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Capitale e lavoro nel meccanismo del consumo

Capitale e lavoro nel meccanismo del consumo

Il lavoro tout court, come fattore produttivo della triade classica, natura-capitale-lavoro, mantiene inalterato il suo ruolo, ma per comprendere i cambiamenti in atto e la progressiva compressione occupazionale legata ad alcune specifiche tipologie di lavoro, è necessario decostruirne il concetto relativamente ad alcuni parametri. Va precisato che il fattore lavoro viene qui inteso nel senso del pensiero economico classico, quindi da un lato come principio fondante del valore, lavoro incorporato[1] e teoria del valore,[2] dall’altra il valore del prodotto ha in sé il plusvalore generato dal lavoro.[3]

Ciò che è profondamente cambiato nella nostra contemporaneità, nelle cosiddette società a capitalismo avanzato è il sistema stesso di riproduzione sociale, non più legato ad un’economia di base, fondata su agricoltura e artigianato, nella quale si produceva in loco i mezzi per la riproduzione sociale. La complessità in atto porta a non poter più provvedere da sé al soddisfacimento dei bisogni base, l riproduzione sociale avviene attraverso un complesso sistema che collega la riproduzione del capitale alla riproduzione sociale in maniera indissolubile.

La relazione tra lavoro-reddito-consumo, è l’anello base sul quale si incardina la riproduzione sociale, come atto necessario alla riproduzione di forza lavoro (e fin qui nulla di nuovo rispetto alla lunga parabola che va da Marx ad Harvey). Quello che invece dovrebbe smuovere qualche coscienza in più sono le innegabili implicazioni sociali di questo processo, solo la contemporaneità ha reso imprescindibile la riproduzione del capitale come fattore essenziale per la riproduzione sociale. Il rapporto di subordine trova i due suoi momenti cruciali nel lavoro e nel consumo, il primo come primo momento necessario di produzione di valore, il secondo come momento di utilizzo del valore creato; entrambi funzionali alla riproduzione ciclica del capitale. Il fatto di essere fuori da un’economia di sussistenza, non consente di autoprodurre il necessario per vivere, soprattutto in ambito urbano, ragion per cui la riproduzione sociale è indissolubilmente legata al reddito. In ciò si coglie il significato profondo della relazione lavoro-reddito-consumo.

Nel momento in cui l’equilibrio fra queste tre forze viene compromesso la riproduzione sociale accusa una serie di problemi. Nell’attuale fase di estrema mobilità dei capitali, non controbilanciata da una altrettanto agevole mobilità della forza lavoro1,[4] si evidenzia uno squilibrio nel processo, squilibrio che evidenzia chiaramente la dipendenza dalla riproduzione del capitale di tutto il tessuto sociale. Il passaggio dal salario dell’operaio al reddito generale dei vari strati della società non è un operazione lineare, in questo passaggio logico è racchiusa, in parte, la ratio che denota il cambiamento fondamentale introdotto nell’economia dagli 80’ in poi. Ciò che è avvenuto è riassumibile nel concetto espresso da due economisti Grossman e Rossi-Hansberg che nel 2006 con un articolo dal titolo “The rise of offshoring: it’s not wine for cloth anymore”, introducevano nel dibattito economico mondiale la spiegazione per un cambio di paradigma assai profondo, che in buona parte mandava in soffitta le teorie del valore (per quanto concerne l’economia politica) di Smith e Ricardo. Il vantaggio competitivo acquisito disarticolando la catena produttiva in singole operazioni da effettuare negli ambiti geografici più disparati, nei quali i costi sono minori vuoi per il basso costo della forza lavoro, vuoi per l’assenza di leggi per la salvaguardia ambientale, ha quindi creato una serie di ricatti sociali imperniati sull’occupazione (il caso Whirpool e Pernigotti sono solo un esempio).

La compressione occupazionale implica un indebolimento della capacità di spesa, il che si traduce in una progressiva diminuzione della produzione, innescando un processo di compressione ulteriore della richiesta di forza lavoro. Anche l’innovazione tecnologica comprime la domanda di lavoro, crea le condizioni sulle quali si costruiscono nuovi scenari e sulle quali vengono ad essere impostate le istanze di cambiamento della struttura socio economica mondiale.

