Rifiuti in Calabria
In questi giorni assistiamo al solito copione delle richieste di commissariamento del settore rifiuti, per l’ennesima volta ripiombato nello stato di emergenza. Alle ben note richieste di deroghe fanno eco le richieste di pieni poteri per l’ultimazione di “grandi opere strategiche”, ossia megadiscariche, nonostante che nel piano rifiuti delle Calabria si punti alla differenziata (65% entro il 2020). Eppure in Calabria 10 anni di commissariamento della gestione dei rifiuti (2003-2013) non sono serviti a risolvere una crisi di sistema oramai cronicizzata: non ci riferiamo al problema del conferimento dei rifiuti, ma ai meccanismi di gestione affidata negli anni ad aziende finite sotto inchiesta per irregolarità contabili e reati ambientali. Nonostante incentivi di ogni genere e sostanziosi investimenti, le cui cifre sono sistematicamente snocciolate come vittorie nella campagna elettorale permanente, a sei anni dalla fine del Commissariamento permangono ancora i medesimi problemi. Quindi i vari ritardi nell’attuazione degli aspetti virtuosi del Piano regionale di gestione dei Rifiuti e l’immancabile riproposizione di soluzioni rischiose e insostenibili per la salute della collettività, devono avere origine nella totale inefficacia dell’azione politica di chi si è succeduto negli ultimi 15 anni di governo della Regione.
I rattoppi alle negligenze della pubblica amministrazione, si traducono nel ricorso all’affidamento a privati della gestione delle parti più remunerative del ciclo dei rifiuti, lo smaltimento. Quindi a scadenza quasi fissa si rilanciano le “soluzioni definitive” incenerimento in primis: da Gioia Tauro a Marcellinara è tutto un proporre di bruciare Combustibili da Rifiuto (CDR) negli impianti di “termovalorizzazione” e nei cementifici. L’altro grande trend sono le discariche, ovviamente a gestione privata, come voluto dall’assessore regionale all’ambiente Rizzo.
Inoltre dallo scorso aprile la frazione organica viene trattata negli impianti di Trattamento Meccanico Biologico (TMB) dai quali fuoriesce una pessima Frazione Organica Stabilizzata (FOS),
con costi non bilanciati dallo scarso valore commerciale del materiale in uscita. Gli impianti TMB sono spesso soggetti a guasti in quanto sovente utilizzati in operazioni non compatibili con il funzionamento ordinario e le discariche si riempiono con largo anticipo in anticipo rispetto alle previsioni del Piano Rifiuti (PRGR).
Nel Comune di Motta San Giovanni (area metropolitana di Reggio Calabria) il Commissariamento Rifiuti ha lasciato la locale discarica, senza le opere per la chiusura e l’impermeabilizzazione post mortem, esponendo la comunità locale al perenne rischio di sversamento del percolato nel sottostante Torrente Saitta, che prosegue attraversando il centro dell’abitato di Lazzaro (piccola frazione di Motta S.G.). Per tale mala gestione di siti ad alto impatto ambientale, l’Italia era stata assoggettata ad una procedura di infrazione europea, revocata solo dietro la proposta di una messa in sicurezza ma, nel caso della suddetta discarica, solo a patto di accettare una quadruplicazione dei rifiuti conferibili; alla faccia del 65% di differenziata nel 2020. Quindi grandi discariche grandi guadagni!
Poco importa alla corsa al profitto se nell’area del mottese sono state stoccate le ceneri delle centrali a carbone di mezza Italia sversate nella cava Caserta o che, confinante con la discarica, c’è uno degli impianti di compostaggio più grandi della provincia, posto sotto sequestrato in quanto accettava rifiuti non conformi che venivano interrati illecitamente. Sempre nella stessa zona sono presenti le discariche di Paolia e di Don Candeloro, entrambe in attesa di essere messe in sicurezza. Inoltre, a valle della discarica è stato riscontrato un inquinamento che fa ipotizzare la presenza di alcuni di quei famosi fusti contenenti sostanze tossiche che il SISDE, negli atti del 1995 ora desegretati, afferma siano stati sepolti anche nei pressi di Motta S Giovanni.
In una zona a rischio come quella del mottese appare impensabile voler intervenire aumentando il carico ambientale già esasperato. Megadiscariche, inceneritori, centrali a carbone e un proliferare di centrali a biomasse: sono queste le grandi opere che piacciono ai politici nostrani, mentre meccanismi virtuosi di prevenzione e di recupero spinto dei rifiuti non sembrano destare la loro attenzione.
Rifiuti a Roma
Sono anni che quando il sottoscritto vaga per le strade romane passa di fianco a cassonetti che non sono più tali, diventati quell’agglomerato di fianco al quale bisogna lasciare i sacchi con dentro gli scarti dei prodotti. Per giorni e giorni restano lì, senza che l’AMA faccia qualcosa, un po’ per limiti di personale, ma sospetto molto di più per scelte di potere.
È così che la mentalità populista emerge dalla massa: ho visto personalmente sotto casa, più volte, molti “avvisi” “do it yourself” con scritte sopra frasi sconnesse riguardo all’etica personale e che non colgono l’aspetto politico della vicenda o resta, appunto, a livello di mentalità populista. In quest’ottica molte questioni politiche sono state veicolate attraverso le lamentele sulla questione rifiuti.
Il problema è diffuso, non solo legato al territorio romano, è una questione che riguarda l’intero territorio nazionale, con sullo sfondo il tristissimo antecedente campano, dove l’immondizia era diventata parte dell’arredamento delle strade.
A Roma l’enorme quantità di immondizia da smaltire quotidianamente si aggira intorno alle cinquemila tonnellate di rifiuti al giorno. Prima di essere gettati nelle consuete “fosse” devono essere trattati: il 42 per cento sono di differenziata ed il 58 percento di indifferenziata. Questi ultimi sono trattati dai cosiddetti TMB (Trattamento meccanico- biologico) e ve ne sono quattro nell’area romana: due sono privati e si trovano a Malagrotta e di proprietà della Colari e altri due sono pubblici e sono di AMA, distribuiti tra Rocca Cencia e la Salaria. L’amministrazione, con la connivenza di malavita e quant’altro riesce precariamente a portare avanti la faccenda.
Va poi aggiunto il fatto che le zone interessate subiscano gli effetti collaterali di tale attività. Il TMB sulla Via Salaria porta un quantitativo di malessere con se di proporzioni devastanti. Questo anno, poi, ha preso fuoco a causa di ignoti. Gli abitanti della ex borgata Fidene non riescono letteralmente a respirare. La puzza provocata dallo smaltimento rende l’ambiente invivibile. In questo contesto nasce, come dicevamo, una mentalità populista: sta a noi intervenire perché un reale disagio della popolazione porti questi ad indirizzare la sua rabbia verso gli obiettivi giusti.
J.R. / Lorenzetto