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Parenti serpenti. Sull’ideologia dell’“Unico Stato Democratico”

Parenti serpenti. Sull’ideologia dell’“Unico Stato Democratico”

Chi mi conosce sa che non ho certo simpatie per il pensiero nietzscheano; allo stesso tempo però, come suol dirsi, anche un orologio rotto due volte al giorno segna l’ora esatta. Nel quarto capitolo di Al di là del Bene e del Male (“Detti e Intermezzi”), Nietzsche afferma che “Chi combatte contro i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. E quando guardi a lungo in un abisso, anche l’abisso ti guarda dentro”. Questa frase può servirci per comprendere come l’ideologia, continuamente ripetuta dai nostri media mainstream, per cui Israele andrebbe appoggiata a prescindere da tutto in quanto sarebbe l’unica democrazia nel Medio Oriente, circondata da un mare di nazioni sostanzialmente dittatoriali, teocratiche o comunque fondamentalistiche, sia una costruzione fittizia. Specificando l’ovvio, cioè che non abbiamo particolari simpatie nemmeno per la democrazia formale e speriamo in qualcosa di molto più avanzato per l’umanità in termini di uguaglianza politica e sociale, quest’articolo vuole mettere in evidenza come, in realtà, definire Israele una “democrazia” nel senso anche semplicemente liberale del termine sia un errore e che, negli ultimi tempi, i deficit democratici di questa nazione sono sempre più aumentati; inoltre, paradossalmente, il modello che sembra perseguire sempre di più l’élite dominante è quello dei paesi che la circondano. Metteremo allora a confronto la struttura fondamentale dello stato iraniano attuale con quella dello stato israeliano e le sue ultime evoluzioni.

Partiamo dall’Iran, lo Stato che, nell’immaginario collettivo “occidentale” dominante, rappresenta il prototipo dello Stato teocratico e fondamentalista. La struttura costituzionale della Repubblica Islamica è un incrocio tra teocrazia islamica e democrazia liberale: la Repubblica Islamica dell’Iran prevede, infatti, la presenza contemporanea di organi a legittimazione popolare e religiosa – una sorta di “Stato duale” caratterizzato dalla coesistenza di organi elettivi, non elettivi e da centri di potere informale, che rendono superficiale l’immagine di un monolite teocratico diretto in maniera sostanzialmente dittatoriale dalla Guida suprema. Si tratta di un assetto istituzionale ambiguo, che vede la compresenza di poteri di derivazione “divina” e altri di derivazione popolare.1

Partiamo dall’Assemblea Islamica, il Parlamento: i suoi 290 membri sono eletti ogni 4 anni a suffragio universale.2 Della democrazia parlamentare formale ha il potere legislativo, limitato però dal fatto che le leggi che approva devono essere nei limiti dei principi della religione di stato, insomma conformi alla shari’ah islamica. Sempre eletta a suffragio universale abbiamo poi l’Assemblea degli Esperti: è composta da 86 membri che devono essere necessariamente dei religiosi islamici; questi restano in carica per 8 anni ed eleggono a vita la Guida Suprema, la più alta carica del regime. Il Presidente della Repubblica viene eletto ogni 4 anni tra le figure di chiara adesione all’islamismo sciita duodecimano,3 con il limite di due mandati; è anche capo del governo, dunque detiene il potere esecutivo. Ha anche il potere di nomina dei ministri, che devono avere l’approvazione del parlamento che, però, non può sfiduciare il governo in quanto tale. Tra le sue prerogative vi è la nomina degli ambasciatori, dei direttori della Banca Nazionale e della National Iranian Oil Company (NIOC).

Se non bastassero queste limitazioni, abbiamo infine il Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione. Questo è composto di 12 membri: 6 membri del clero, scelti dalla Guida Suprema, 6 giuristi, scelti dal Capo del Sistema Giudiziario (a sua volta designato dalla stessa Guida Suprema). Compito del Consiglio è quello di vigilare sulla conformità delle leggi con la Costituzione e con la shari’ah e vagliare le candidature a tutte le cariche elettive: in pratica, il Consiglio ha il potere di impedire la partecipazione alle elezioni chi ritiene sgradito – sostanzialmente perché troppo “laico”: un potere che negli ultimi anni ha esercitato sempre più di frequente, cosa che indica una sempre minore capacità di presa del governo sulla popolazione.

