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Gli uomini e il fuoco

Gli uomini e il fuoco

Come ricordavo nel mio precedente articolo, la fantascienza distopica, ormai da oltre un 50ennio ci mette in guardia dalle possibili conseguenze di un pervasivo controllo sociale. [1]

Il tema del controllo sociale totale si sviluppa sia nel filone cyberpunk, sia nella SF tradizionale, e si concretizza prevalentemente attraverso la manipolazione sensoriale o comunque attraverso un forte condizionamento e parliamo ovviamente di un utilizzo reazionario implicito a tali manipolazioni. Tutta la letteratura “dickiana” ha ispirato, attraverso il tema della manipolazione/falsa percezione della realtà, una innumerevole serie di autori e sceneggiatori televisivi o cinematografici (ad alcuni esempi, che già tracciavamo in articoli precedenti, possiamo aggiungere il tema della “matrice”, poi ripreso dalla trilogia di Matrix dei fratelli Wachowski, oppure di impronta più sociologica, come nel film The Village del regista indoamericano M. Night Shyamalan, con l’ineffabile J. Phoenix).

La serie Televisiva Black Mirror, in molti suoi episodi, ha evidenziato in maniera profonda le trasformazioni psico-sociali indotte da un controllo pervasivo della tecnologia informatica. In questo contesto ci soffermeremo su uno solo degli episodi (i quali, essendo autoconclusivi, possono essere trattati separatamente). Ci riferiamo al quinto della terza serie: “Gli Uomini e il Fuoco” diretto da Jakob Verbruggen e scritto dal solito Charlie Brooker.

In questo episodio si esplorano i temi della civiltà devastata da una pandemia e quindi delle conseguenza sociali in termini di repressione dei “devianti”: il tema del razzismo e quello del controllo sociale si intersecano creando il perfetto universo distopico. Universo nel quale dominano i militari, in particolare soldati che indossano un complesso meccanismo innestato nel cervello (la maschera) per essere più efficienti nel combattere i “parassiti”: esseri che un morbo devastante ha trasformato in mostri vagamente somiglianti ai vampiri del romanzo di Matheson.[2]

Il soldato “Stripe” Koinange è alla sua prima missione contro i parassiti. Gli informatori sono gente comune che abita nei villaggi e che parla una lingua incomprensibile, un misto fra inglese, tedesco e fiammingo che, ossessionata dai “parassiti” e per il timore di infettarsi, brucia tutto ciò che loro toccano.

Ora, per non incorrere nel rischio di uno spoiler eccessivo è necessaria una digressione. Il tema degli “zombies” di Romero già nel suo significato sociale tendeva a sottolineare una distinzione di classe fra proletari e borghesi. Nel caso in questione, la tecnologia riesce a complicare gli scenari a tal punto che la maschera, che stravolge la percezione della realtà, non è soltanto ideologica ma avviluppa tutte le sensazioni dei corpi. Chi sono allora davvero i parassiti?

Immaginiamo un mondo nel quale le conseguenze di un morbo devastante hanno creato, come reazione , un avanzato metodo medico scientifico basato sull’eugenetica: una parte della popolazione viene, in base alla minuziosa analisi del DNA, ritenuta in grado di sviluppare malattie genetiche ed ereditarie: nell’ottica estrema e distopica della puntata questa frangia dev’essere eliminata. Da qui partono considerazioni che, dietro l’apparente asetticità della scienza esatta, nascondono implicazioni filosofiche e ideologiche molto profonde. Il tema del razzismo e del controllo sociale appunto, sostenuto dall’azione militare che la tecnologia ha reso quanto più possibile disumana o, secondo un terminologia più appropriata, “sovrumana”. Qui sono proprio gli esseri umani ad agire ma esseri umani i cui sensi sono manipolati dalla tecnologia digitale: una tecnologia ovviamente non neutra bensì gestita dall’elite militare. Se i cosiddetti “parassiti” – costretti a diventare rivoluzionari e sperimentare una tecnologia alternativa, che sia perlomeno in grado di sabotare quella nemica – riescono a ribaltare la percezione fisica di se stessi verso l’“altro” allora la partita è tutta da giocare.

