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DOSSIER BRASILE parte 2: intervista ai compagni della Federazione brasiliana. Saco vazio não para em pé

DOSSIER BRASILE parte 2: intervista ai compagni della Federazione brasiliana. Saco vazio não para em pé

Prosegue l’intervista ai compagni brasiliani, effettuata a Massenzatico, domenica 9 aprile, sui temi della decolonialità, dell’indigenismo e delle lotte per la terra. Abbiamo poi affrontato la storia più recente del paese dalla fine della dittatura militare negli anni ottanta, ai giorni nostri. Buona lettura! (la prima parte dell’ intervista si trova nel numero 15, anno 103, di Umanità Nova)

UN: La differenza che ci pare di cogliere riguarda la grande mobilità che si è diffusa in Europa o nel Nord globale rispetto alla stanzialità delle comunità indigene, seppur diffuse su un vastissimo territorio al quale sono fortemente legate. Lo abbiamo potuto vedere anche durante la pandemia, portata anch’essa nei territori indigeni dalla mobilità…Ricordiamo l’episodio del ragazzo della tribù degli Yanomami (che copre un’area di territorio nel nord della foresta amazzonica grande quanto il Portogallo) che portò in spalla il padre disabile durante 12 ore per poterlo far vaccinare. Sotto l’amministrazione Bolsonaro, i fondi allocati all’Agenzia Governativa per gli Affari Indigeni (FUNAI) sono stati tagliati drasticamente e parallelamente sono iniziate le invasioni di minatori abusivi nel territorio indigeno Yanomami e lo smantellamento dei sistemi sanitari, causando una spirale di malnutrizione e malattie tra queste popolazioni.

Gustavo: Quello che vogliamo difendere sono i diritti delle comunità indigene e dei quilombolas [i quilombolas sono gli afrodiscendenti che sono riusciti a sottrarsi alla schiavitù, il fenomeno noto come marronage, formando delle comunità dette quilombo. La parola “quilombo”, da cui nasce il loro nome, deriva dalla lingua angolana “bantu” e significa proprio “insediamento”, ndr]. I quilombolas sono degli schiavi neri che -non direi che sono scappati- hanno resistito alla schiavitù, formando delle comunità, i quilombo, che resistono, appunto, fino ad oggi. I quilombo sono stati fondati da schiavi che non erano remissivi, ma che si sono ribellati, hanno spezzato le catene della schiavitù, creando comunità che sono autonome e si autogovernano. La critica decoloniale, di cui parlavate prima [nella parte 1, ndr], si rivolge proprio contro questo antirazzismo di facciata europeo, per cui gli schiavi afrodiscendenti vengono semplicemente compatiti, senza tener conto di questi esempi di insorgenza.

UN: Dove sono distribuite le comunità dei quilombolas?

Gustavo: Dappertutto. Specialmente nelle grandi città, ma anche nei villaggi tradizionali indigeni. Quello che vogliamo è almeno [at least! At least! dice con forza in inglese Gustavo, ndr] preservare questo modo di vivere, anzi, promuovere la sua crescita! Anche per sottrarlo alla logica capitalista. Il Brasile è stato “affettato” in 5 macro-regioni dal capitalismo: nord, nordest, centro-ovest , sudest, sud, molto diverse tra loro per tradizioni, cultura, clima e ambiente!

UN: In effetti, se guardiamo i numeri del censimento più recente, il 56% dei brasiliani si dichiarano afrodiscendenti. Nelle favelas il numero degli afrodiscendenti arriva alla quasi totalità degli abitanti. In Brasile 900.000 persone si dichiarano indigene. Ci sono 300 lingue ed etnie differenti! Il paese soffre pesantemente di una mancata ridistribuzione della terra e dunque delle ricchezze del territorio. I numeri dicono che il 79% della terra è posseduta da solo il 4% dei proprietari. La prima ondata di deforestazione dell’Amazzonia brasiliana, stimata oggi al 17% delle terre totali, ha avuto inizio negli anni Settanta con la cosiddetta “Operazione Amazzonia”, quando la giunta militare al governo ha colto l’alto potenziale di profitto, costruendo la strada Trans-Amazzonica che tagliava in due la foresta, iniziando così ad aprire l’Amazzonia delle terre indigene allo sfruttamento economico capitalista.