C’è poi il ruolo esercitato dalla Guida Suprema: questa non solo detta la politica del regime ma ha il potere di designare il già citato Capo del Sistema Giudiziario, il Capo delle Forze Armate, il Capo della Radiotelevisione e degli altri media statali, i capi delle principali fondazioni religiose ed ha il controllo dei servizi segreti e dei corpi paramilitari (pasdaran e basiji). La Guida Suprema nomina direttamente ben 22 su 32 dei membri dell’Assemblea della Definizione delle Opportunità, organo che resta in carica 5 anni ed ha il compito di dirimere le controversie fra il Parlamento e il Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione. Di quest’organo fanno parte di diritto i capi del potere legislativo, esecutivo, giudiziario ed i giudici religiosi del Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione. Sembrerebbe un organo di relativamente scarsa importanza; in realtà essa coadiuva la Guida Suprema nella sua funzione di capo della Repubblica Islamica dell’Iran.

Questa forma costituzionale, pur non essendo il monolite teocratico che di solito si immagina in “Occidente”, non è certo una democrazia anche se al suo interno vede una forte dinamica politica e sociale, come posso testimoniare di persona dai miei viaggi e come si vede attualmente dalle forme di rivolta guidate soprattutto dalle giovani donne. Israele invece? È l’“Unico Stato Democratico” del Medio Oriente in mezzo ad un branco di lupi? Ripetendo che non abbiamo particolari simpatie per la democrazia formale e speriamo in qualcosa di molto più avanzato per l’umanità in termini di uguaglianza politica e sociale, non possiamo non notare che il mantra con cui ci invitano a difendere le scelte del governo di Israele senza se e senza ma non regge ad un’analisi un minimo attenta.

Innanzitutto una cosa elementare, poco conosciuta dal grande pubblico e raramente compresa nel suo significato profondo: lo Stato di Israele non ha una costituzione.4 Ora, una costituzione, nei termini del diritto Statale, è un atto normativo primario che specifica la natura, la forma, la struttura, l’attività e le regole fondamentali di uno Stato – in altri termini si tratta di una norma fondamentale che impone agli organi politici in essa nominati cosa possono fare, cosa non possono fare e, in alcuni casi, anche cosa non possono non fare, cioè devono obbligatoriamente fare – un processo normativo di limitazione dei poteri legislativi, esecutivi e giudiziari.

In mancanza di una costituzione, anche ragionando dal punto di vista del diritto statale, una “democrazia senza costituzione” – come si pretende sia lo Stato di Israele – è una contraddizione in termini: anche dal punto di vista strettamente formale una democrazia deve necessariamente basarsi su quello che dicevamo prima, cioè su di un processo normativo di limitazione dei poteri legislativi, esecutivi e giudiziari, altrimenti ogni libertà e processo decisionale consentito alla popolazione non è mai strutturale, in quanto può essere revocato in qualunque momento dai poteri legislativi, esecutivi e giudiziari. Come dice Andrea Morrone “Le sue [di Israele] regole costituzionali si trovano sparpagliate in tante ‘leggi fondamentali’ (Basic Law), che si occupano di aspetti diversi. C’è una ragione politica. All’atto di nascita, dopo la dichiarazione d’indipendenza (1948-1950), le divisioni tra i partiti, religiosi e laici, spinsero la Knesset (che assunse il ruolo anomalo tanto di un’assemblea costituente quanto di un normale parlamento) a non stabilire le regole dello Stato nascente in un testo scritto unitario e una volta per tutte. Lo rinviarono al futuro, accontentandosi di procedere per gradi, di fare nel tempo una ‘costituzione a tappe’. Da allora sono state approvate oltre dieci leggi fondamentali, senza mai a raccoglierle in un solo testo. Questa singolare esperienza ha indebolito le norme fondamentali. Ciò che noi chiamiamo una costituzione in senso prescrittivo, destinata a fondare e a limitare il governo di un popolo, in Israele finisce per essere una costituzione in senso riflessivo, la cui normatività è precaria, dipendendo dagli equilibri tra i partiti.”5

In realtà, i tentativi di creare nello Stato d’Israele una democrazia liberale in senso costituzionale non sono mancati, in particolare cercando di creare un sistema giudiziario indipendente che facesse da garanti di tutti (anche delle minoranze non ebraiche) contro gli arbitri del potere. Poco prima del 7 ottobre la nazione israeliana entrava nel riflettore dei media proprio per questo motivo: Netanyahu aveva proposto una legge fondamentale sul sistema giudiziario che di fatto rendeva il sistema giudiziario impotente di fronte a quello legislativo ed esecutivo, provocando la rivolta di milioni di israeliani, che avevano dato vita a manifestazioni imponenti.

