Quest’anno il consueto campeggio contro il sistema di comunicazione satellitare della marina statunitense ha avuto un’importanza cruciale per le sorti del movimento e delle realtà che in Sicilia, e non solo, si oppongono alla guerra e alla militarizzazione dei territori. Da una parte la tappa del campeggio è stata fondamentale per tastare la tenuta del movimento al momento di stasi determinato dalle vicende giudiziarie del Muos. Sul Muos di Niscemi pende attualmente il sequestro penale disposto dal tribunale di Caltagirone, per violazioni ambientali ed edilizie. Inoltre è attesa a giorni la sentenza del Cga Sicilia, organo amministrativo equivalente al consiglio di stato che dovrà esprimersi sulla legittimità delle autorizzazioni rilasciate per la costruzione del sistema. Per completezza ricordiamo che il Tar, nel corso del primo grado, aveva accolto in toto le richieste dei comitati No Muos e aveva dichiarato illegittime e prive di autorizzazioni le antenne. Ma, come sappiamo bene, un tribunale amministrativo, e in generale gli organi dello stato, non entrano nel merito dell’asservimento dell’Italia alle logiche belliche degli statunitensi e, anche in questo caso, la questione Muos è stata affrontata attraverso cavilli burocratici riguardanti i vincoli della riserva all’interno della quale sorge il Muos. Inoltre era necessario dare un segnale per le 46 antenne del sistema Nrtf, presenti dal 1991. Il Muos infatti è solo un tassello della base di telecomunicazioni. Il suo blocco non è sufficiente, l’obiettivo esplicito è lo smantellamento della base Usa. Ecco perché il campeggio, e la manifestazione di giorno 8 agosto, hanno avuto anzitutto il sapore del rilancio della lotta. Il movimento non si fida certo delle “scartoffie” dei tribunali e, anche la parte che con una semplificazione giornalistica potremmo definire “legalitaria” ha pienamente compreso che i rapporti di forza in gioco non sono certo favorevoli. Basterebbe leggere le ultime dichiarazioni della console Usa a Napoli Colombia Barrose per capire quanto la vicenda Muos sia diventata un problema per i rapporti italiani con gli Stati Uniti. Recentemente la Barrose ha fatto sapere che «nella misura in cui gli ostacoli dovessero ancora continuare, ci sarà più attenzione e molto meno pazienza». Un monito chiaro agli attivisti. Sfidare le decisioni dei tribunali e, ancor di più, la pazienza del governo statunitense sono state le parole d’ordine del campeggio. Più azioni dirette e meno carte bollate. Per diversi giorni la contrada Ulmo, dove sorge il campeggio No Muos, è stata interessata da azioni di disturbo e sabotaggio, per ribadire l’ostilità al sistema Muos e ad ogni guerra. Lancio di pietre, blocchi stradali notturni, tagli rete e cortei selvaggi hanno dato non poco filo da torcere alla polizia italiana, da sempre garante e braccio armato del patto Usa – Italia. Il messaggio è arrivato dritto al mittente: questa fase di stallo, dovuta all’attesa dei prossimi risvolti giudiziari, non deve farvi dormire sogni tranquilli. Non neghiamo certo i limiti organizzativi, d’analisi e, talvolta, anche politici di un movimento che deve fare i conti con una realtà in cui alla militarizzazione dei territori si affianca il disinteresse, il senso di impotenza e talvolta la paura per una repressione mai
così dura. Ma i due importanti momenti assembleari nel corso del campeggio ci hanno dimostrato pure che Niscemi non è sola. L’imponente tentativo di sganciarsi dalla dicotomia lotta territoriale – lotta globale, elementi entrambi presenti nel movimento No Muos, ha dato i suoi frutti nei momenti assembleari dedicati alle lotte territoriali e all’incontro delle realtà di opposizione alla guerra. Se da un lato l’incontro con decine di comitati e realtà territoriali, che vedono nella lotta No Muos un esempio da seguire, ci ha lasciato l’immagine di una Sicilia frammentata ma ostinata nell’opposizione alle trivelle, ai rigassificatori e inceneritori, d’altro canto l’incontro con le realtà di opposizione alla guerra ha mostrato tutti i limiti attuali, assolutamente superabili, del movimento antimilitarista e pacifista nazionale. Graditi ospiti sono stati i compagni lampedusani del collettivo Askavusa, che si occupano di militarizzazione dei territori e dello stretto collegamento tra la corsa agli armamenti e le migrazioni di intere popolazioni che tentano di sfuggire dalle nostre guerre. Presenti anche i sardi del comitato No Basi né qui né altrove, portatori di un meraviglioso e tenace entusiasmo contro la continua erosione da parte di Nato e stato italiano di pezzi della Sardegna per garantire esercitazioni militari tanto sfarzose quanto pericolose. Un incontro partecipato da cui si tenterà di far nascere una rete informale di contatti, esperienze e azioni. E proprio sulle azioni i partecipanti dovranno confrontarsi a partire da ottobre quando verrà messa in campo dalla Nato “la più imponente esercitazione del dopoguerra”. Centinaia di aerei, sottomarini, truppe si muoveranno indisturbate tra la Sicilia, la Sardegna, la Spagna e Napoli, cuore del comando Nato. Si giocherà a fare la guerra, preparandosi alle prossime campagne militari. Sarà il prossimo tentativo di ricreare un movimento contro la guerra. E sarà anche il tentativo di riallacciare connessioni che sembrano perdute ma che, da Trento a Lampedusa, sono vive e attive.
Fabio d’Alessandro