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Esperienze libertarie a Lima. Educare in libertà.

Esperienze libertarie a Lima. Educare in libertà.

Abbiamo incontrato Roselyn, una compagna peruviana della gioventù anarchica di passaggio in Italia, che ci è venuta a trovare all’Ateneo Libertario di Milano.

U.N.: Potresti presentarti, dirci chi sei, da dove vieni e di cosa ti occupi?

R: Mi chiamo Roselyn, vivo a Lima, mia città natale e sono una maestra di scuola materna, occupazione che svolgo da quando avevo 18 anni, sia in strutture pubbliche che private, seguendo anche bambini con disabilità; appartengo al gruppo Gioventù Anarchica Lima.

U.N.: Sappiamo del tuo progetto educativo ispirato a principi libertari che stai cercando di portare avanti nella tua città, ce ne vuoi parlare?

R: Il progetto “EDUCARE IN LIBERTA”, frutto di un’esperienza maturata in questi 12 anni di insegnamento, è un tentativo, rivolto all’infanzia, di praticare modalità relazionali in ambito educativo che pongano in primo piano l’aspetto cooperativo, dialogico e di reciproco rispetto fin dalla più tenera età, cercando di sopperire, quando non di contrastare metodi pedagogici ispirati più ad una atavica consuetudine basata su di una marcata divisione per genere, assuefazione all’obbedienza e ovviamente alla più bieca competitività, che a valori di uguaglianza e mutuo appoggio, tutti aspetti propugnati da una società ancora fortemente improntata da una cultura “machista”. Concretamente realizziamo laboratori didattici e ludici, cercando di stimolare la creatività e la sensorialità, attraverso il gioco libero e cooperativo, dialogando con le bambine e i bambini su di uno stesso livello, cercando quanto più possibile di eliminare i tratti spiccatamente gerarchici, accogliendo le loro proposte e suggerimenti e provando a metterle in pratica.

U.N.: Immagino che non sia stato per nulla facile realizzare un simile progetto, lodevole e necessario direi, soprattutto in un clima sociale così caratterizzato.

R: No infatti, per niente. Al principio ero sola e non disponendo di uno spazio da gestire mi recavo di casa in casa con le mie valigie piene di giochi e materiale vario, ovviamente a prezzi decisamente contenuti rispetto a quanto verrebbe a costare privatamente, incontrando bambini e famiglie in prevalenza povere o che comunque difficilmente avrebbero potuto permettersi questo tipo di sostegno (in Perù le strutture sono scarsissime e non esiste un servizio pubblico dedicato a persone con disabilità); questo lo faccio tuttora come forma supplementare di sostentamento. Così ho pensato di pubblicare un appello con l’intento di coinvolgere altri soggetti: mi ha risposto una giovane maestra di scuola e di danza, e attraverso uno scambio proficuo di esperienze e desideri comuni l’anno scorso abbiamo deciso di dare avvio a questo progetto, “EDUCARE IN LIBERTA”. Disponiamo di un locale nel Centro Sociale Anarchico “Manuel Gonzàles Prada”, fondato circa un anno fa dalla Gioventù Anarchica Lima, il più longevo e organizzato gruppo libertario nel panorama nazionale, che condividiamo insieme all’editrice ANARCRITICA e ad alcune altre individualità che si definiscono acratas (acratici), in tutto sei compagni; disponiamo anche di una biblioteca. Dedichiamo due ore ogni sabato pomeriggio alla nostra attività, con bambini dai tre ai dieci anni divisi in due gruppi, eterogenei e spesso ricomposti nuovamente secondo le esigenze delle madri lavoratrici dei quartieri limitrofi (la sede si trova in centro a Lima).

U.N.: Avete anche pensato di estendere questa iniziativa o di portarla in altri luoghi della città, malgrado le spese che ciò comporta? Come vi finanziate?