L’art.231 della Costituzione brasiliana del 1988 garantisce le libertà e il diritto alle terre dei popoli indigeni, ma il diritto viene costantemente aggirato, limitandolo alle terre occupate al momento della promulgazione della Costituzione stessa.

Emblematico è il caso del popolo nativo dei Guaranì, il più numeroso del paese carioca, distribuito in sette diversi stati brasiliani, ma presente anche in aree dell’Argentina, del Paraguay e della Bolivia, che nel 2011, stanco di vedersi letteralmente rubare spazi e risorse dai colossi dell’energia, si è rivolto direttamente con una lettera scritta a mano a Shell, la multinazionale, oggi britannica, che aveva creato col gigante energetico brasiliano Cosan una joint venture da 12 miliardi di dollari per lo sfruttamento delle piantagioni di canna da zucchero che crescono sulle terre ancestrali degli indigeni, destinate alla produzione di biocarburanti. Le sostanze chimiche usate in abbondanza per massimizzare la produttività delle piantagioni di soia e, appunto, di canna da zucchero, hanno fatto sì che fra gli indios, in particolare fra i bambini, si riscontrasse un alto tasso di malattie. Non solo, recidendo il legame che gli indigeni hanno con la loro terra, si sono portati presso la loro popolazione tassi di malnutrizione, povertà, suicidi e violenza a livelli mai visti in precedenza. Nel tentativo di rioccupare le proprie terre, nel solo 2010, erano stati uccisi 56 Guaraní. Sono crimini ascrivibili al neocolonialismo dei paesi “civili e sviluppati”, bramosi di risorse nel perseguire i nuovi profitti legati alla Green economy e pronti a tutto pur di accaparrarsele. Oggi, tra i popoli indigeni o tra le popolazioni rurali, si affrontano lotte che vanno dalle cause giudiziarie alle occupazioni di terre. Il Movimento Sem Terra, ad esempio le pratica da tempo.

Linguiça/Gustavo: I movimenti, indigeni e non solo, sono stati il vero motore di occupazione o riappropriazione delle terre. Il Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra (MST) che ha iniziato la sua prima occupazione nel 1979, oggi ha più di un milione e mezzo di iscritti ed è uno dei più grandi nel continente. Più di 180’000 famiglie abitano nei centri dell’MST, che garantisce a queste comunità la piena partecipazione degli abitanti alle scelte da intraprendere. Inoltre nei centri si provvede alle cure sanitarie, alla formazione lavorativa, all’educazione ecc., tutte cose che il governo non riesce a dispensare nelle aree rurali.

Tra gli indigeni, anche, vi sono villaggi autogestiti con esperienze di pedagogia libertaria, come nel villaggio Guaraní M’bya che sorge nei pressi di Saõ Paulo.

L’insofferenza dei proprietari terrieri a queste occupazioni è cresciuta di pari passo, anche perché la polizia non ha più impedito ai gruppi di occupare le terre, dopo i massacri compiuti dalle forze del (dis)ordine negli anni ‘90. Allora molti proprietari hanno iniziato a mettere in piedi milizie private per attaccare le comunità. Si stima che circa 1000 persone siano state assassinate da questi sicari, moltissime vittime erano proprio membri dell’MST. L’MST e i movimenti che portano avanti l’occupazione delle terre, sono visti come un problema serio per quanto riguarda gli investimenti nel settore agro-industriale brasiliano. Ma il mondo è cambiato da allora. I movimenti non combattono più contro milizie private, o cowboys assoldati da vecchi latifondisti; oggi la partita si gioca nel campo dei mercati finanziari e i giocatori sono avvocati, investitori e lobbisti…La terra, intesa in migliaia di ettari, è considerata oggi un bene rifugio e attrae su di sé l’interesse degli investitori dei vari mercati mondiali.

