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Sicilia: un’isola in guerra

Sicilia: un’isola in guerra

Queste sono delle riflessioni strettamente personali. Chi scrive è solamente un militante e non un conoscitore dell’istituzione militare.

Da diverso tempo la Sicilia da avamposto armato e portaerei del Mediterraneo è diventata un’isola che fa la guerra tutti i giorni.

La base di Sigonella e le antenne del Muos di Niscemi lo testimoniano ampiamente, gli attacchi che vengono lanciati dalla Nato e dagli ucraini vedono la presenza costante degli aerei e dei droni partiti da Sigonella e guidati dalla base di Niscemi, non siamo più una piattaforma ma siamo propri lì al fronte in prima linea.

È noi non lo percepiamo. La maggioranza dei Siciliani non capisce che si si cammina sulla corda di un funambolo, con il baratro della guerra tutt’intorno, anche io che cerco di oppormi a tutto questo augurandomi che l’irreparabile che ci sovrasta non si verifichi, ben sapendo che da Sigonella passano gli ordini per un possibile attacco nucleare.

Ma la guerra che parte dalla Sicilia non è solo questa, da anni con la cultura della legalità e dell’antimafia la presenza dei tutori dell'”ordine”e dei militari è presenza quotidiana, ci si sono messi pure gli amerikani con i marines nel fare promozione sociale.

Ma non basta i militari vogliono di più: vogliono fare istruzione e cultura. Con l’alternanza scuola lavoro si vogliono sostituire alla scuola; dicono portateci i giovani dentro le caserme che da cittadini li trasformiamo in soldati, militarizzando la loro esistenza.

Il Militarismo si candida a trasformare il territorio isolano non solo con le basi militari, creando inoltre una nuova percezione tra i giovani: l’istruzione la danno i militari e la guerra diventa la normalità.

In un’isola distrutta da una insensata industrializzazione e da una devastazioni ambientale, contrassegnata da un costante spopolamento delle aree interne, l’azione dell’esercito ne acuisce ancor di più la crisi.

Noi che ci opponiamo alla Guerra siamo soli, in realtà oramai ognuna cartina tornasole dell’altra, Niscemi come Palermo e viceversa.

Penso che le sensazioni di impotenza dei più e le mobilitazioni solo di alcuni rendano bene questa situazione.

Le ultime mobilitazioni parlano di pace, di negoziati, ma di cosa parlano? Se non si attacca il militarismo diventa tutto una grande ipocrisia. Sosteniamo i disertori, ricominciamo a parlare di rivoluzione: la guerra la si ferma così.

Antonio Rampolla 

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