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Festeggiare il nazifascismo in salsa alpina

Festeggiare il nazifascismo in salsa alpina

Nel 1941 alleata e subordinata al nazismo l’Italia fascista invade militarmente l’URSS, in Ucraina e Russia. Nella campagna italiana di Russia che insistette nelle Regioni dei fiumi Dnestr, Bug meridionale, Dnepr, Donec e Don, vennero mandati ad ammazzare e farsi ammazzare i seguenti effettivi: CSIR con circa 65.000 uomini e l’8ª Armata con circa 230.000 uomini. Da questa campagna di aggressione ci furono per il CSIR 1.792 morti e dispersi, 7.858 feriti e congelati, mentre per l’8ª Armata 75.000 morti e dispersi, 32.000 feriti e congelati.

Al di là delle narrazioni a volte eroiche, spesso disperate, di nonni, zii ed affini tornati a piedi dalla campagna di Russia, i soldati italiani furono mandati lì per conquistare e, in caso di successo, non è inappropriato pensare che non sarebbero andati a portare caramelle e bon bon, soprattutto con alleati del calibro degli eserciti Tedeschi e Giapponesi ed anche perché il loro militarismo riuscì ad essere in più occasioni alla pari di quello tedesco per efferatezze. Nonostante i tanti passi letterari stucchevoli o autoassolventi che molti romanzi ne hanno fatto, si trattava a tutti gli effetti di un esercito di invasione.
Da poche settimane (dal 5 Aprile scorso), l’Italia repubblicana ha stabilito che il 26 di gennaio (viglia della Giornata della Memoria) sia proclamata Giornata Nazionale della Memoria e del Sacrificio degli Alpini. Centottantanove i voti a favore, nessun contrario e un astenuto. Tra le motivazioni della Giornata si può leggere “in ricordo dell’eroismo dimostrato dal corpo d’armata nella battaglia di Nikolajewka del 26 gennaio 1943, durante la seconda guerra mondiale. Un feroce scontro tra le incalzanti truppe sovietiche e le forze residue dell’Asse” ed anche “promuovere i valori della difesa della sovranità e dell’interesse nazionale”. No, non è uno scherzo. Neppure di cattivo gusto.

È strano che proprio in periodo di conflitto, nel momento in cui ci si straccia le vesti implorando il cessate il fuoco e non si risparmiano invettive contro chi invade e bombarda un altro paese, si corra a glorificare un esercito invasore. L’eroica resistenza di Nikolajewka era la difesa del ripiegamento di un esercito invasore e cosa c’è di tanto patriottico nell’andare ad invadere case e campi di contadini? Perché questo era il paesaggio del Don, non fabbriche e siti minerari, non installazioni militari o snodi ferroviari strategici, solo la piatta pianura russa, col suo bel portato di miseria molto simile a molti pezzi d’Italia dai quali furono mandati i “gloriosi” Alpini, male armati e male addestrati a cercare di raschiare un pezzetto di fortuna dagli stivali “dell’alleato germanico”.

In sostanza, grazie a questa ennesima trovata parlamentare, si plauderà un massacro di proletari per una guerra imperialista sotto l’egida del nazifascismo, con la scusa di quella putrida carogna che è e rimane il nazionalismo con il suo vestito a festa e cioè il patriottismo. Perché gli alpini in Unione Sovietica dal 1941 al 1943 stavano partecipando, insieme alle truppe naziste, alla pianificata aggressione all’URSS a duemila chilometri da casa. Ovviamente in questo revival non potevano mancare gli “eroi”, che per l’occasione metteranno il cappello con la piuma.

Eppure proprio durante l’aggressione alla Russia (e contemporaneamente alla Jugoslavia) molti di questi proletari, tutt’altro che eroi, avevano capito di essere stati mandati a combattere una guerra ingiusta, mandati ad ammazzare e a morire dalla politica imperialistica di Hitler e Mussolini. Infatti molti di questi decisero poi di partecipare, combattendo e morendo armi in pugno, nelle file partigiane.

Forse il parlamento Italiano ha pensato che una bella data unica avrebbe riacceso un po’ di sana allegria paesana con le sagre e i raduni degli alpini, vino a fiumi, sponsor, un po’ di sana commozione patriottica e un pizzico di quell’amor patrio che serve sempre a mandare giù bocconi amari come le purghe che da qui a breve arriveranno, tra bollette sempre più care e diritti sempre più compressi, forse che magari qualcuno possa rimpiangere di non aver sconfitto il generale inverno in quelle campagne e che oggi quel Gas che costa sempre più forse poteva essere un ghiotto bottino di guerra?

Così, grazie a questo vero e proprio capovolgimento della storia ad opera del parlamento italiano, il giorno dopo potremo tutti commuoverci e indignarci per lo sterminio di sei milioni di ebrei come conseguenza di quella guerra che il giorno prima, grazie anche alla gloria eterna dei nostri “eroi”, abbiamo esaltato.

Folle? Ricordiamoci sempre che l’Art. 11 vale dal punto e virgola in poi, la parte prima è pubblicità. Questo infinitesimale esempio, tra gli ormai innumerevoli atti dell’infamia che lo Stato (ad esempio il nostro) rappresenta, con una continuità invidiabile tra Regno, Dittatura e Democrazia nata dalla Resistenza in una successione quasi stucchevole, ci suggerisce che: Grumvalski è morto di freddo, Grumvalski sta morendo di freddo, Grumvalski morirà di freddo.[1]

Iniziativa Libertaria Pordenone

NOTE

[1] Passaggio del film L’Odio di Mathieu Kassovitz. “Avevo un amico che si chiamava Grumvalski. Siamo stati deportati insieme in Siberia. Quando ti portano in Siberia nei campi di lavoro, si viaggia nei carri bestiame e si traversano steppe ghiacciate per giorni e giorni, senza vedere anima viva. Ci si scalda l’uno con l’altro ma il problema è che per liberarsi, per cacare, nel vagone non si può! e le sole fermate sono quando bisogna mettere l’acqua nella locomotiva. Ma Grumvalski era parecchio timido e già quando dovevamo lavarci in gruppo si sentiva molto a disagio. Io lo prendevo un po’ in giro per via di questa storia. Insomma, il treno si ferma e tutti noi ne approfittiamo per andare a cacare dietro, dietro il vagone. Ma io gli avevo talmente rotto le scatole al povero Grumvalski che lui decide di andarsene un po’ lontano. Insomma, il treno riparte. Tutti saltano su al volo perché il treno non aspetta. Il problema è che Grumvalski che se n’era andato via dietro un cespuglio stava ancora cacando. Allora lo vedo correre fuori da dietro il cespuglio reggendosi con le mani i pantaloni per non farli cadere e tentando di raggiungere il treno. Io gli tendo la mano, ma come lui mi tende le sue, deve mollare i pantaloni che gli cadono alle caviglie. Ritira su i pantaloni e si rimette a correre… e i pantaloni gli cascano tutte le volte che Grumvalski prova a tendermi le mani”. “Allora insomma, che è successo?” Niente. Grumvalski è… morto di freddo! Arrivederci… Arrivederci…”

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