R.: Si certo, al momento stiamo valutando l’opportunità di realizzare un ciclo di proiezioni cinematografiche che abbiano per tema o che trasmettino quei principi di solidarietà, collaborazione e rispetto per l’ambiente e gli animali, che purtroppo assai raramente vengono trattati a scuola e ancor meno messi in pratica. Ci uniamo poi anche alla gioventù anarchica (di cui faccio parte) nelle loro iniziative sparse sul territorio, a feste o fiere, e comunque in tutti quei luoghi dove sia possibile farlo. Stiamo cercando altre persone per ampliare questo progetto e portarlo in altri luoghi del Paese, persone ovviamente fortemente motivate, di matrice libertaria o quantomeno affine, che operino consapevolmente e senza fini di lucro. Io vi ho investito molto tempo, soldi e risorse, i mezzi di cui disponiamo sono assai modesti; ci finanziamo prevalentemente con sottoscrizioni degli stessi compagni e con un nostro diretto contributo.

U.N.: Avete dedicato il centro a Manuel Gonzàles Prada, notevole figura di intellettuale e politico peruviano, libero pensatore, come amava definirsi, tenace oppositore delle gerarchie ecclesiastiche e della religione cristiana, così come caparbio difensore dei diritti delle popolazioni indigene, vittime a suo dire di una cultura fortemente razzista e discriminatoria, retaggio di una dominazione coloniale ancora in gran parte vigente. Vuoi parlarci brevemente del gruppo giovanile e delle loro iniziative?

R.: “Gioventù Anarchica Lima” è un gruppo giovanile anarchico venuto alla luce circa dieci anni fa con il proposito di sviluppare iniziative di formazione libertaria e sensibilizzazione delle coscienze in un contesto sociale quale quello peruviano ancora molto tradizionalista. Teniamo incontri e laboratori di storia in generale e approfondimento delle idee libertarie, conferenze editoriali e incontri a carattere ludico, con una militanza attiva diffusa in tutta la città. Ci rechiamo nei quartieri più popolari, ma anche in quelli più agiati, qui spesso siamo infastiditi dalla polizia, con l’obbligo di sgomberare e il sequestro di materiale, mentre in alcune zone, le più povere, presidiate esclusivamente da guardie private armate di solo manganello e al soldo della municipalità abbiamo un più ampio margine di manovra. Gonzàlez Prada è per noi una guida morale e politica, un fermo punto di riferimento, si spese molto per la gioventù peruviana con i suoi scritti e la sua azione, fondò il quotidiano L’Indipendente dalle cui colonne esaltava il socialismo libertario, il lavoro e l’internazionalismo, annunciando la morte del mondo borghese e la rivoluzione proletaria mondiale.

U.N.: Mi sembra doveroso accennare, vista anche la tua provenienza, ai dolorosi fatti occorsi nei mesi di dicembre e gennaio nel Paese. Mi riferisco alla sanguinosa e brutale repressione messa in atto dalle “forze dell’ordine” contro le legittime proteste e rivendicazioni delle masse più disagiate, che è costata la vita a settanta persone e lesioni di vario tipo ad alcune centinaia di altre. Indubbiamente tutto ciò rientra in un più generale clima di malcontento e di sommovimento diffuso a livello planetario, palese manifestazione di una lunga e decennale lotta di classe sempre meno suscettibile di essere tenuta nascosta o a freno. Il Perù è il terzo paese per ordine di grandezza dell’America Latina, con una popolazione di circa 30 milioni di abitanti così suddivisi: amerindi puri 31%, bianchi 15%, neri 2%, asiatici 1%, diviso in tre macro regioni geografiche molto differenziate tra loro: la Costa, la Sierra e la Selva; le differenze sociali ed etniche sono altrettanto evidenti. Esiste un’ulteriore spaccatura in seno alla società peruviana, spesso qualificata biculturale o dualistica, che favorisce una divisione dove da una parte si trovano le classi medio-alte, costituite da bianchi o meticci insidiate nelle città della Costa e nel nord del Paese, mentre dall’altra vi stanno gli Indios, che abitano nelle zone rurali e nel sud, oltre che nelle nuove periferie della capitale in condizioni marginali. Vi è stata nei decenni passati una forte migrazione interna verso le maggiori città, in parte tuttora in corso, che ha cambiato la composizione demografica del paese e oggi il 70% della popolazione vive nei grandi agglomerati urbani. Il Perù è bloccato da decenni da una cronica instabilità politica, sottosviluppo economico, profonde disuguaglianze e istituzioni statali deboli; oggi però conosce uno straordinaria crescita economica, rara nella storia dell’America Latina, favorita da un accorto sfruttamento delle tante risorse naturali, da congiunture esterne e da un “nuovo” indirizzo politico, questo come portato delle ventennali misure neoliberiste iniziate da Fujimori. Quanto alla ridistribuzione della ricchezza è un altro discorso ovviamente.

