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Gli accordi economici con il capitale straniero

Gli accordi economici con il capitale straniero

Prendendo esempio quattro paesi – Cina, Russia, Turchia, Italia –e le loro relazioni con il governo venezuelano, viene dimostrato ulteriormente come quest’ultimo riesca a far prosperare le multinazionali straniere nonostante il sedicente “socialismo” di tale governo. Iniziamo con Cina e Russia.

Cina e Venezuela

Le relazioni diplomatiche ed economiche tra Cina e Venezuela hanno avuto un incremento considerevole con l’avvento della “rivoluzione bolivariana”. Stando ai dati dell’Observatory of Economic Complexity, nel 2017 le aziende cinesi hanno esportato 1,65 miliardi di dollari in Venezuela[1] mentre le aziende venezuelane (PDVSA in particolare) hanno esportato 6,42 miliardi di dollari (composti dal 91% di petrolio grezzo) in Cina.[2]

A differenza di come ci viene dipinto dai gruppi della sinistra e dalla retorica governativa venezuelana, questo stretto legame commerciale con la Cina non è meramente antistatunitense; è dovuto alla ricerca di nuovi mercati e alleati che consentissero all’attuale dirigenza bolivariana di poter operare indisturbata.

Come detto precedentemente in altri articoli su questo stesso settimanale, un paese che basa la propria economia solo su un settore industriale trainante per il PIL avrà ripercussioni negative qualora crolli il prezzo di mercato delle merci relative a detto settore. Il petrolio, principale risorsa venezuelana, si trova a 64,17/71,43 dollari al barile[3] con una media, nel primo quadrimestre del 2019, di 63,72 dollari al barile. Benché il prezzo del petrolio sia in crescita nell’ultimo anno, vi è da dire che nel periodo 2014-2016 aveva raggiunto i 40,76 dollari al barile (a fronte dei 109,45 del 2012). Un calo del genere, secondo la retorica governativa, era colpa dello strapotere statunitense.

Sergio Sáez, un ingegnere meccanico, aveva descritto nel 2012[4] come la PDVSA stesse subendo una progressiva perdita di potenziale produttivo a causa del deterioramento delle sue strutture e delle casse vuote – costringendo ad un aumento graduale del debito mediante l’emissione di obbligazioni a lungo termine da pagare alla Tesoreria Nacional, al Banco del Tesoro e al Banco Central de Venezuela – senza dimenticare i mancati pagamenti ai partner commerciali petroliferi che partecipano alle imprese miste.

Se questo è il problema interno della PDVSA, il problema esterno invece è basato sugli andamenti di mercato. Il valore del petrolio immesso sul mercato viene fissato da prezzi stabiliti dalla domanda e dall’offerta capitalistica. Il governo venezuelano, non avendo voce in capitolo in merito ai prezzi, deve massimizzare i profitti e la quantità di petrolio richiesta dalla quota OPEC, oltre a contenere i costi principali.

La retorica governativa sullo strapotere statunitense ed una ricerca del controllo dei prezzi petroliferi è puro e semplice fumo agli occhi e serve a consolidare – invano – i rapporti tra lo Stato e le aziende cinesi.[5]

Russia e Venezuela

Le relazioni diplomatiche ed economiche tra Venezuela e Russia sono state improntate principalmente sulla vendita di attrezzature militari. Secondo la Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), tra il 2005 e il 2015 il FONDEN [6] ha stanziato circa 6,9 miliardi di dollari per finanziare 39 progetti militari – il più importante dei quali è stato l’acquisto di 24 Sukhoi Su-30 per 2,2 miliardi di dollari. Gli stanziamenti fuori bilancio del FONDEN hanno fatto aumentare le spese militari venezuelane del 26% tra il 2005 e il 2015,[7] portando il paese sudamericano ad essere controllato (in particolare l’industria petrolifera) da figure legate alle forze armate. Questo aspetto non dovrebbe stupirci: dopo il colpo di Stato del 2002, Chávez dichiarava, nel Novembre di quello stesso anno: “Quando parlo di rivoluzione armata, non sto parlando in senso metaforico; armato significa fucili, carri armati, aerei e migliaia di uomini pronti a difendere la rivoluzione.”[8]

L’embargo di un anno sulle armi imposto dall’Unione Europea nel Novembre del 2017 ha semplicemente ridotto la spesa militare venezuelana.[9]

