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Marge Piercy, “Cybergolem”

Marge Piercy, “Cybergolem”

La Fantascienza è una forma di letteratura popolare – per nulla nel senso spregiativo del termine – nata non casualmente con la società industriale, perché la sua specifica forma narrativa ha permesso e permette tuttora di rappresentare le potenzialità ed i timori degli uomini di fronte ad una situazione che modifica di continuo, in una maniera mai vista prima, le condizioni materiali di vita di ogni essere umano. È facile notare la forte presenza dell’anarchia – intesa sia come appartenenza ideologica e talvolta militante dei singoli scrittori, sia come tematica narrativa che va di là di questi, pur numerosi. Queste schede di lettura vogliono sostanziare la seguente tesi: se, come dicevamo all’inizio, la fantascienza rappresenta i timori e le speranze verso il futuro della società industriale, l’anarchia rappresenta il lato della speranza.

PERCY, Marge, Cybergolem, Milano, Elèuthera, 1995.

Come abbiamo fatto notare spesso in questa rubrica io e Flavio Figliuolo, la presenza dell’anarchia come modulo narrativo all’interno della tradizione letteraria della fantascienza – un modulo che può ben definirsi “principio speranza” nel futuro – prescinde dall’appartenenza ideologica diretta all’anarchismo. Questo, infatti, è anche il caso di Marge Percy (Detroit, 31 marzo 1936):[1] ebrea praticante, sia pure della corrente decisamente leftist “ricostruzionista”,[2] ha militato negli anni sessanta con ruoli anche di responsabilità, nell’SDS (Students for a Democratic Society) per allontanarsene nel 1969, giudicandolo troppo disinteressato alle questioni di genere e, da allora, ha militato, sempre molto attivamente, nei gruppi femministi e, insieme al marito Ira Wood (informatico e, probabilmente, ispiratore delle atmosfere cyberpunk dei suoi scritti più noti), nella sinistra del Partito Democratico statunitense, nonché in molti gruppi di lotta alla povertà e pacifisti. Ciononostante, il suo romanzo più famoso, He, She and It del 1991, vincitore del Premio Arthur C. Clarke nel 1993 e tradotto in Italia due anni dopo da Elèuthera come Cybergolem, rientra perfettamente nella categoria dei categoria dei romanzi di fantascienza che hanno a loro fondamento l’idea dell’anarchia come principio speranza del futuro. L’anarchia, appunto, e non una democrazia liberal, magari anche radicale, come si potrebbe supporre dall’ideologia e dalla pratica militante dell’autrice del testo. In questo senso, l’anarchia appare come una scelta quasi obbligata del genere: in sua assenza, la distopia pura.

Il romanzo si svolge in un mondo cupo e relativamente disabitato, perché le guerre e la catastrofe ecologica e sociale derivate dalla forma sociale capitalistica della produzione e, in generale, dal dominio dell’uomo sull’uomo, hanno provocato la morte di miliardi di persone in breve tempo. Il mondo, sostanzialmente, è divenuto per la maggior parte una landa desolata, pressoché invivibile e semidesertica, interrotta da isole ipertecnologiche dominate dalle eredi degi governi e delle multinazionali che hanno quasi distrutto il pianeta che, in queste città, hanno imposto una dittatura tecnocratica, mentre il resto del pianeta è abitato da bande nomadi o seminomadi ai limiti della sopravvivenza, zona detta il “Glop”. Eccezione in tutto ciò Tikva, una città anch’essa hi-tech ma composta da una atipica comunità ebraica per nulla tecnocratica. Ecco come l’autrice descrive la convocazione di un’assemblea cittadina convocata per decidere l’ammissione a pieno titolo nella comunità di Yod, il Cyborg creato da Avram, uno scienziato di Tikva, per difendere la città dagli attacchi delle città tecnocratiche ed i pensieri di Shiva (la donna coprotagonista che ha accettato il Cyborg al punto da farne il suo compagno):

Shiva pensava che se la discussione fosse continuata fino alla fine Yod l’avrebbe spuntata, visto che la base di Tikva era il socialismo libertario con forti componenti anarco-femministe (…) ed ecologiste. Avrebbero scelto, come sempre, l’opzione che sembrava offrire il più ampio grado di libertà. (…) La Y-S [la città tecnocratica in cui Shiva ha vissuto prima di tornare a Tikva, NdR] era una gerarchia con un capo. Tikva era un’assemblea civica, una democrazia piena ed attiva, dove erano abituati a decidere ogni dettaglio (…) quale che fosse il tempo necessario per raggiungere l’accordo.”[3]

Si tratta di un romanzo che, pur dando ai due coprotagonisti Yod e Shiva un ruolo assai forte, ha comunque una dimensione corale, dal momento che è difficile descrivere come secondari molti personaggi: in primo luogo la nonna e la madre di Shiva, Malkah e Riva, il costruttore del Cyborg Avram ed ex compagno di Malkah, Ari l’ex fidanzato giovanile di Shiva, Nili, la donna semicyborg che è venuta a Tikva come amante/guardia del corpo di Riva… Personaggi tutti che costruiscono una trama dove l’utopia libertaria di Tikva comincia ad attrarre gli abitanti del resto disastrato del pianeta che, gradatamente, appaiono sempre meno barbarici di quanto gli stessi abitanti di Tikva, sicuramente dalla mentalità molto più aperta delle città tecnocratiche, potessero supporre. Quest’aspetto del romanzo ci permette di entrare in un altro suo aspetto, quello delle suggestioni letterarie che ne attraversano la trama.