R.: Si, la società peruviana è fortemente contraddittoria e conflittuale, le disuguaglianze e le ingiustizie sono più palesi rispetto ai paesi più ricchi, e le proteste si manifestano in maniera più marcata e intransigente, cosi come la loro repressione che ha quasi sempre un carattere spietato e violento. L’ultimo presidente eletto, Castillo, di origine contadina, maestro di scuola e sindacalista di questa categoria, aveva ridato un minimo di speranza alle masse sfruttate con l’approvazione di alcune misure sociali che venivano incontro alle esigenze basilari di una grossa fetta di popolazione, nei limiti certo di un’istituzione governativa. Ha comunque toccato certi interessi dell’alta borghesia o non ne ha soddisfatti altri così che ha avuto inizio una gigantesca campagna mediatica di diffamazione, orchestrata dai grossi gruppi finanziari padroni assoluti dei mezzi di informazione, dove è stato anche accusato di sostenere formazioni terroristiche e di adottare misure controproducenti per il paese. Si è inimicato le forze armate e la polizia e in Perù questo significa avere le mani legate e i giorni contati; il giorno che volle chiudere il Congresso con le sue dimissioni nella speranza di far approvare una legge che favorisse il suo ritorno con una maggioranza più favorevole, il parlamento ha votato una legge per la sua destituzione. Sono cosi iniziate le proteste, sia quelle in appoggio al presidente che alla parte avversa (in queste molti erano dei semplici sobillatori pagati dagli stessi deputati, che ignoravano persino le motivazioni della protesta). Quando le cose hanno preso una piega avversa, Castillo ha chiesto asilo politico in Messico per lui e la sua famiglia; questa è riuscita a espatriare mentre lui è stato arrestato con gran dispiegamento di mezzi militari in una misura mai vista prima in Perù. Ora, in un paese dove più del 50% della popolazione vive sotto la soglia della povertà, dove nonostante la partecipazione ad organismi sovranazionali di integrazione regionale come l’Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR), la Comunità Andina delle Nazioni (CAN) e il Blocco di Libero Scambio con Cile e Colombia (Mercato Integrato Latinoamericano-MILA), quest’ultimo in accordi anche con UE, USA e Brasile, e la ricchezza rimane appannaggio di una esigua minoranza, è ovvio che le rivendicazioni proletarie e contadine abbiano un carattere di imprescindibilità e di urgenza difficilmente deferibile. La risposta della polizia e dei militari è stata durissima e molto violenta; si è fin da subito sparato ad altezza uomo con la manifesta intenzione di reprimere e intimidire a qualsiasi costo, con uso di fucili a pallettoni in regolare dotazione e particolari armi i cui proiettili esplodono all’interno del corpo, lacerando gli organi, utilizzate esclusivamente dai militari. Sono stati ammazzati bambini, persone con disabilità e finanche un dottore, freddato alla schiena mentre stava soccorrendo un ferito. Sono stati imposti blocchi alle vie di comunicazione e un prolungato coprifuoco, tutte misure giudicate anticostituzionali, tra l’altro. Complessivamente e nella sue linee generali la gente è assai scettica e disaffezionata nei riguardi delle istituzioni, c’è un pessimismo diffuso che data oramai dagli sciagurati anni ’90 e dall’infausta dittatura di Fujimori.