Nel film “Finchè c’è guerra c’è speranza” (1974), Alberto Sordi interpreta Pietro Chiocca, un commerciante di pompe idrauliche riconvertitosi ad un più lucroso commercio internazionale di armi. Nelle battute finali del film, Sordi/Chiocca spiega alla sua famiglia come “le guerre non le fanno solo i fabbricanti d’armi e i commessi viaggiatori che le vendono, anche le persone come voi le famiglie come la vostra, che voglio, voglio e non si accontentano mai: le ville, le macchine, le moto, le feste, il cavallo gli anellini i braccialetti le pellicce e tutti i cazzi che ve se fregano, costano molto! E per procurarseli, qualcuno bisogna depredare, ecco perché si fanno le guerre!” La vendita e l’acquisizione delle armi rientra in quel corollario di difesa dei propri privilegi sociali ed economici.

Ne La proprietà non è più un furto (1973), poi, il macellaio (interpretato da Ugo Tognazzi) durante il suo monologo spiega su cosa fonda il suo arricchimento: “(…) quando penso ai cassieri de banca, che arrischiano di morire, per difendere er capitale altrui, oppure al fattorino, che ogni sera immancabilmente consegna l’incasso della giornata. O a quei morti de fame, che accettano passivamente la loro disgrazia nel rispetto della legge difesa dalla proprietà. E va bene, allora c’ho proprio il sospetto che in questi nullatenenti… embé… avanzi la pazzia! aleggi la stronzaggine! Ciò me tranquillizza, perché è su de loro che mi arricchisco (…)”

L’arricchimento ed il dominio, insieme al possesso del materiale militare, permettono agli Stati e alle aziende di poter operare indisturbatamente. Il caso russo-venezuelano non è solo basato sulle forniture militari ma anche su accordi aziendali o commerciali.

La OJSC (Open Joint-Stock Company) Rosneft – compagnia petrolifera gestita per la maggioranza dal governo russo – e la PDVSA avevano stipulato un accordo di 20 miliardi di dollari per lo sfruttamento del petrolio venezuelano nel 2013.[10] La crisi economica e sociale venezuelana degli anni 2018-2019 hanno portato la Rosneft ed il governo russo a difendere il governo di Maduro ed a fare pressioni su di esso e sulla PDVSA per il controllo delle quote di gestione e sfruttamento petrolifero attraverso il debito che l’azienda petrolifera di Stato venezuelana ha contratto con i russi.[11]

La Rusoro Mining è una delle principali aziende aurifere del mondo e lavora principalmente in Venezuela. Gli accordi iniziali presi tra il governo di Chavez e il capo della Rusoro, Vladimir Agipov, consentiva all’azienda russa di poter sfruttare le miniere Choco 10 (precedentemente gestita da Goldfields) e Isidora – quest’ultima gestita con il governo venezuelano attraverso la joint venture “Venrus”- della regione di Bolivar.

Con il “Decreto con Rango, Valor y Fuerza de Ley que Reserva al Estado las Actividades de Exploración y Explotación del Oro, así como las Conexas y Auxiliares a Estas”[12] del 2011 e la “Ley de Reforma Parcial del Decreto Nro. 2.165 con Rango, Valor y Fuerza de Ley que Reserva al Estado las Actividades de Exploración y Explotación del Oro, así como las Conexas y Auxiliares a Estas”[13] del 2015, la Rusoro venne messa in difficoltà in quanto doveva dare metà dei suoi profitti allo Stato venezuelano nonostante gli accordi tra Putin e Chávez.[14]

L’accordo raggiunto nell’Ottobre 2018 tra la Rusoro ed il governo venezuelano per quasi 1,3 miliardi di dollari[15] rientra nelle logiche dei governi e borghesie russe e venezuelane di mantenere i rapporti anche a costo di ridurre il Venezuela ad una terra desolata.[16]

Gruppo Anarchico Chimera

NOTE

[1] https://atlas.media.mit.edu/en/visualize/tree_map/hs92/export/chn/ven/show/2017/

[2] https://atlas.media.mit.edu/en/visualize/tree_map/hs92/export/ven/chn/show/2017/

[3] Dati Brent / WTI del 12 Aprile 2019

[4] Desmontando el mito de la renta petrolera y de la “política petrolera revolucionaria” 2013-2019. http://periodicoellibertario.blogspot.com/2012/07/desmontando-el-mito-de-la-renta.html