Innanzitutto le suggestioni della storia popolare del Golem della Praga del XVII secolo. Questa storia si alterna con quella del (Cyber)Golem Yod, giocando con i parallelismi tra le due vite, in particolar modo per ciò che concerne il processo di educazione – in tutti i sensi: anche sentimentale ed erotica – del Golem che deve la vita alla magia cabalistica prescientifica e del Cyborg che deve l’esistenza alla scienza galileiana. Tra l’altro le storie di Joseph il Golem non sono meno suggestive di quelle di Yod il Cyborg.

Soprattutto, però, ci sembrano fondamentali le suggestioni del romanzo emblematico del rapporto tra fantascienza ed anarchia, Quelli di Anarres della recentemente scomparsa e rimpianta anche sulle pagine di questo giornale Ursula K. Le Guin.[4] Innanzitutto la figura di Shiva che, come il protagonista del romanzo della Le Guin (dal nome tra l’altro vagamente assonante: Shevek), che si muove tra due mondi, quello dell’utopia socialista e libertaria di Tikva e quella capitalistica e gerarchica di Y-S, scegliendo (a differenza di Shevek magari con minore autodeterminazione dal momento che inizialmente è stata costretta dalle circostanze a lasciare Y-S cui si era recata intenzionalmente e dove aveva costruito una vita standard) alla fine Tikva, di cui avverte il fatto di aver costruito la sua personalità più profonda. Poi c’è la madre, Riva, che in qualche modo è la ripresa dello spirito più autentico di Shevek: sia nel senso della formazione scientifica, sia in quello di portare “Anarres oltre Anarres” – nel doppio senso della frase. Riva è una militante anarchica che ha abbandonato la figlia piccolissima ed opera fuori Tikva, questo per non coinvolgere figlia e città natale nelle sue attività sovversive, rivolte contro le città dominate dalle eredi dei governi e delle multinazionali (collettivamente vengono così definite: multi) che hanno disastrato il pianeta e cerca di convertire alla causa socialista e libertaria le popolazioni nomadi e seminomadi che vivono nel “glob”, le zone parzialmente abitabili del pianeta. Quando torna a Tikva, il suo carisma coinvolge nelle sue attività sovversive – oltre a Nili che già la segue e proviene da un’enclave libertaria di sole donne – la figlia appena incontrata, Shiva, nonché Yod ed Ari. In questo passaggio incontrano una popolazione seminomade del Glop, sfruttata dalle multi, e parlano con Lazzaro, un attivista politico della popolazione locale:

“‘Ci stiamo costruendo una rete nostra’, disse Riva in tono calmo. ‘Esterna alla loro, ma parallela.’

Ma la rete è pubblica’, aggiunse Shira.

Anche la nostra’, disse Lazzaro. ‘Ma per un pubblico differente.’

Che cosa volete?’, chiese Nili. ‘Cosa state cercando di fare?’

Portare un po’ di potere nel Glop. Far sì che la mia gente sia un po’ meno impotente. Conquistare un po’ di forza per riprenderci un pezzo di torta.’ Lazzaro fece un passo verso Nili. ‘E voi cosa andate cercando?’

Anche noi vogliamo sopravvivere, anche se in condizioni molto più estreme di quelle che avete voi qui.[Nili non proviene da Tikna, ma da una comunità che vive in una zona desertica, NdR] Vogliamo sapere se è possibile trovare alleati. Abbiamo sviluppato tecnologie differenti e siamo interessati agli scambi, scambi tra le persone. Informazione. Questa rete alternativa ha l’aria di essere utile.’

(…)

[Lazzaro] Ho pensato, ad esempio, che invece di una piccola remunerazione da parte delle multi per ognuno dei nostri lavoratori, potremmo offrirglieli in blocco e tutti ricevono la stessa zucca [paga]. Tutti o nessuno.’

Stai parlando di un sindacato’, disse Shira.

Un che?’, Lazzaro la guardò senza capire.

È storia. Stai parlando di quelli che venivano chiamati sindacati dei lavoratori.’

E funzionavano?’

Per circa un secolo. Quando le multi spostarono i lavori fuori dal paese fu facile scavalcarli. Il vertice venne cooptato e poi non aveva alcuna voglia di lavorare in posti come il Glop. Ma per molto tempo funzionarono. Posso mandarti un sacco di informazioni’.

(…)

Tosto’, disse Lazzaro (…). ‘Istituiremo dei canali’.”[5]

Quest’ultimo scambio di battute è paradigmatico della tesi che quello che stiamo portando avanti in queste schede di lettura. L’anarchia è la speranza dell’umanità nella fantascienza. Lo è però oggi anche nel mondo reale: rileggendo la descrizione di Tikva presentata sopra “socialismo libertario con forti componenti anarco-femministe (…) ed ecologiste” è difficile non pensare al Rojawa.

Enrico Voccia

NOTE

[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Marge_Piercy .

[2] Una corrente dell’Ebraismo Riformista (o Ebraismo Liberale o Ebraismo Progressista). https://it.wikipedia.org/wiki/Ebraismo_riformato; https://it.wikipedia.org/wiki/Ebraismo_ricostruzionista .

[3] PERCY, Marge, Cybergolem, Milano, Elèuthera, 1995, p. 463.

[4] LE GUIN, Ursula K., Quelli di Anarres, Milano, Nord, prima edizione 1976.

[5] PERCY, Marge, Cybergolem, Milano, Elèuthera, 1995, pp. 355-356.

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