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Il governo è la causa, non la soluzione

Il governo è la causa, non la soluzione

L’Internazionale del 27 marzo riporta un articolo pubblicato sul New York Times, dal titolo “I Passi Falsi dell’Italia”, in cui viene fatta un’analisi impietosa del comportamento dell’esecutivo guidato da Giuseppe Conte di fronte all’emergenza provocata dallo scoppio dell’epidemia di coronavirus.

Dall’inizio del contagio, secondo l’autorevole quotidiano, le autorità centrali e locali hanno esitato, cercando di salvaguardare l’economia. Con le misure prese per fermare il coronavirus, adottate isolatamente e tenendo conto solo in parte del parere degli esperti, il governo italiano si è limitato a rincorrere il propagarsi dell’epidemia. Le migliaia di morti di questo tragico periodo sono persone contagiate in conseguenza del marasma che regnava all’interno dell’esecutivo.

Quello che racconta l’articolo del New York Times non è un triste privilegio del governo italiano. Dalla Cina agli Stati Uniti la storia della pandemia è una storia di menzogne e mezze verità, di esitazioni e di contraddizioni in cui si sono mossi tutti i governi. Ancora una volta, l’incapacità della struttura gerarchica di rispondere alle emergenze, dai terremoti, alle pandemie, alle crisi economiche, è tragicamente confermata.

Quello che il New York Times non dice è che se in Italia il governo ha imposto agli abitanti misure più restrittive (che comunque sono solo una copia sbiadita di quelle applicate in Cina) si deve solo alla mobilitazione delle operaie e degli operai che, con scioperi spontanei e fermate della produzione, hanno dimostrato di non volersi sacrificare sull’altare della “solidarietà nazionale”.

A partire dalla seconda settimana di marzo, dopo che il governo aveva di fatto cancellato le misure di quarantena per i focolai, si è sviluppato un vasto movimento di massa che i sindacati di regime non sono riusciti a controllare; questo movimento ha imposto a esperti e autorità la chiusura di gran parte delle attività produttive considerate non essenziali, rimanendo comunque molto lontani dalle misure applicate in Cina. Il movimento delle lavoratrici e dei lavoratori ha dimostrato che la solidarietà nazionale chiesta dai politicanti non è altro che il gretto profitto individuale di un ristretto gruppo di capitalisti, mentre l’interesse particolare, di classe, dei lavoratori, si identifica con la salute collettiva.

Per comprendere l’azione del governo (delle autorità centrali e periferiche) bisogna considerarla da un punto di vista di classe, cosa che gli organi di informazione, nemmeno il New York Times, possono fare. Dal primo ministro Conte al presidente della regione Veneto Zaia, al sindaco del comune di Rosignano Marittimo, la principale preoccupazione è stata quella di salvaguardare l’economia. Poco importa che gli operatori sanitari venissero lasciati a lavorare in turni massacranti senza adeguate protezioni, poco importa che i posti di lavoro si trasformassero in focolai silenziosi dell’epidemia: era indispensabile garantire la continuità produttiva, come si legge in un documento della Confindustria lombarda, non si deve uscire di casa se non per andare al lavoro, come ha detto Zaia, rallegriamoci perché la Solvay continua a inquinare e a diffondere il contagio fra i lavoratori e i loro familiari, come ha fatto il sindaco di Rosignano.

Anche le misure economiche seguono questa traccia. Il decreto-legge annunciato in pompa magna dal presidente del consiglio lunedì 16 marzo è poi finalmente uscito con alcuni giorni di ritardo. Ad onta di quanto ripetutamente dichiarato, il decreto divide ancora una volta i cittadini italiani tra privilegiati e diseredati. Questo decreto è stato preceduto da un accordo tra le associazioni dei padroni e i sindacati firmatutto; un’altra occasione in cui i pompieri di regime sono intervenuti per fermare la nascente protesta operaia, e solo quando era in pericolo la pace sociale costruita sull’emergenza sanitaria.

I lavoratori sono obbligati a lavorare con dispositivi di protezione individuale inadeguati: il decreto prevede una serie di deroghe sulla certificazione di tali dispositivi, che li fa ritenere in pratica inutili quando si fatica per ore a stretto contatto. Le previdenze economiche sono irrisorie, in pratica la sola estensione della Cassa Integrazione Guadagni (CIG) in deroga, come sempre finanziata dall’INPS, e il prolungamento dei congedi parentali.

La CIG prevede il pagamento dell’80% nominale della retribuzione, in realtà si tratta di 939,89 euro netti per le retribuzioni uguali o inferiori a 2.159,48 euro, mentre per quelle superiori a tale importo si arriva a 1.129,66 euro; naturalmente si parla di paga base, senza tener conto delle varie voci accessorie che contribuiscono al reddito del lavoratore. Su tali importi vengono anche calcolati i contributi figurativi, validi per il calcolo della pensione. Quindi i primi a pagare l’emergenza sono i lavoratori, con la diminuzione della sicurezza sul posto di lavoro e con la decurtazione del reddito, sia immediato, sia in vista della pensione. Tale decurtazione è più accentuata per i lavoratori prossimi alla pensione.