[5]Troviamo alcuni esempi nelle seguenti notizie: nell’articolo “Exclusive: PetroChina to drop PDVSA as partner in refinery project – sources”, la China National Petroleum Corp (CNPC), attraverso la PetroChina Co, annuncia di aver abbandonato la Petroleos de Venezuela SA (PDVSA) come partner in un progetto di raffineria e petrolchimico da 10 miliardi di dollari nel sud della Cina. I motivi che hanno spinto questo abbandono sono da imputarsi alle cattive condizioni strutturali ed economiche dell’azienda di Stato petrolifera venezuelana. https://www.reuters.com/article/us-cnpc-refinery-pdvsa-exclusive/exclusive-petrochina-to-drop-pdvsa-as-partner-in-refinery-project-sources-idUSKCN1PP0Y4 . Nell’articolo “China railway company reaches new cooperation with Venezuela”, la China Railway No 10 Engineering Group Co Ltd (filiale della China Railway Group) ed il governo di Maduro hanno firmato un accordo sullo sfruttamento e commercio del ferro e cooperazione nell’espansione delle ferrovie venezuelane nel Settembre del 2018. Insieme alla China Railway Group vi è anche la Nederlands Financierings Maatschappij voor Ontwikkelingslanden conosciuta come FMO, un’organizzazione finanziaria controllata dal governo olandese al 51% con il resto è in mano a banche e a sindacati olandesi. La presenza della FMO in America Latina e l’accordo firmato tra l’azienda cinese e il governo venezuelano rientrano nelle logiche del grande progetto cinese delle Belt and Road Initiative (Vie della Seta in italiano).

[6] FONDEN è l’acronimo di Fondo Nacional para el Desarrollo Nacional; è un’entità istituita dal governo venezuelano per investire le rendite petrolifere.

[7] https://www.sipri.org/sites/default/files/inline-images/Nan-Diego%20Venezuela%20Blog%20no%20title-01.jpg

[8] MARCANO, Cristina e BARRERA TYSKA, Alberto, “Hugo Chávez sin uniforme. Una historia personal”, pag. 363.

[9] Dai dati riportati dal SIPRI, la spesa militare venezuelana è stata approssimativamente di 468 milioni di dollari nel 2017 – a fronte di 218 milioni di dollari nel 2016. Vedere la voce “Current USD” del documento formato excel https://www.sipri.org/sites/default/files/SIPRI-Milex-data-1949-2017.xlsx

[10] https://www.radiotelevisionmarti.com/a/pdvsas-rosneft-cooperacion-putin-maduro-/24037.html

[11] Secondo Rosneft, la PDVSA ha pagato 500 milioni di dollari di debito nel terzo trimestre dello scorso anno, con obblighi pendenti di 3,1 miliardi di dollari. https://www.themoscowtimes.com/2019/01/25/guns-oil-and-loans-whats-at-stake-for-russia-venezuela-a64284

[12] https://mega.nz/#!7NplkCqZ!1E2yim42epcHUoyyw6KNtu07XOMM66eDhfJARL-JDG0

[13] https://app.box.com/s/kbd1afu2h1km4q0elj81e5ti4rm4ek91

[14] Secondo i dati riportati da Wikileaks, Vladimir e Andres Agipos (rispettivamente padre e figlio) sono in stretto contatto con Putin. La speculazione di tali affermazioni nasce dal fatto che Vladimir Agipov fosse un dirigente di Aeroflot negli anni ’80 e ’90, oltre ad essere vicino a Mikhail Prokhorov che possiede Polyus, la più grande compagnia d’oro della Russia. Il figlio Andres, invece, era un ex-KGB. https://search.wikileaks.org/gifiles/?viewfileid=9524&docid=5489729

[15] Nel marzo del 2018 la Rusoro vinse il suo reclamo arbitrale internazionale contro il Venezuela. http://www.mining.com/canadas-rusoro-mining-reaches-1-3b-deal-venezuela/

[16] Il riferimento sono gli articoli apparsi su El Libertario inerenti allo sfruttamento minerario nella “Zona de Desarrollo Estratégico Nacional Arco Minero del Orinoco” come: “Indígenas rechazan activación del Arco Minero del Orinoco”, “Especialistas reiteran amenazas ambientales irrecuperables del Arco Minero del Orinoco”, “Arco Minero del Orinoco: La agresión ecocida y etnocida que debemos enfrent”,”Necesitamos ser más comunidad para decir NO al Arco Minero del Orinoco” e “Orinoco al extremo: Faja Petrolífera y Arco Minero, extractivismos de alto riesgo”

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