziano la portata corrosiva di determinati pensieri critici, facendoli tornare a una “normalità” accettabile dall’accademia; per chi è anarchico non è poi secondario rilevare l’assenza da questo tipo di corsi del pensiero libertario (poco male: Kropotkin si legge meglio per strada che in un’aula). Ma soprattutto, spesso questo tipo di corsi vengono “accettati” e tollerati dall’istituzione universitaria come forma di critica interna, in modo da depotenziare esperienze autogestite (come, per esempio, corsi di auto-formazione alternativa) che vengono avvertite dagli studenti come superflue, inutili o dilettantesche.

Allora, ci si potrebbe giustamente chiedere come possiamo, da anarchici, controbattere a questa tipologia di propaganda (e propagazione) del sistema Stato/Capitale. Chi vi scrive non ha ricette prestabilite, né se pure la avesse la proporrebbe. Questo articolo si proponeva semplicemente di fare un po’ il punto sulla condizione attuale dell’università, punto che può essere ancora ampliato per farne emergere altre contraddizioni e caratteristiche. Certamente è dimostrato empiricamente che denunciare l’idillio tra Forze repressive e Università crea scompiglio, tanto è il silenzio che lo copre. Fu evidente nel 2010, quando 5 anarchici di Trento rovinarono la festa ai relatori (tra i quali dei carabinieri) di un convegno sulle “missioni di pace”; un compagno di Rovereto è oggi sotto processo per un articolo pubblicato su un giornale anarchico in cui si discuteva l’operato e il ruolo di uno dei relatori di quello stesso convegno [6]. Pensiamo poi ai presidi per denunciare incontri e seminari di questo stesso tipo, come accaduto a Roma un anno e mezzo fa in occasione di una conferenza sul “cyber-warfare” tenutasi all’Università “La Sapienza” [7].

Non lasciare tranquillo lo Stato/Capitale, men che mai nei suoi centri di reclutamento e ricerca, denunciarne i legami con le guerre nel mondo e con la guerra sociale interna, è un possibile passo in avanti, da compiere ognuno con le sue sensibilità e le sue pratiche, verso la liberazione collettiva.

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[1] Cfr. A. Mazzeo, Un Eco MUOStro a Niscemi, Sicilia Punto L, Ragusa 2012, pp. 26-27

[2] Cfr. Bello come un carcere che brucia, da La Miccia n. 4, giugno 2013

[3] Cfr. Rompere le Righe, Dispositivi di contro-insurrezione: il drone utilizzato a Ravenna al corteo contro la CMChttp://romperelerighe.noblogs.org/post/2012/10/25/dispositivi-di-contro-insurrezione-il-drone-utilizzato-a-ravenna-al-corteo-contro-la-cmc/

[4] http://host.uniroma3.it/master/peacekeeping/db/

[5] Cfr. l’opuscolo Una Piovra artificiale. Finmeccanica a Rovereto, (a cura di) Rompere le Righe, Rovereto 2010, pp. 27-29

[6] Per altre info consultare: Rovereto | Repressione – Compagno sotto processo per articolo su Invece http://www.informa-azione.info/rovereto_repressione_compagno_sotto_processo_per_articolo_su_invece

[7] Cfr. Assemblea dell’officina di Fisica, 19 Giugno: Contestazione convegno CWC all’Università di Roma “La Sapienza”http://officinafisica.noblogs.org/2013/06/19/19-giugno-contestazione-convegno-cwc/

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