Lo Stato italiano sequestra, ghettizza e tortura le persone fino alla morte. Lo denunciamo ogni giorno ed il caso di Wissem Abdel Latif, 26 anni, ne è un esempio lampante.
L’anno scorso il Giudice di Pace di Siracusa sospendeva l’esecutività del decreto di respingimento e del provvedimento di trattenimento presso il CPR di Ponte Galeria, provvedimenti emessi dal Questore di Siracusa il 13 ottobre 2021.
Wissem non ne ha avuto mai notizia dalle istituzioni italiane. E’ rimasto ricoverato in stato di contenzione a Roma, prima all’ospedale Grassi di Ostia e dopo al San Camillo; non viene ricoverato in regime di trattamento sanitario obbligatorio (TSO) ed il regime di contenzione prevede controlli frequenti. Al San Camillo arriva sedato, come annotato dal medico, il quale ne dispone una nuova contenzione: lo legano ad un letto nel corridoio per tre giorni ed il 28 novembre viene ritrovato morto per arresto cardiocircolatorio.
La storia di Wissem è la storia di tante persone che migrano per cercare una vita migliore e riescono a sfuggire ai lager costruiti nel nord Africa e nel Sahel da quei Paesi europei che attuano la politica dell’esternalizzazione delle frontiere. Wissem riesce ad arrivare in Italia ma viene subito confinato in una nave quarantena. Qui, nonostante le norme italiane, costituzionali e internazionali siano inequivocabili, non ha la possibilità di richiedere asilo.
Dopo la quarantena viene direttamente trasferito al Centro per rimpatri (CPR) con un decreto di espulsione immediata e la convalida della detenzione nel CPR. Entra nella struttura di detenzione di Ponte Galeria (RM) il 13 ottobre 2021. Il 15 gli viene fatta una visita medica nella quale viene dichiarato in buona salute, orientato e lucido, idoneo quindi alla detenzione nel CPR.
Il 25 ottobre fa un colloquio con una psicologa interna alla struttura (contrattualizzata dall’Ente gestore del CPR). In questo colloquio Wissem dichiara un disagio psichico e gli viene disposta una visita al Centro di Salute Mentale (CSM) di Ostia, visita effettuata l’8 novembre. La diagnosi ipotizzata è disturbo schizoaffettivo (con un’osservazione approfondita in ambiente ospedaliero).
Wissem segue la terapia prescritta dal CSM fino al 18 novembre quando, in un ulteriore colloquio con la psicologa del CPR, denuncia di essere soggetto ad effetti indesiderati causati dai farmaci, tra cui dei tremori (effetti tipici dei neurolettici).
A quel punto viene disposta un’altra visita al CSM, visita che avviene il 23 novembre, dove il medico dichiara la necessità del ricovero. Viene ricoverato con accesso in pronto soccorso al reparto psichiatrico dell’Ospedale Grassi di Ostia. Il Grassi e il San Camillo di Roma appartengono alla stessa Azienda sanitaria ed il primario dei due reparti psichiatrici è lo stesso. Il giorno dopo, il 24 novembre 2021, avrebbe dovuto essere un paziente in ospedale in stato di libertà ed il fatto che la sospensiva non gli sia stata notificata è uno sfregio alla dignità umana perpetrato da parte di uno Stato che non considera lo straniero, il diverso, come una persona che ha dei diritti civili. Appena una persona si salva dall’efficientissima e criminale catena di montaggio dei respingimenti, viene dimenticata: non conta più nulla ed il meccanismo burocratico diventa, improvvisamente, lento e fallace.
Wissem Ben Abdel Latif ha trascorso i suoi ultimi cinque giorni di vita legato a un letto di ospedale e sedato, senza possibilità di comunicare. È rimasto in contenzione per 40 ore consecutive all’ospedale Grassi di Ostia e poi per altre 63 ore in un corridoio del reparto psichiatrico del San Camillo, dove è arrivato il 25 del mese ed ha avuto braccia e gambe libere solo nel trasferimento da una struttura all’altra.
Come anarchicə questa vicenda ci riporta drammaticamente a quella violenza subita del nostro compagno Francesco Mastrogiovanni. E’ una pratica a cui lo Stato ricorre spesso, ormai non più nei confronti solamente degli avversari politici, ma contro le persone che, con il solo fatto di esistere, rappresentino quel razzismo istituzionale che vorrebbero nascondere sotto al tappeto.
Anche per questo come gruppo anarchico Mikhail Bakunin lunedì 28 novembre 2022, dalle ore 18, siamo in piazza, davanti all’ospedale San Camillo per denunciare il razzismo e i crimini di uno Stato torturatore e assassino.
Gruppo Anarchico Mikhail Bakunin – FAI Roma&Lazio