Come ci ricorda Giuseppe Grossi nella sua recensione su Movieplayer:[3] “Il richiamo al fuoco esplicitato dal titolo e confermato dai lanciafiamme usati contro i Parassiti non solo ribadiscono la matrice bradburyiana, ma confermano che anche in Black Mirror il nemico da incenerire è un concetto fondamentale per creare unione tra la gente. Come se la prospettiva di un avversario comune sia cemento sociale, utile ad aggregare branchi di lupi. O forse greggi di pecore.”

Il tema di per sé potrebbe essere poco originale eppure ci conduce in un orrore che riconosciamo come segno dei tempi dove persino le teorie del complotto, le fake news e tutto ciò che la disinformazione crea riscuotono un certo successo proprio perché riescono a far leva su una perdita di senso generale, favorita dal linguaggio fatico della tecnologia da social (del resto il termine “tweet” ci ricorda il verso degli uccelli) in un contesto postmoderno dove ogni cosa ha pari dignità interpretativa del suo contrario, dove “è vero tutto ed il contrario di tutto” come suol dirsi.

La manipolazione mentale militare inoltre è argomento ozioso (lo si faceva sin dai tempi dell’antica Roma) maneggiare però le menti tramite la tecnologia digitale ci conduce a campi inesplorati e scenari che, da distopici ed immaginari, stanno diventando sempre più possibili e praticabili.

La filosofia – da quella classica a quella moderna fino a quella contemporanea – ci ha già fornito gli strumenti per distinguere la realtà percepita da quella vissuta, il reale dalla manipolazione dello stesso. Il digitale, costruito prevalentemente su una logica binaria, non ammette di per sé sfumature intermedie, fino alle estreme conseguenze: o si ammazza o si dev’essere ammazzati, o sei ricondizionato o sei espulso. L’efficienza strumentale nelle mani del potere è l’imperativo dominante. Uno dei dialoghi recita:

Tanti anni fa , all’inizio del ventesimo secolo, molti soldati non sparavano nemmeno e, se lo facevano, miravano al di sopra della testa del nemico. Lo facevano apposta. Esercito britannico, prima guerra mondiale: il generale di brigata doveva colpire i suoi uomini con un bastone per convincerli a sparare e durante la seconda guerra, in un conflitto a fuoco solo il 15% dei soldati premeva il grilletto. Erano in gioco le sorti del mondo e solo il 15% era disposto a sparare (…). Ci siamo adattati, migliore addestramento, più preparazione fisica e durante la guerra del Vietnam la percentuale salì dell’85%. Molte sparatorie e ancora pochi morti. E se i soldati avevano ucciso qualcuno tornavano a casa con traumi e problemi mentali. Era questa la situazione prima dell’invenzione delle maschere (…).”

L’autore sembra condividere le idee di Kropotkin[4] e quelle sull’ aggressività di Erich From.[5] Solo il potere sulla tecnologia e la conseguente radicale manipolazione celebrale potrebbe cambiare le cose. Un episodio questo di Black Mirror che scava dentro le nostre angosce contemporanee fino lasciarci con un senso di inquietudine ma, si spera, con una consapevolezza maggiore sull’utilizzo dei moderni mezzi di produzione/controllo e sull’ideologia razzista, strumentale al potere dominante che vede nell’estraneo il nemico da eliminare.

Flavio Figliuolo

NOTE

[1] FIGLIUOLO, Flavio, “Fantascienza e Controllo Sociale”, in Umanità Nova, anno 10, n. 17, p. 8.

[2] MATEHESON, Richard, Io Sono Leggenda, Milano, Mondadori, 1996.

[3] https://movieplayer.it/articoli/black-mirror-stagione-3-la-recensione-del-quinto-episodio-gli-uomini-e_16574/

[4] KROPOTKIN, Piotr, Il Mutuo Appoggio, https://www.liberliber.it/online/autori/autori-k/petr-alekseevic-kropotkin/il-mutuo-appoggio-fattore-dellevoluzione/

[5] FROMM, Eric, Anatomia della Distruttività Umana, Milano, Mondadori, 1983.

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