Scuola e intelligenza artificiale. NextGen AI: cresce l’aziendalizzazione del settore educativo

Dal 8 al 13 ottobre 2025 Napoli ha ospitato il “Next Generation AI – Summit internazionale sull’intelligenza artificiale nella scuola”, un evento presentato dal Ministero dell’Istruzione e del Merito come “la più grande iniziativa mai realizzata in Italia sull’IA applicata ai processi educativi e formativi”.

Una settimana intera di conferenze, workshops, masterclass, spettacoli serali, visite guidate, installazioni interattive e – soprattutto – un’enorme presenza di aziende, start-up e fornitori di tecnologie educative pronti a mostrare i propri prodotti a docenti, dirigenti e personale scolastico.

Il programma ufficiale distribuito alle delegazioni e agli istituti è impressionante per quantità di nomi coinvolti e povertà di riflessione politica. Si parla di “personalizzazione dell’apprendimento”, “efficientamento dei processi scolastici”, “tutoring digitale”, “realtà virtuale” e “AI conversazionale”. Ma il filo rosso che attraversa l’intero summit è chiaro: la scuola del futuro deve diventare un mercato e un sistema da ottimizzare, non una comunità educativa da rafforzare.

Sfogliando il programma, l’impressione è quella di trovarsi di fronte non a un evento pubblico sulla scuola, ma a una fiera commerciale, un summit vetrina per l’industria della IA. Google, Amazon Web Services, Adobe, DXC Technology, Campustore, Giunti, Zanichelli, Lutech, Hevolus, STEMBLOCKS: decine di imprese, piccole e grandi, presentano “soluzioni innovative” per ogni pezzo dell’ecosistema scolastico.

La scuola diventa un luogo di sperimentazione privatistica, dove l’IA è usata come grimaldello per introdurre piattaforme proprietarie, ambienti immersivi, sistemi di tracciamento e strumenti “intelligenti” per il monitoraggio di studenti, docenti e processi amministrativi.

Nulla si dice, però, di privacy, diritti digitali, sovranità tecnologica, costi di manutenzione, rischi di dipendenza da vendor esteri, oppure della mole di dati raccolti e processati da queste soluzioni. L’unico intervento dedicato alla protezione dei dati è una breve partecipazione del Garante privacy, incastrata tra un panel e l’altro: la foglia di fico necessaria a certificare l’operazione come “responsabile”.

Il summit ruota attorno alla retorica salvifica dell’IA e al mantra ormai onnipresente: l’IA migliorerà la scuola, personalizzerà l’apprendimento, semplificherà le procedure, renderà la didattica più inclusiva e creativa. Una narrazione che presenta la tecnologia come soluzione tecnica a problemi politici: precarietà, classi sovraffollate, organici insufficienti, disuguaglianze territoriali, edilizia scolastica fatiscente, povertà educativa. Tutte questioni che nessun algoritmo può risolvere. Paradossalmente, il summit si svolge mentre in molte scuole italiane mancano insegnanti, bidelli, amministrativi, aule adeguate, connessioni funzionanti. Ma l’IA diventa il nuovo specchietto per le allodole: un modo per spostare l’attenzione da ciò che non si vuole affrontare.

È inoltre da sottolineare come gli studenti non abbiano avuto alcun ruolo protagonista in questo summit.

Gli studenti sono presenti nel programma, ma solo come delegazioni, comparse, pubblico.
Non ci sono panel dove studentesse e studenti discutono cosa significhi realmente vivere in una scuola sempre più digitalizzata, dataficata, mediata da piattaforme. La scuola, invece di essere pensata come comunità viva, viene ridotta a un campo di applicazione dell’innovazione digitale. Gli studenti non sono soggetti politici, ma “fruitori di tecnologie intelligenti”.

Il messaggio di fondo è chiaro: la scuola deve diventare “più efficiente”, “data-driven”, più simile, appunto, a un’azienda. L’IA non come strumento critico, ma come infrastruttura gestionale che aiuta a monitorare, semplificare, ottimizzare, controllare. Si parla di “AI per l’amministrazione scolastica”, “AI per la sicurezza dei dati”, “AI per il management degli istituti”. È l’orizzonte neoliberale che da anni investe l’istruzione: trasformare la scuola pubblica in un sistema misurabile, segmentabile, profilabile.

Eppure non è certo di questo che la scuola ha bisogno. La sfida educativa del futuro non è dotare gli studenti di assistenti digitali o visori VR, ma è qualcosa di molto diverso. È rafforzare la libertà di insegnamento, investire in organici stabili, ridurre i divari territoriali, garantire spazi e tempi educativi dignitosi, costruire comunità critiche e inclusive. La tecnologia può aiutare, certo. Ma solo se non diventa il cavallo di Troia per la colonizzazione digitale della scuola pubblica.

Il Summit NextGen AI racconta invece un’altra storia: quella di una scuola trasformata in un parco giochi per aziende, dove lo Stato fa da garante politico e la formazione diventa un’occasione di mercato. Una storia che merita di essere raccontata, e criticata, proprio perchè la scuola dovrebbe essere difesa come bene comune.

Totò Caggese

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