Il rincaro dei prezzi energetici è uno dei principali fattori di rischio per l’economia e la ripresa dell’inflazione.
I prezzi dei prodotti energetici, dopo i folli rincari successivi all’esplosione della guerra in Ucraina, sono rimasti comunque elevati.
Negli ultimi mesi è andata riducendosi la crescita tendenziale dei prezzi al consumo; ma ricordiamo che nello scorso autunno la crescita era stata tra l’11 e il 12% e il potere di acquisto nel frattempo non è mai stato recuperato e non lo sarà di certo con i prossimi rinnovi contrattuali che non terranno conto del costo della vita includendo nella quantificazione i costi energetici.
Il prezzo del gas è cresciuto, alcune statistiche ipotizzano del 500%; è evidente poi l’aumento dell’inflazione e dei tassi di interesse che hanno determinato il fortissimo rallentamento della crescita con previsioni costantemente riviste al ribasso e un paese economicamente forte come la Germania da due anni in recessione. Lo scorso anno si è chiuso con la previsione di crescita dell’economia per il 2024 attorno allo 0,5%.
I salari stanno perdendo potere di acquisto, aumentano le famiglie in povertà relativa e assoluta; al contrario le imprese si sono protette dai rincari traslandoli a valle, il costo del lavoro è cresciuto di poco al contrario del margine di profitto.
La BCE ha risposto alla crescita della inflazione aumentando per mesi i tassi di interesse che hanno accresciuto i costi a carico delle famiglie e delle aziende. Il credito a famiglie e imprese nel corso degli ultimi due anni ha subito un forte rallentamento per il rincaro dei mutui, tenendo conto che i debiti contratti dalle famiglie con le banche sono prevalentemente legati a piccoli prestiti (per emergenze sanitarie o perfino per pagare l’affitto e l’acquisto di un’auto usata), o all’acquisto di una abitazione (se i prezzi delle case rincarano parallelamente ai tassi di interesse anche la domanda diminuisce).
Perfino i prestiti alle imprese risentono del rallentamento degli investimenti oltre alla atavica dinamica della piccola e media impresa a investire ben poco nei processi di innovazione tecnologica pensando che la soluzione dei problemi sia solo la contrazione del costo del lavoro o aiuti fiscali statali.
I salari sono quasi in caduta libera: dati alla mano non siamo ancora tornati al livello di potere di acquisto del 2021, il calo è superiore al 10 per cento.
Tra le tante ricerche ne menzioniamo una, è redatta dall’area studi di Legacoop insieme a Prometeia, che analizza l’andamento dei prezzi e l’impatto dell’inflazionee conferma i dati appena riportati.
Il crollo del potere di acquisto degli stipendi non viene compensato dai rinnovi contrattuali che coprono più o meno un terzo della inflazione reale.
Il calo del potere di acquisto è particolarmente forte in Italia, basti pensare che dal 2021 a oggi i salari orari sono cresciuti in media in Italia dell’1,2 per cento rispetto +3,3 dell’area euro.
Legacoop analizza le cause di questo crollo ravvisandole nei ritardi dei rinnovi contrattuali, nella assenza di un salario minimo e di meccanismi di indicizzazione.
Ma qui casca l’asino perché non si spende una parola sulle dinamiche proprie della contrattazione che sono causa del problema. Parliamo degli aumenti calcolati con il codice Ipca che esclude a priori i rincari energetici, una indennità di vacanza contrattuale risibile e così ridotta da non indurre le associazioni datoriali a sottoscrivere i rinnovi contrattuali nei tempi giusti.
Come scritto in tante occasioni con l’ascensore sociale bloccato e il codice Ipca sono proprio i salari operai e dei ceti medi a pagare lo scotto della crisi tra inflazione galoppante e perdita secca del potere di acquisto e, ammesso ma non concesso, che la crisi sia passeggera ci lascerà comunque un livello dei prezzi decisamente più alto anche in presenza di un ribasso della inflazione.
E a quel punto i rinnovi contrattuali al ribasso non compenseranno il potere di acquisto perduto con le associazioni datoriali, e i sindacati cercheranno di salvarsi in calcio d’angolo chiedendo al Governo di rifinanziare i tagli al cuneo fiscale.
Federico Giusti