“La prova del budino è nel mangiarlo” (the proof of the pudding is in the eating) è un proverbio inglese che risale al quattordicesimo secolo ed è attestato, in una forma simile a quella attuale, fin dal 1605. Cinque secoli prima del sue apparire, la corrste filosofica degli empiristi è stata battuta dal buon senso dei popolani inglesi.
Questo proverbio viene spesso usato per spiegare, in modo semplice ed un po’ ingenuo, la visione realista del mondo; quella visione che ammette l’esistenza di un mondo esterno rispetto al soggetto pensante, un mondo esterno che il soggetto può essere capace di comprendere e di trasformare, se necessario, sulla base dell’esperienza sensibile e al di là della fallacia delle nostre percezioni.
La fallacia delle nostre percezioni è, viceversa, l’argomento spesso usato dagli scettici per mettere in dubbio l’esistenza di un mondo concreto al di fuori dell’essere pensante. Nei tempi più vicino a noi, le recenti acquisizioni in campo scientifico, sia nel campo della fisica (teoria della relatività, meccanica quantistica) sia nel campo della biologia, dell’evoluzione e della genetica, hanno messo profondamente in crisi sia la visione meccanicistica che quella antropocentrica della natura, fornendo nuovi argomenti allo scetticismo, al soggettivismo, fino alle posizioni metafisiche e trascendentali.
Questa visione del mondo è adeguata all’ideologia della forma sociale capitalistica, al dominio della borghesia. Perché il continuo rivoluzionamento dei processi produttivi e dei rapporti sociali mina le certezze dell’individuo; perché il dominio della borghesia ha trasformato in valori di scambio, ha fissato un prezzo a quelle virtù che giustificavano l’esistenza degli ordinamenti sociali precedenti, la morale, la cavalleria, la sapienza, la religione, l’amor di patria, l’onestà, l’amore ecc. Nel modo di produzione capitalistico il feticismo delle merci, la forma fantasmagorica del rapporto fra le cose nasconde il rapporto sociale fra gli uomini, un rapporto fatto di sfruttamento e di dominio. Attraverso le merci, infatti, gli uomini entrano in contatto tra loro, quello che è prodotto di lavoro umano, generico, uguale, astratto, appare come proprietà intrinseca delle cose; così come sembra che Madama la Terra e Monsignor Capitale riversino sulla testa dei loro possessori i doni dell’abbondanza, così come il salario riserverebbe agli operai, i produttori reali, le briciole del banchetto delle classi prvilegiate. Così il lavoro salariato nasconde quel rapporto di dominio e sfruttamento che appariva in forma aperta nel lavoro schiavistico e in quello servile.
Come Er nel fondo della caverna, gli uomini vedono alla superficie della società capitalistica, nella descrizione che questa fa di se stessa sui mezzi di comunicazione, le cose, le merci danzare sul muro del mercato, senza riuscire a vedere i rapporti sociali che le muovono.
Ma il proletariato moderno non è solo incatenato sul fondo della caverna, esso è anche il demiurgo di questa società. Il budino non ci parla solo del mondo concreto che esiste di fuori di noi, ci parla anche dei rapporti sociali che lo animano. Da quando la perdita delle virtù domestiche ha fatto sì che il budino si comprasse al supermercato, anziché essere prodotto nella cucina di casa, l’esistenza del budino implica l’esistenza dell’operaio pasticcere che lo produce. Allo stesso modo questro articolo viene composto su un elaboratore che non è stato prodotto da Bill Gates o Steve Jobs, ma da tanti operai nelle più diverse parti del mondo. Così la carta, su cui è stampato il giornale, o la rete che mette a disposizione questo testo per chi voglia leggerlo, implica l’esistenza di milioni di operai che lavorano per arricchire i proprietari delle cartiere, delle compagnie telefoniche, dei fornitori di servizi telematici.
Tutti questi operai, impiegati nelle più diverse branche dell’industria, dellagricoltura e dei servizi, insieme ai disoccupati, ai pensionati, a chi non vive del lavoro altrui, formano la grande massa del proletariato moderno. La catena che lo tiene schiavo, la proprietà privata dei mezzi di produzione e dei prodotti del lavoro, ogni giorno si scontra con il carattere sociale del lavoro.
“La prova del budino è nel mangiarlo” può quindi avere molti significati. Il fatto che il budino venga mangiato, dimostra all’osservatore che esiste un mondo esterno a lui, di cui le sue percezioni danno un riflesso più o meno preciso; al tempo stesso, la constatazione dell’esistenza del mondo esterno non è il semplice risultato dell’osservazione, né della mediazione filosofica, è il risultato dell’azione pratico-sensibile del soggetto, nel caso specifico l’atto del mangiare. Allo stesso modo il ruolo della classe operaia e la possibilità di trasformazione rivoluzionaria della società non possono essere stabilite dalla semplice osservazione o dalla riflessione teorica, ma sono il risultato dell’azione di propaganda, di agitazione e di organizzazione dei rivoluzionari. Spetta agli anarchici conquistare un ruolo di primo piano, dipende solo dalla loro azione.
Tiziano Antonelli