La proposta, inoltre, si innestava su di un’altra riforma approvata nel 2018: la legge fondamentale del 2018, sullo “stato nazionale del popolo ebraico”, voluta sempre da Netanyahu. Come dice Gideon Levy “Il parlamento israeliano, la Knesset, ha approvato una delle leggi più importanti della sua storia, oltre che quella più conforme alla realtà. La legge sullo stato-nazione (che definisce Israele come la patria storica del popolo ebraico, incoraggia la creazione di comunità riservate agli ebrei, declassa l’arabo da lingua ufficiale a lingua a statuto speciale) mette fine al generico nazionalismo di Israele e presenta il sionismo per quello che è. La legge mette fine anche alla farsa di uno stato israeliano ‘ebraico e democratico’, una combinazione che non è mai esistita e non sarebbe mai potuta esistere per l’intrinseca contraddizione tra questi due valori, impossibili da conciliare se non con l’inganno.”6

In pratica, tra le tante cose, la legge fondamentale del 2018 stabilisce che Israele è lo Stato degli ebrei, che Israele è la terra dove si realizza l’autodeterminazione esclusivamente degli ebrei e degli ebrei soltanto, la relazione speciale con la diaspora e le festività ebraiche come giorni ufficiali di riposo per lo Stato – in pratica la teocraticità e, come fa notare sempre Gideon Levy nel prosieguo dell’articolo, il riconoscimento di uno stato di apartheid: “Israele dichiara di essere lo stato nazione del popolo ebraico, non uno stato formato dai suoi cittadini, non uno stato di due popoli che convivono al suo interno, e ha quindi smesso di essere una democrazia egualitaria, non soltanto in pratica ma anche in teoria.” Mettendo insieme le due cose, i diritti politici e sociali che i cittadini israeliani, anche quelli “ebrei”, hanno in questo momento sono stati dichiarati parziali e revocabili in qualunque momento. Israele, insomma, ha guardato a lungo nell’abisso divenendo sempre di più una repubblica teocratica fondamentalista.

Insomma, nessuno dei popoli che vivono in Medio Oriente – salvo forse l’esperienza del Confederalismo Democratico in Rojava – può dirsi salvo dalle dinamiche oppressive e gerarchiche del potere, nemmeno mettendosi nell’ottica del costituzionalismo e della democrazia formale. In “Occidente”, infatti, vediamo i limiti enormi anche di queste forme istituzionali e, come dicevamo, speriamo in qualcosa di molto più avanzato per l’umanità in termini di uguaglianza politica e sociale. Lo slogan “due popoli, nessuno Stato” ma, più in generale “tanti popoli, nessuno Stato” è l’unica via d’uscita dal disastro in cui il potere ci sta incanalando e che, forse, può finire con la distruzione completa della vita sul pianeta.

Enrico Voccia

1Per maggiori informazioni di quelle che seguiranno circa l’assetto costituzionale dell’Iran vedi, di là di determinate impostazioni politiche, https://www.oasiscenter.eu/it/iran-chi-comanda-struttura-del-potere-una-guida e/o https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/liran-assetto-istituzionale-quadro-politico-interno-e-scelte-di-politica-estera-29344

2L’elettorato attivo iraniano comprende sia uomini sia donne dai 15 anni in poi, che eleggono a voto segreto il Presidente della Repubblica, il Parlamento, i Consigli Comunali e Regionali e l’Assemblea degli Esperti.

3L’Islamismo Sciita viene solitamente distinto in tre grandi filoni: quello maggioritario dei Duodecimani (o Imamiti), quello degli Ismailiti (o Settimani) e quello degli Zayditi, oggi numericamente il più esiguo. Gli sciiti duodecimani sono coloro che riconoscono una successione ininterrotta di dodici Imām, dopo di che accettarono passivamente l’ordine politico corrente, in attesa della parusia del loro ultimo Imam che, alla fine dei tempi, tornerà a manifestarsi riportando la giustizia sulla Terra.

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