L’implementazione del sistema dei trasporti e dell’informatizzazione della logistica, ha contribuito in maniera assai profonda alla ridefinizione di tempi e costi attraverso un processo di efficientamento a livello mondiale. Il processo congiunto di delocalizzazione e robotizzazione sta rendendo problematica la gestione delle residualità di lavoratori attualmente impegnati in Europa e Stati Uniti. Per questi lavoratori l’economia neoliberista non è in grado di trovare una collocazione, se non chiedendo programmi statali di accompagnamento dolce alla disoccupazione.

Discutere sul significato del lavoro non equivale quindi a definirne il senso, il fatto che la domanda più pertinente della nostra contemporaneità ruoti attorno al senso del lavoro, dovrebbe far risuonare qualcosa nelle menti di coloro i quali negli anni si sono sempre dimostrati attenti ai cambiamenti. Molte cose sono cambiate definitivamente nell’ultimo quarto di secolo, alcune stanno cambiando molto rapidamente, per altre il cambiamento è sempre stato implicito nella loro natura; purtroppo ci si è spesso attardati nell’affrontare i sintomi dei mutamenti senza scendere alle radici stesse del problema.

Declinare il senso del lavoro nel momento in cui esso sta profondamente mutando la sua essenza in quanto fattore di riproduzione sociale, mette in luce il ritardo analitico nel quale stiamo annaspando. Ritardo spesso assecondato da richieste di ripristinare lo status quo invece di tentare di mettere in discussione tutto il sistema. Negli anni passati si inneggiavano slogan contro la globalizzazione spesso non avendo idea di cosa fosse fino in fondo, ora che stiamo guardando i suoi effetti, spesso non ci viene in mente nulla di meglio che esigere redditi più alti e lavori stabili, questo vuol dire continuare a sottovalutare la portata del fenomeno.

Non è quindi semplice decifrare il senso del lavoro nella nostra contemporaneità senza comprendere fino in fondo cos’è il processo di globalizzazione e quali sono gli scenari che ha contribuito a chiudere e quali quelli che sta aprendo. Il lavoro e la struttura economica della società, sono molto più che elementi interdipendenti, sono i costitutivi dello stesso sistema, che pur essendo influenzati dai medesimi processi assumono ruoli diversi all’interno del meccanismo di riproduzione del capitale. Da qui nuovamente la domanda circa il senso del lavoro e il significato che assume il lavoro salariato nella nostra fase storica, seguendo il ragionamento fino alle sue conseguenze ultime, si approderebbe al nocciolo del problema e al fatto che il lavoro è l’unica attività che consenta la creazione di reddito monetario individuale, da qui la domanda basilare, sul significato autentico di reddito, il suo scopo nell’attuale struttura socio economica mondiale.

Quindi in occidente quale senso ha oggigiorno il lavoro salariato nel momento in cui si è deciso che non serve più? Quindi se non è più il lavoro umano salariato, la componente principale di riproduzione del capitale come si mantiene la società dei consumi? La risposta non è semplice, l’analisi delle attuali tendenze del mercato del lavoro, inducono ad immaginare lo sviluppo di una sorta di “operaio non manuale”. Figure professionali iper-specializzate in mansioni tecnico-pratiche o procedurali, sono questi i casi della catena della logistica nella quale il facchinaggio è una componente numericamente bassa di tutta la forza lavoro impiegata, costituita in maggioranza da magazzinieri, tecnici meccanici o informatici che assistono e controllano le macchine.

Il senso del lavoro, come elemento di emancipazione sociale, ha finito per dimostrarsi la menzogna che è sempre stata. Il lavoro emancipa solo nella misura in cui si è liberi acquirenti ed “eleva” solo nella misura in cui l’individuo vorrebbe guadagnare di più per acquistare di più. In quest’ottica il fordismo è ancora presente come orizzonte di benessere economico cui tendere. Ma come fare ad uscire dal vicolo cieco in cui versa attualmente l’occidente è un’incognita alla quale si deve prestare attenzione, sono su queste elaborazioni e su queste proposte che si giocano i futuri equilibri sociali o le strategie per ammansire gli individui.

J. R.

NOTE

[1] SMITH, Adam, The Wealth of Nations, London”, 1776, London, Penguin.

[2] RICARDO, David, Principi di Economia Politica e dell’Imposta, Torino, UTET, p. 516.

[3] MARX, Karl, Il Capitale.

[4] SPENCE, Michael, “The Impact of Globalization on Income and Employment –the downside of integrating markets‟, in Foreign Affairs, July/August 2011

 

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