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Tre passi nel disastro

Tre passi nel disastro

Le modifiche al sistema degli appalti e delle concessioni, la legge sulla concorrenza. Un favore ai monopoli privati.

Dopo il decreto legislativo che liberalizza il subappalto il governo ha presentato un disegno di legge sulla concorrenza, che dovrebbe riprendere a breve l’iter parlamentare.

Le due cose non sembrano avere un rapporto ma invece sono strettamente connesse tra di loro. A queste due iniziative si deve anche aggiungere il decreto Alitalia/ITA che per la prima volta esclude esplicitamente l’articolo 2112 c.c. che prevede il passaggio diretto dei/delle lavoratrici in appalto da un’azienda a quella che la sostituisce.

Quella che è in corso è una vera e propria offensiva del governo contro i lavoratori, le lavoratrici e anche contro gli/le utenti dei servizi per favorire le imprese.

Partiamo dall’ultimo arrivato: il disegno di legge sulla concorrenza. Questo provvedimento disegna un sistema-paese dove di pubblico non resterà nulla e tutti i settori, compresi quelli che gli economisti chiamano i monopoli naturali, come l’acqua e i trasporti, sono in mano ai privati cui è permesso fare sostanzialmente quello che vogliono.

Quello che è incredibile è che l’affidamento ai privati dei servizi pubblici (le famose concessioni) è strutturalmente più costoso della gestione pubblica e i controlli sulla gestione privata sono praticamente impossibili. Lo scopo chiarissimo di questa manovra è quello di portare avanti un’ideologia e di favorire la crescita di un capitalismo al riparo della concorrenza, tanto che invece che ‘disegno di legge sulla concorrenza’ si dovrebbe chiamare ‘disegno di legge per favorire i monopoli e contro la concorrenza’.

L’ideologia che viene portata avanti è quella per cui il privato è sempre più efficiente, veloce e innovativo del pubblico; la pratica è quella per cui la fornitura di acqua o la gestione di autostrade, casi limite in cui è evidente che è impensabile la costruzione di più servizi in concorrenza tra di loro, diventano di fatto dei monopoli io cui concessionari sono al riparo da ogni rischio di perdita dell’appalto.

Proviamo a guardare il meccanismo di assegnazione di un appalto/concessione: l’appalto/concessione dovrebbe avvenire tramite una gara.

Supponendo che la gara (cosa che è affatto certa) selezioni il concorrente migliore, al pubblico resterebbe solo il compito di controllo dell’assolvimento degli impegni da parte dell’azienda.

Le macerie del ponte Morandi ci dimostrano quale sia in realtà l’applicazione pratica di questo principio.

Il problema reale che gli ideologi del mercato al governo eludono tranquillamente è che qualsiasi privato dalla sua attività debba realizzare un profitto; quindi il privato deve necessariamente ottenere un margine di guadagno dall’appalto/concessione. Per realizzare questo guadagno non ci sono molte strade: abbassare il costo del lavoro oppure diminuire le spese fisse in manutenzione o investimento. In pratica o si paga meno il lavoro o i lavori vengono svolti male.

L’esperienza ci dimostra che appaltatori e concessionari hanno ampiamente praticato entrambe le strade.

Chi magnifica la gestione del privato sostiene che il privato generi risparmio pubblico perché il costo di un servizio gestito in concessione o appalto è inferiore di circa un terzo.

Qual è la ragione di questo abbattimento dei costi? In primo luogo si applica una disciplina dei licenziamenti più favorevole all’impresa; in secondo luogo vengono utilizzate liberamente forme flessibili di lavoro e in terzo luogo può essere impiegato personale volontario o socio di cooperativa.

Quindi la “maggiore efficienza del privato” dipende dalla possibilità delle aziende di dare meno garanzie e spremere di più lavoratrici e lavoratori.

D’altra parte una buona gestione di un servizio richiede sostanziosi investimenti in manutenzione e miglioramenti del servizio stesso; qui siamo all’assurdo: siccome il pubblico ottiene denaro ad un costo minore delle aziende i contratti di appalto/concessione riconoscono ai gestori una remunerazione degli investimenti stessi; questa remunerazione viene normalmente riconosciuta ad un livello più alto di quello che accadrebbe ai normali prezzi di mercato.

Quindi il pubblico in modo paradossale non solo appalta ai privati dei servizi che potrebbe svolgere ma gli riconosce degli interessi sugli investimenti fissati a prezzo politico. Si tratta quindi di un privato che fa profitti sulle spalle delle casse pubbliche (quindi grazie alle tasche di tutte e di tutti). Alla faccia del privato efficiente.