Per quanto riguarda gli afrodiscendenti, non tutti furono capaci di liberarsi dalla schiavitù, che fu abolita nel 1888 [il 13 maggio 1888, ndr]. Il governo imperiale, che l’aveva istituita, la abolì con la “lei áurea”; ovviamente cedette alle pressioni popolari per mantenere la propria posizione egemone, tant’è che era pure in procinto di emanare una riforma agraria per una più equa distribuzione delle terre. I ceti conservatori, le aristocrazie terriere (che non erano affatto contente dell’abolizione della schiavitù) e l’esercito, per paura di perdere i loro privilegi o anche solo un ettaro di terra, appoggiarono la borghesia che introdusse la Repubblica col colpo di stato militare [il 15 novembre 1889, Pedro II fu deposto ed esiliato in Europa, in seguito al colpo di Stato militare repubblicano guidato dal maresciallo Deodoro de Fonseca che divenne anche il primo presidente del Brasile, ndr]. Gli schiavi rimasti non sapevano dove andare…i quilombo subirono una massiccia repressione statale.

Dal debito col FMI al primo governo Lula

*La crisi finanziaria del Brasile negli anni ‘90 è stata causata dal deficit pubblico e dal deficit della bilancia commerciale.

Per attrarre investimenti esteri e riequilibrare la bilancia dei pagamenti, Cardoso decise di ancorare il cambio della valuta brasiliana, il real, al dollaro.

Nel 1998, visto che gli squilibri macroeconomici rimanevano, i grandi gruppi finanziari decisero di speculare contro il real.

Per difendere il tasso di cambio il governo scelse di ridurre i salari, aumentare i tassi d’interesse e i prezzi dei beni importati. Nonostante il massacro sociale dovuto a questa scelta, la situazione non cambiò.

Il governo brasiliano chiese allora, per difendere il cambio real-dollaro, un prestito al FMI. Il FMI in cambio del prestito impose le consuete politiche neoliberiste di privatizzazione, austerity e taglio della spesa sociale.

Oltre ad essere assolutamente inefficaci (l’anno successivo il real venne comunque svalutato) queste politiche determinarono enormi disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza con la maggior parte della popolazione resa poverissima e pochi ricchissimi. Attualmente il Brasile è all’ottavo posto al mondo per numero di miliardari: se ne contano 62. *(contributo: Fricche)

UN: Le ricette dell’FMI per l’America Latina non sono fallite solo per quanto concerne la stabilizzazione e lo sviluppo dei paesi interessati, tra cui il Brasile, ma hanno anche aumentato le tensioni sociali e la miseria delle grandi masse spoliate, accelerando il ritmo della privatizzazione economica e finanziaria, in virtù della libertà di commercio, della libertà di concorrenza e della libertà di movimento di capitali, in base ai criteri neoliberisti della scuola di Chicago. Ai tempi del debito col FMI, risanato nel 2005, com’era la situazione?

Gustavo: Noi andavamo alle manifestazioni contro il FMI beccandoci i lacrimogeni…Il debito estero è stato estinto nel 2005, quando il Brasile rimborsò i restanti 15,5 miliardi di dollari [in anticipo rispetto alla scadenza prevista nel 2006/7, ndr] e dal 2009 contribuisce al Fondo…Negli anni ‘90 c’erano le campagne per l’abolizione del debito dei paesi poveri, sostenute anche da alcuni nostri politici di sinistra. Per spiegare tutto ciò dobbiamo parlare di Lula. Tutti dicevano: Lula ha cancellato il debito, ha fatto una gran cosa! Non è proprio così…In realtà per pagare tutti gli interessi al FMI, sono state raddoppiate in 3 anni, dal 2002 al 2005, le esportazioni, essenzialmente di prodotti agricoli…[unitamente ad altre misure economiche come l’alto tasso di cambio del real, ndr].

Anziché investire in una riforma agraria seria [la riforma agraria del governo Lula ha interessato ufficialmente 237 mila famiglie stanziate su 16 milioni di ettari; in realtà, è cresciuta solo l’esportazione di commodities agricoli (su tutte la soia), coltivate su 60 milioni di ettari concentrati nei latifondi, raggiungendo la cifra di 42,1 miliardi di dollari. I conflitti agrari, soprattutto nella regione amazzonica, sono persino aumentati e il potere dei latifondisti è rimasto intatto, ndr], contrastare la distruzione della foresta amazzonica, investire nelle infrastrutture. Poi è vero, è riuscito, se non altro, a risanare il debito con il FMI…

UN: Il paese è rimasto povero, volete dire?