Anche per quanto riguarda i congedi parentali, resi necessari dalla sospensione dell’attività didattica e dai limiti all’uscita da casa, è prevista una decurtazione del 50% della paga base. Di fatto, anche in questo caso, la decurtazione è maggiore perché al 50% di decurtazione vanno aggiunti i mancati straordinari, la perdita dell’indennità di turno, il premio di produzione, insomma: i vari istituti contrattuali che integrano la paga base e che vengono a decadere in mancanza dell’attività produttiva.

Per gli imprenditori, invece, dietro il formalismo del decreto, si scoprono importanti vantaggi. A parte le misure a fondo perduto, le agevolazioni, la sospensione di regolamenti e procedure varie giustificate con l’emergenza creata dal Governo, è significativa la sospensione dei versamenti relativi alle ritenute alla fonte e all’imposta sul valore aggiunto. In questo caso si tratta di somme che non entrano nei bilanci aziendali, che sono di competenza del pubblico erario e che l’imprenditore detiene solo in quanto sostituto d’imposta. L’importo della liquidazione IVA che è a carico dell’imprenditore deriva dalla sottrazione dall’IVA riscossa sulle vendite, dell’IVA pagata sugli acquisti. Si tratta quindi di somme che sono già nella disponibilità dell’imprenditore ma che sono destinate al pubblico erario.
Quindi, mentre gli imprenditori si accaparrano somme dello Stato (dovrebbe essere di circa 10 miliardi l’importo dell’autoliquidazione), ai lavoratori viene tolto parte del loro reddito senza speranza di recupero.

Per quanto riguarda i famosi 600,00 euro anche in questo caso si tratta di una miseria. Al 3 aprile sul sito dell’INPS sono arrivate due milioni di domande, per 4,4 milioni di beneficiari. Se fossero accolte tutte, l’esborso per il governo sarebbe di 2 miliardi e 640 milioni; anche alla fine fossero il doppio, l’esborso sarebbe di poco più di 5 miliardi di euro. Il resto dei 100 miliardi di cui si parla, in tasca a chi andrebbero? Si tratta ovviamente di una domanda retorica. Quando il governo parla di “fase due”, di rilancio dell’economia e così via, pensa ovviamente al rilancio dell’accumulazione del capitale, all’aumento dello sfruttamento della forza-lavoro, all’aumento degli investimenti produttivi, a scapito dei consumi dei ceti popolari. L’aumento del debito pubblico provocato dall’emergenza coronavirus fornirà il quadro che legittimerà l’aumento dell’IVA e l’ennesimo taglio di scuola, sanità e assistenza.

La storia del capitalismo dimostra che questo modo di produzione non è capace di espandersi spontaneamente, di rivoluzionare la produzione, di tendere all’equilibrio fra i settori produttivi e le classi sociali, come ritiene un’interpretazione largamente condivisa.

In realtà gli anni in cui si può parlare di espansione coprono periodi limitati della storia del capitalismo, e non si sviluppano mai spontaneamente. Le fasi di boom sono provocate da circostanze diverse da periodo a periodo, ma che dipendono da precondizioni condivise. Sono i singoli stati, o gruppi di stati, che lanciano la fase di rapida accumulazione del capitale, rastrellando valore attraverso la riduzione del prezzo della forza lavoro e dal resto del mondo, superiore a quello creato dal normale ciclo capitalistico nazionale. L’azione dei governi combina la coercizione pura e semplice, la guerra, accordi commerciali asimmetrici, con il controllo delle istituzioni internazionali che gestiscono i flussi monetari e il debito, il sostegno al capitale nazionale.

La fase di uscita dalla pandemia fornisce quindi una ghiotta occasione per chi uscirà per primo dalle restrizioni, per chi avrà garantito meglio la continuità produttiva; ecco le ragioni dell’appello di Confindustria, che ancora ieri stimava la caduta del PIL di marzo al 16%: ancora troppo poco, se non è riuscita ad impedire le migliaia di morti di queste settimane!

L’atteggiamento del governo italiano, quindi, corrisponde a un preciso interesse di classe, all’interesse della grande industria e della grande distribuzione; allo stesso interesse corrisponde l’azione delle forze politiche di maggioranza e di opposizione, ciascuna secondo i settori produttivi e le aree geografiche che rappresenta; allo stesso interesse corrispondono i governi e le organizzazioni internazionali di tutto il mondo. In questo modo i governi intralciano l’azione delle associazioni dei volontari, degli operatori sanitari, distorcono i consigli di virologi ed epidemiologi; favoriscono la diffusione dell’epidemia.

In una situazione di emergenza come questa, quindi, l’azione dell’anarchismo è indispensabile. Nella misura in cui il governo, ogni governo, rappresenta un interesse di classe, l’interesse della classe privilegiata, contrario all’interesse generale, c’è bisogno di chi rappresenti l’intero movimento degli sfruttati. Questa forza politica non ha interessi separati da quelli dell’intero proletariato, non ha princìpi particolari su cui modellare il movimento di lotta.

Questa forza politica è l’anarchismo organizzato. L’anarchismo pone in evidenza l’interesse comune degli sfruttati, indipendentemente dalla nazionalità, ed esprime l’interesse complessivo del movimento nelle diverse fasi di lotta. In questa lotta, le anarchiche e gli anarchici sono la parte più decisa e avanzata e, grazie alla loro critica dell’autorità e dello sfruttamento, sono consapevoli della meta finale del movimento complessivo.

Tiziano Antonelli

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