Se poi scomodiamo la questione dei controlli che il pubblico dovrebbe svolgere sull’attività del privato, qui come si suol dire casca l’asino. La costruzione di un efficiente sistema di controlli richiederebbe che il pubblico fosse in grado di mettere in campo un’efficace struttura tecnica e manageriale in grado di verificare gli investimenti e controllare i livelli di manutenzione. Costruire una struttura di questo genere non ha evidentemente alcun senso dal punto di vista economico. Si tratterebbe di una duplicazione dei costi evidentemente insensata. Se il pubblico avesse una struttura di questo genere, tanto varrebbe che gestisse direttamente il servizio.

La realtà dei controlli infatti è tutt’altra: i controlli si fanno solo sulla carta e si basano solamente sulle informazioni che il gestore passa all’appaltante: il pubblico quindi deve contare sulla buona fede del privato che non ha ovviamente alcun interesse a fornire informazioni precise.

Il caso della famiglia Riva che ha gestito per decenni l’ILVA di Taranto devastando e desertificando un intero territorio è li a ricordarci quanto poco si possa contare sulla correttezza delle informazioni fornite dai privati.

Come si vede appaltare ai privati i servizi pubblici è quanto di peggio si possa fare costruendo una struttura complessivamente più costosa della gestione diretta con controlli solo teorici e impossibilità di revocare un appalto concesso a un’azienda che ne faccia una pessima gestione.

Resta da capire il motivo per cui si forza sempre di più in questo senso. La verità a noi sembra evidente: l’operazione del governo Draghi (in questo in piena continuità con i governi precedenti dagli anni novanta in poi) è un’operazione il cui scopo è quello di costruire un capitalismo senza concorrenza permettendo così alle imprese di fare profitti senza alcun rischio. A copertura di questa operazione che fa apparire tutta la mafiosità di fondo del nostro sistema di impresa c’è l’ideologia della quale parlavamo sopra: la glorificazione del mercato quale luogo d’efficienza e delle imprese come buone organizzatrici rispetto al pubblico. In realtà in tutta questa operazione di mercato ce n’è ben poco mentre è sviluppatissima un’antica tradizione protezionistica che permette alle imprese di prosperare ai danni di tutte e tutti noi.

In aggiunta a questo disegno di legge si deve ricordare che l’estate scorsa il governo ha varato la liberalizzazione dei subappalti permettendo ad imprese che nemmeno hanno le strutture e le lavoratrici e lavoratori necessari per svolgere un determinato lavoro, di aggiudicarsi appalti e concessioni pensando poi di affidare ad altre imprese la gestione effettiva dell’appalto stesso.

La conseguenza è che gli appalti si andranno sempre più riempiendo di aziende che svolgono semplicemente il ruolo di intermediari di mano d’opera guadagnando semplicemente sul trasferimento della concessione o dell’appalto ad ulteriori aziende che ne svolgeranno semplicemente una parte. Ovviamente ad ogni passaggio avremo un soggetto in più che deve guadagnare e che lo farà riducendo i salari e distruggendo la qualità del servizio ai danni dell’utenza.

Per completare il quadro qui sommariamente tratteggiato bisogna citare il decreto Alitalia/ITA che per la prima volta nella storia repubblicana ha cancellato il principio che regola gli appalti e le concessioni.

Pur di favorire il nuovo gestore il parlamento ha approvato un decreto che abolisce l’articolo 2112 c.c.. questo articolo è quello che permette a tutte le lavoratrici e i lavoratori in appalto di passare direttamente da una gestione all’altra con la continuità del rapporto di lavoro in quanto dipendenti di un’azienda concessionaria di un determinato servizio.

Per ora l’abolizione è confinata a questo caso specifico ma è probabile che la strada sia segnata proprio da questo decreto. Se così fosse lavoratrici e lavoratori delle ditte in appalto rischierebbero (o meglio avrebbero la certezza) di essere licenziate/i a ogni cambio appalto allo scopo di permettere all’azienda subentrante di poter scegliere chi tenere e chi no.

In questo modo si alimenta ulteriormente la precarietà e viene fatto un ulteriore passo in avanti sulla strada della trasformazione di tutte e tutti in lavoratrici e lavoratori perennemente a tempo determinato, perennemente sottoposti a ricatto e senza alcuna sicurezza sulla propria vita e sul proprio futuro.

Di fronte a questa barbarie è necessario mobilitarsi avendo ben in testa quali devono essere i nostri obiettivi: nell’immediato ritiro del decreto Alitalia/ITA e di ogni limitazione all’efficacia dell’articolo 2112 c.c., insieme all’introduzione del divieto assoluto di subappalto e all’imposizione del concessionario unico per ogni appalto, oltreché il ripristino della parità di trattamento economico e normativo tra i lavoratori dell’appaltatore e del committente; nel futuro dobbiamo ottenere la reinternalizzazione di tutti i lavoratori e le lavoratrici degli appalti all’interno di un servizio pubblico efficace ed efficiente il cui scopo non sia quello di ingrassare aziende che operano di fatto in un regime di monopolio ma di assicurare a tutte le cittadine e i cittadini che risiedono in questo paese dei servizi che funzionino.

Stefano Capello

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