Linguiça/Gustavo: È cresciuto leggermente. Senza le ingerenze dei capitali esteri, il paese, la gente, è capace di cavarsela benissimo da sola. I governi precedenti hanno perseguito le politiche di austerity imposte dal grande capitale del Nord globale. La privatizzazione è stata il problema principale. Le politiche di austerity e privatizzazioni sono cominciate con il primo presidente eletto a suffragio diretto dopo 25 anni di dittatura, Fernando Collor de Mello [15 marzo 1990-29 dicembre 1992, deposto per corruzione dal Congresso Nazionale il 2 ottobre 1992. Nel 1991 organizzò insieme ai governi di Argentina, Uruguay e Paraguay il Mercato comune del Cono Sud (Merconsul o Merconsur), per facilitare il commercio nell’America meridionale, ndr]. Lula, invece, è una volpe. Ha foraggiato i capitalisti interni, i fazendeiros, i ricchi, ed è stato attento a lasciare qualche cosa ai poveri. Ha fatto dell‘assistenzialismo, in pratica, facendo emergere appena i ceti più poveri dalla condizione di povertà assoluta.

Negli anni ottanta, quando eravamo ancora sotto la dittatura militare, l’inflazione era altissima; anzi, c‘era l‘iperinflazione che raggiunse il suo picco col 6000% nel 1993. Dal 1979, con l’avvento alla presidenza del generale J.B. Figueiredo, e per tutti gli anni 80, comincia un falso processo di democraticizzazione, la cosiddetta transizione democratica. In realtà, fu la grave crisi economico-finanziaria, col venir meno dell‘appoggio internazionale al regime, che ha indotto i militari a ritirarsi gradualmente dalla scena politica [nel 1980-82 ci fu la recessione globale, dovuta in gran parte alla seconda crisi petrolifera del 1979 in seguito alla rivoluzione iraniana, ndr]. Nel 1985 fu designato presidente Tancredo Neves che col suo vice e di lì a poco suo successore, José Sarney [entrami esponenti della società civile, ndr], hanno reintrodotto nell’ordinamento brasiliano l‘elezione diretta del Presidente della Repubblica, la legalizzazione dei partiti politici, compreso il partito comunista, e il diritto di voto agli analfabeti. Contemporaneamente fu avviato un processo costituente che culminerà con la promulgazione nel 1988 della nuova costituzione federale, a tutt’oggi vigente.

A Collor de Mello succedette il suo vicepresidente, Itamar Franco [2 ottobre 1992-1 gennaio 1995, ndr] che proseguì nella politica economica di austerità e privatizzazioni. Nel 1995 arriva il “sociologo” e acerrimo nemico dei Sem terra, Fernando Henrique Cardoso [eletto per due mandati consecutivi, dal 1 gennaio 1995 al 1 gennaio 2003. Dopo Parigi ha insegnato anche in molte università americane, tra cui la Stanford University e a Berkeley in California, ndr], che realizzò un piano per ridurre il ruolo dello stato nell’economia e che per combattere l’iperinflazione introdusse una nuova moneta, il real. Una cosa non nuova: già nel 1986 il governo varò il “Piano Cruzado”, al fine di contenere l’inflazione. La nuova valuta aveva sostituito il secondo cruzeiro. Nel 1989 il Brasile dovette nuovamente cambiare introducendo il nuovo cruzado [a un tasso di 1000 cruzado per 1 cruzado nuovo, ndr]. La stabilità economica e politica, il contenimento dell’inflazione hanno dunque un prezzo che si chiama: privatizzazioni. Dietro ci sono ovviamente gli Stati Uniti. Il promoter che curò la campagna elettorale di Cardoso era un americano, di cui ora non ricordo il nome, già attivo nelle corse presidenziali in Bolivia. Insomma, Cardoso fece entrare i privati del Nord globale, non solo americani, ma anche europei.

Gustavo: “Il mio primo telefono cellulare era di Telefonica!” [la multinazionale delle telecomunicazioni spagnola con sede a Madrid. Prima della liberalizzazione del mercato Telecom nel 1997, era l’unico operatore telefonico in Spagna, ndr]. Poi ricordo quando entrò sul mercato Amigo Movie Star [il software per scaricare film, creare video, ndr] e insomma parecchie imprese e soggetti economici del Nord globale.

