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Vicenda Cospito, presidio ad Ancona.

Vicenda Cospito, presidio ad Ancona.

In tempi in cui le rappresentazioni superano le argomentazioni, narrare i fatti vissuti diventa cronaca del presente fra resoconto giornalistico privo di orpelli e denuncia politica di piazza. Accade nel capoluogo delle Marche, regione plurale, rappresentativa delle contraddizioni italiane, a guida FdI. Qui, sui moli degli arsenalotti, poco meno di un mese fa ha attraccato la Ocean Viking con i suoi 37 migranti, costretti, per protervia elettoralistica in orbace, a sopportare due giorni di mare grosso e di freddo invernale. Era il dieci gennaio scorso e una moltitudine di solidali si era radunata sulle mura del porto ad accogliere i rifugiati e a rendere visibile un’umanità politica mai scomparsa da queste parti. La stessa, se si vuole, che si affaccia ora in piazza per mostrare la sua solidarietà verso Alfredo Cospito, al suo centesimo giorno di sciopero della fame contro il 41 bis.

“Contro la violenza dello stato, fuori Alfredo dal 41 bis”; uno striscione domina il presidio attorno al quale si sono radunate una settantina di persone. C’è poi un altro striscione,“libertà per Cospito”, con una A cerchiata, un paio di bandiere rosso-nere e una dell’antifascismo militante. Niente di più, anche se le anime politiche sono tante. Un segno positivo non da poco e affatto scontato. Ci sono libertari e anarchici, comunisti e femministe, antifascisti e le diverse anime del mondo dell’autogestione, lavoratrici, sindacalisti, militanti di partito e attiviste per i diritti LGBT.

L’iniziativa è stata organizzata dalla rivista Malamente, edita dal 2015. Negli interventi vengono ribadite le ragioni della presenza in piazza, lanciando con forza un appello a chi ha possibilità di farlo, di impedire la morte di Alfredo, di porre fine ad un’agonia che non serve a nessuno, tranne a chi ama mostrarsi forte e risoluto con i deboli: i poveri del reddito di cittadinanza, i migranti dei taxi del mare, gli anarchici minacciosi. Viene inoltre sottolineato come il lavoro di molti giornalisti rinverdisca la tradizione velinara tutta italiana, dai tempi di Piazza Fontana ad oggi, che ama scrivere editoriali demenziali zeppi di teoremi anarchici e panzane varie fino ad arrivare, la novità del momento, a sottolineare la saldatura, tramite la lotta contro il 41 bis, fra anarchici e mafia. A tale proposito viene specificato che in questo paese le connessioni con la mafia sono più tipiche di certa politica, di certe poltrone, di certo feudalesimo clientelare e tossico. I mafiosi sanno scegliersi i loro amici. Degli anarchici non se ne fanno niente. E, a tale proposito, viene ulteriormente sottolineata la ricerca morbosa di anarchici da intervistare, da parte di certa stampa, al fine di cavalcare l’onda del teatrino granguignolesco costruito sullo sciopero della fame di Cospito. L’anarchico terrorista e l’anarchia come ideale ottocentesco fallimentare da servire fra terrorismo spietato (ma de che?) e infantilismo poetico (ma di chi?). Mentre scompaiono nella melassa del pensiero unico tutti i comunicati negati, le notizie mancate, le informazioni perdute ogni volta che l’azione delle anarchiche e degli anarchici si è esplicata all’interno delle lotte operaie, ambientaliste, libertarie o semplicemente nelle innumerevoli iniziative sociali e culturali.

Niente di nuovo. Quanto avviene in questi giorni è l’ennesima chiave di lettura di un paese in cui la classe industriale è brava a fare affari evadendo tasse e tagliando (quando non negando) salari; sanità, istruzione e assistenza diventano mercati da saccheggiare in nome del profitto e le stanze della democrazia parlamentare pessimi scenari di bagarre squadriste.   È l’Italia depauperata e arrogante, figlia dell’estrema destra al governo e del liberismo dominante.

La consapevolezza dell’attualità del momento induce quindi ad andare oltre la solidarietà individuale manifestata, per arrivare a denunciare le pessime condizioni di vita (e di morte) nelle carceri italiane, aperte ai proletari e negate ai colletti bianchi, mentre si muore di lavoro e si chiudono gli ospedali. Espressioni di una politica classista, garantista con i forti, giustizialista con i deboli; di una società arrogante e profittatrice, a cui non ci si piegherà mai, ben rappresentata dall’ergastolo ostativo. L’iniziativa si conclude con un improvvisato corteo  che arriva all’entrata del porto davanti alla sede della RAI.

Mentre i più stanno lasciando la piazza, all’entrata del porto, improvvisamente, la polizia presente fa quadrato. Sale un po’ di tensione nell’aria, questione di attimi, finché una voce specifica, in maniera energica: “Non è un assembramento. Volemo andà a beve, fatece passà”. Niente di strano, è la capacità secolare degli sfruttati e dei ribelli di vestire gli abiti della farsa per riuscire a sopportare e a denunciare meglio le troppe tragedie del potere.

Giordano Cotichelli

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