Per pura perfidia riporto una frase dal recente documento renziano sulla scuola:
“nella stessa direzione di ciò che il Governo intende offrire alla scuola grazie ad un piano di assunzioni straordinario e ad un nuovo concorso che – insieme – diano una risposta alle aspettative non solo di quasi 200 mila aspiranti docenti di ruolo ma ad alcuni milioni di studenti, che si meritano docenti che, quando la mattina vanno a scuola, pensano non tanto a cosa succederà loro l’anno dopo, al successivo “walzer” di supplenze…”.
Non voglio fare il vecchio professore che bacchetta gli errori del giovane Renzi, è ben vero però che, dopo averlo visto dire in diretta “tram tram” per “tra tran”, non che mi meravigli molto che il suo staff ignori la grafia corretta della pur comune parola “valzer”. In ogni caso, visto che questi signori inneggiano alla meritocrazia porre l’attenzione sulle loro bestialità mi pare legittimo.
Celie a parte, è il caso di fare il punto sulla situazione determinatasi nella scuola a partire dalle esternazioni del governo.
Come molti hanno rilevato la proposta del governo è ben costruita, errori lessicali a parte, dal punto di vista comunicativo. Massicce assunzioni, richiesta di impegno e di passione da parte di studenti e personale, premi al merito, efficienza aziendale.
Qualche problema però inizia a porsi paradossalmente proprio sul versante sul quale la narrazione renziana sembra più forte e cioè quello dell’organico. Avviene infatti che il massiccio precariato della scuola entri in movimento secondo un meccanismo classico, i precari esclusi dall’assunzione, e sono moltissimi, hanno iniziato a manifestare, a mobilitarsi, ad organizzarsi. Lo fanno come avviene troppo spesso oggi in forma corporativa e limitata ma lo fanno e segnalano un limite forte del progetto renziano.
Per di più i lavoratori e le lavoratrici della scuola stanno cominciando a prendere consapevolezza che fra blocco del contratto e taglio degli scatti di anzianità la grande riforma meritocratica delle retribuzioni è seccamente peggiore di quanto aveva proposto il non rimpianto ministro dell’istruzione Luigi Berlinguer con il concorso indecente fatto saltare nel 2000 da una straordinaria mobilitazione di massa degli insegnanti contro il governo e contro CGIL CISL UIL e SNALS.
Un secondo fronte può quindi aprirsi, il fronte dell’assieme del personale della scuola che si vede ridurre le retribuzioni in misura notevolissima.
Si tratta quindi, nel prossimo periodo, di sviluppare un rilevante lavoro di informazione, di partecipare alle assemblee che si svolgeranno nelle scuole anche se i sindacati istituzionali non sembrano molto interessati ad organizzarne, di far scoppiare l’ennesimo palloncino renziano.
D’altro canto la questione scuola si intreccia con la riforma, quando oggi si parla di riforma oggi ci si riferisce sempre a peggioramenti, del mercato del lavoro, con l’abolizione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori e, soprattutto, con il deteriorarsi delle condizioni di vita e di lavoro della grandissima maggioranza della popolazione.
E’ interessante notare che l’agire dell’attuale governo sembra seguire uno schema fisso: si fanno concessioni, reali o presunte, al settore più debole di una categoria o della società e, in cambio di queste concessioni, si colpisce l’intero corpo sociale. Schema suggestivo ma non necessariamente efficace.
Si tratta, a questo punto, di costruire un livello di iniziativa adeguato all’ordine di questioni che ci vengono poste innanzi in un momento certo non facile.
Nella scuola vi sarà uno sciopero, indetto da diversi sindacati di base, il 10 ottobre e il 14 novembre, salvo novità, vi sarà uno sciopero generale indetto da tutti i sindacati di base, da settori di movimento e da settori dell’opposizione CGIL.
Con ogni evidenza si tratta di due tappe del medesimo percorso, sta a noi il fare in modo che non siano iniziative rituali e che si intreccino con una mobilitazione diffusa nelle scuole, nelle aziende, sul territorio.
Il fatto che vi sia un fronte largo sullo sciopero del 14 novembre è, di per sé, un segnale positivo come lo è l’esplicita adesione della sinistra CGIL, la gravità della situazione ha permesso di superare reciproche diffidenze e di praticare un livello minimo, ma non irrilevante, di unità fra forze di opposizione sindacale, sociale, politica.
Detto ciò, un cartello di sindacati di opposizione è un bene ma non è certo risolutivo se non si avvia un processo enormemente più vasto di aggregazione e di iniziativa.
Ed è proprio sulla possibilità di sviluppo di un movimento reale all’altezza della crisi sociale che viviamo che varrebbe la pena di interrogarsi. Se noi riflettiamo sulle mobilitazioni parziali che si danno non possiamo che coglierne il carattere reattivo. Rilevando ciò non voglio impancarmi nel ruolo di profeta che condanna la limitatezza delle mobilitazioni realmente esistenti in nome di una presunta purezza ma solo rilevare che, superata una certa soglia dal punto di vista dell’attacco padronale e statale ai lavoratori ed alle lavoratrici, è necessario anche un salto nell’immaginario nostro e della nostra classe e la consapevolezza che non basta la difesa pezzo per pezzo dei diritti che vengono smantellati e che è necessario imporre noi le nostre rivendicazioni e le nostre esigenze.
E’ ovvio che le lotte parziali esistono e che non ha senso alcun aristocratico disprezzo nei loro confronti ma dobbiamo immaginare proposte, iniziative, forme di lotta e di comunicazione che pongano al centro la rivendicazione generale di salario, diritti, libertà.
Alcuni dinamiche in questa direzione di vanno sviluppando, vanno colte e valorizzate.