UN: Lo Stato di Minas Gerais [il cui nome significa proprio “miniere generali”, ndr] è lo Stato dei minerali già dai tempi dell’impero portoghese; oro, argento, ferro e altri metalli vengono scavati in miniere a cielo aperto e sono particolarmente devastanti per gli ecosistemi, le coltivazioni, i fiumi, per indigeni e contadini. Ci lavorano decine di migliaia di persone e nessuno sembra intenzionato a fermare un sistema altamente impattante che periodicamente produce disastri ambientali. In tutto il Brasile ci sono 4 mila miniere grandemente nocive e, secondo il Ministero delle Miniere e dell’Energia, 205 contengono rifiuti minerali tossici a rischio, perché i muraglioni dei bacini di raccolta sono fatti con materiali scadenti. Negli ultimi anni, la Vale SA (controllata oggi dalla canadese INCO) è stata responsabile di due dei maggiori disastri ambientali della storia brasiliana. Dapprima il crollo di una diga mineraria gestita insieme alla compagnia australiana BHP Billiton a Mariana, proprio nel Minas Gerais, a novembre 2015, che ha provocato 19 morti, distrutto centinaia di case e inquinato l’ecosistema del fiume São Francisco, dove vivono 5 milioni di abitanti. Il 25 gennaio 2019 avviene il crollo di un’altra diga mineraria di ferro a Brumadinho, ancora nel Minas Gerais, che ha causato la morte di 272 persone (molte delle quali erano minatori o dipendenti della Vale SA) e la contaminazione di vaste aree con fanghi rossi altamente inquinanti; i detriti hanno invaso il letto del fiume Paraoeba e sono finiti in una grande diga posta a 220 km di distanza dal luogo dell’incidente, coinvolgendo 48 municipi e oltre 1,3 milioni di persone. Per quest’ultimo incidente, i magistrati hanno rinviato a giudizio per omicidio e crimini ambientali 16 persone, tra cui l’ex CEO della Vale SA. Il gigante minerario ha accettato di pagare un risarcimento di 7 miliardi di dollari (4 febbraio 2021).

Gustavo/Linguiça: La Vale S.A. è la compagnia mineraria che fino al 2007 si chiamava “Companhia Vale do Rio Doce” ed era pubblica. Fu svenduta ai privati a partire dagli anni 90 al “prezzo delle banane” [“to banana prices”, dice Gustavo, ndr] e oggi è il più grande produttore ed esportatore mondiale di minerale di ferro. Fu costituita dal governo brasiliano per mantenere in mano pubblica il controllo delle risorse minerarie e per rifornire le aziende siderurgiche statali. Oggi è una Società per Azioni ed è quotata in borsa; è in mano a società cinesi, americane ecc. La Vale do Rio Doce, prima di venir privatizzata, perlomeno garantiva una certa stabilità ai lavoratori (comunque sfruttati).

Le miniere sono concentrate essenzialmente nello Stato del Minas Gerais, appunto [nel sud-est del Paese, ndr], e in quello del Parà [nell’area nord-orientale del Paese, ndr]. Lo stato incassò tanto denaro dalle privatizzazioni, ma non seppe poi convertirlo in altrettanti investimenti mirati per il benessere comune. La destra liberale non era fascista come Bolsonaro, fece delle riforme per il cosiddetto Welfare, senza che queste migliorassero davvero le condizioni dei lavoratori. Così il Brasile decise di votare per Lula alla fine del 2002 [emigrato a San Paolo ancora piccolo, Luiz Inácio Lula da Silva lavorò dapprima come lustrascarpe e venditore di arachidi. Poi entrò in fabbrica nello stabilimento Volkswagen di San Bernardo do Campo, alla periferia di San Paolo, dove da operaio diventò leader sindacale. Nel 1975 venne eletto leader del potente sindacato dei metalmeccanici e nel 1980 fondò il PT, partito dei lavoratori, la prima forza politica di sinistra in Brasile dopo la dittatura militare (1964-1980), ndr].

Due compagni della redazione (con un contributo di Fricche)

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