U.N.: Già, è di pochi giorni fa la notizia che la presidente Dina Boluarte si è dichiarata “al di sopra di ogni responsabilità”, quando nell’ambito di un interrogatorio preliminare in Procura per accuse di genocidio, omicidio aggravato e altri reati, ha affermato di non essere a conoscenza dei metodi operativi delle forze armate e della polizia e che non è stata lei a dare l’ approvazione all’intervento, cosa smentita dai militari. Per quanto riguarda la questione indigena, molti degli scontri e tra i più cruenti sono avvenuti nella regione rurale di Puno e Arequipa, sappiamo di minacce lanciate contro alcuni rappresentanti delle popolazioni native, cosa che ha quasi sempre comportato la loro diretta eliminazione e assassinio. Cosa puoi dirci in merito?

R.: La condizione degli Indios “peruviani” è per molti versi simile a quella delle altre popolazioni indigene dell’Amazzonia e del resto del mondo che si ritrovano a vivere sopra terre assai ricche di risorse naturali altamente capitalizzabili, che fanno gola alle imprese multinazionali, e all’interno di confini di una supposta autorità statuale che ne misconosce i diritti, sfruttandole assiduamente sulla base di postulati principi di supremazia razziale ed etnica, e non rinunciando a massacrarle quando non vi è altro rimedio, imprigionando i suoi portavoce ed espropriandone le terre. Ciò viene fatto in Perù dietro la maschera di un fantomatico Progetto Speciale di Controllo e Riduzione delle Piantagioni di Coca che opera all’interno delle comunità con la scusa di distruggere le pozze di macerazione delle foglie e la confisca dei macchinari. La legge di riforma agraria degli anni ’80, che veniva a correggere una situazione di puro schiavismo lavorativo (il salario consistendo di solo vitto e alloggio, senza denaro), ripartendo le terre in maniera più equa e ridistributiva, aveva in qualche modo dato fiducia e speranza, almeno in un primo momento, a queste genti, ma la cupidigia e l’avidità delle grandi aziende estrattive e sfruttamento intensivo del suolo, oltre che delle organizzazioni dedite al traffico della droga, ha riportato la situazione di molto indietro. Per il resto sono accomunate da un più generale processo di impoverimento collettivo e inquinamento dei suoli e delle acque e per quelli che emigrano, andando ad ingrossare le fila del sottoproletariato urbano, non rimane altra scelta che svendere la propria forza lavoro sotto ritmi massacranti e umilianti (anche fino a quindici ore al giorno). Oltre ai problemi sociali, sanitari ed economici si vedono vessati da forti pregiudizi razziali che danno luogo a manifestazioni di violenza nei loro confronti, e che quasi sempre rimangono impunite.

U.N.: È vero quanto dici e anche una associazione interetnica della selva peruviana, nei suoi nobili tentativi di porre un freno a questi soprusi attraverso denunce pubbliche e manifestazioni di protesta, poco può ottenere di fronte ad un apparato statale forte delle sue milizie a sostegno del grande capitale. Il paese vanta ora il primato mondiale della produzione di coca, le piantagioni si spostano continuamente per sfuggire alla legge e ciò rende assai più difficoltoso il loro reperimento. Il Perù, che dipende molto dai prezzi delle materie prime, in assenza di adeguate infrastrutture, in questo simile ad altri paesi, dipende fortemente dalle importazioni di combustibile, fertilizzanti e derrate alimentari, che insieme all’esportazione primaria lo rendono molto sensibile alle fluttuazioni economiche internazionali e la bassa produttività del suo capitale ingenera uno sfruttamento estremo della forza lavoro in condizioni disumane; la debolezza della sua moneta, svalutata inoltre dall’aumento dell’inflazione e dal rialzo dei tassi di interesse voluti dalla Federal Reserve statunitense, non ha fatto altro che inasprire le già precarie condizioni di vita della popolazione in un contesto dove gli stipendi di base si aggirano intorno ai 1000 soles (circa 250 euro)

Purtroppo per motivi di tempo non ci è stato possibile discutere di altre tematiche o di approfondire quelle toccate, cosa che ci riserviamo di fare più avanti insieme a Roselyn che ci ha promesso un incontro più esteso in merito alla situazione sociale e politica del suo paese e delle sue genti, a cui auguriamo la più ferma volontà e la lucidità di intenti nell’affannosa lotta di affrancamento dal giogo capitalista.

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