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Dittatura sanitaria? No, dittatura del capitale

Dittatura sanitaria? No, dittatura del capitale

Appare evidente come il governo italiano abbia lasciato passare l’intera estate senza sostanzialmente prepararsi alla “seconda ondata”, ampiamente prevedibile in quanto statisticamente estremamente probabile e che è restato sostanzialmente inerte nonostante i continui avvisi della comunità scientifica che la paventavano in continuazione. È spontaneo focalizzarsi soprattutto sulla nostra condizione nazionale ma, a ben vedere, la cosa va ben oltre il governo con cui ritroviamo a che fare direttamente.

Infatti, considerando come tali solo gli Stati indipendenti e non – come ad esempio quelli statunitensi – sono in totale 208 gli Stati del mondo:[1] ebbene, a quanto ci risulta, nessuno dei loro governi si è particolarmente distinto da quello italiano. Nessuno, insomma, ha operato nella direzione di ampliare significativamente, quantitativamente e qualitativamente il sistema sanitario, i trasporti pubblici, la sicurezza sui luoghi di lavoro privati e quant’altro serviva ad affrontare al meglio il prevedibilissimo ritorno del COVID-19, sia nell’ottica di diminuirne l’intensità infettiva sia nell’ottica di diminuirne il tasso di letalità.

Facciamo allora una sorta di esperimento mentale: supponiamo che il 21 giugno, presso i luoghi deputati – legali o illegali secondo le legislazioni dei singoli paesi – un qualunque abitante del pianeta si fosse presentato a scommettere che nemmeno uno dei 208 governi mondiali avrebbe agito nel senso della sostanziale messa in atto dei modelli di prevenzione prima descritti. Personalmente chi scrive non ha mai fatto una scommessa in termini monetari ma, da studioso di calcolo delle probabilità, sa bene che molto probabilmente una simile scommessa sarebbe stata difficilmente accettata. Infatti, nonostante l’apparente improbabilità di vittoria ed anzi proprio per questa, il “banco”, dovendo accettarla con un altissimo tasso di vincita in rapporto ai soldi scommessi, avrebbe preferito non rischiare di dover sborsare una enorme somma di fronte ad un introito molto ridotto in caso di sconfitta.

Avrebbero fatto benissimo, dal loro punto di vista, perché è esattamente quello che è successo. Ora sempre il calcolo delle probabilità ci dice che, quando un evento all’apparenza così improbabile si verifica, i singoli eventi quasi sicuramente non sono per niente indipendenti tra di loro ma, al contrario, esiste un fattore condizionante comune che, se considerato, lo avrebbe reso altamente prevedibile.[2] La domanda da porsi allora è: quale può essere stato questo fattore comune condizionante la sostanziale unanimità delle politiche a livello mondiale?

A questo punto conviene tornare indietro con la memoria di trent’anni circa, a quegli anni novanta del secolo scorso in cui si iniziarono a discutere – poi purtroppo ad approvare e, soprattutto, mettere in atto – i famigerati “accordi di libero commercio”. Come ben sa chiunque di noi si sia interessato della faccenda in quanto coinvolto dal movimento contro la globalizzazione capitalistica di quegli anni, quegli accordi prevedevano una specifica politica di indirizzo anche sullo “stato sociale” e, di conseguenza, sui servizi pubblici e sulle condizioni di lavoro. In quegli anni Umanità Nova ha dedicato numerosi articoli alla questione ma, poiché gli anni sono passati, conviene rinfrescare un minimo la memoria.

Con la costituzione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organization – WTO) il 15 aprile 1994 tramite gli accordi di Marrakech[3] che trasformavano il precedente Accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio (General Agreement on Tariffs and Trade – GATT), del 1947 in un’organizzazione internazionale dotata di personalità giuridica che coinvolge 158 Stati, si sono susseguiti un’enorme numero di “accordi di libero scambio” che, alla fine, hanno coinvolto la pressoché totalità degli stati mondiali. Accordi diversi che hanno però, fin dalla costituzione del WTO nel 1994, un punto in comune, che costituisce la loro vera essenza: la “salvaguardia dei legittimi interessi degli investitori” o formule analoghe.

Esemplifichiamo il senso di queste formule, che venne denunciato ampiamente dal movimento contro la globalizzazione capitalistica. Io sono un investitore che decide di operare all’interno di un determinato paese – un altro o talvolta anche il proprio – date determinate condizioni legislative, sociali e contestuali: questi accordi mi tutelano nel senso che queste condizioni non possono essere mutate dai governi a mio sfavore, andando quindi contro i miei “legittimi interessi” e, contro questa eventualità, sono previste specifiche sanzioni internazionali. Citiamo qui solo uno dei più recenti di questi accordi, che riguardano direttamente proprio il settore sanitario: il Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) che ha come obiettivo quello di integrare i mercati di Unione Europea e Stati Uniti d’America, riducendo i dazi doganali e rimuovendo le “barriere non tariffarie”, insomma le differenze in regolamenti tecnici, norme e procedure di omologazione, standard applicati ai prodotti, regole sanitarie e fitosanitarie. In caso di deviazioni dall’accordo in questione, gli investitori potranno citare in giudizio i governi che, se riconosciuti colpevoli, saranno obbligati a pagare forti sanzioni pecuniarie.[4]

Esemplifichiamo ancora. Io ho deciso di investire, date le condizioni presenti in un determinato paese, nei settori che citavamo all’inizio: sanità, trasporti, aziende di vario tipo. Cosa accade se il governo di quel paese decide di migliorare qualitativamente e quantitativamente il servizio sanitario, quello dei trasporti e di inserire obbligatorie e costose misure di prevenzione sanitaria nelle aziende? I miei investimenti verranno condizionati negativamente, in altre parole quel determinato governo ha agito contro i miei “legittimi interessi” ed io potrò far riferimento alle prassi sanzionatorie degli accordi internazionali che quello stesso governo ha sottoscritto.

A tutto ciò va aggiunto un piccolo ma non insignificante particolare: questi accordi, per usare un eufemismo, non sono del tutto palesi. Spesso ciò che conosciamo pubblicamente è solo la facciata ideologica, i cui articoli rimandano a specifici accordi applicativi e, questi ultimi molto raramente, per non dire mai, sono resi pubblici. I livelli sanzionatori sono assai spesso parte di questi “sotto accordi” e questo mi fa venire in mente un trafiletto in prima pagina del primissimo numero di questo settimanale, un secolo fa, che denunciava gli accordi militari segreti che si continuavano a fare nonostante la promessa che si sarebbe abbandonata questa pratica. Infatti, se oggi gli storici possono studiare in dettaglio gli accordi tra le grandi potenze di un secolo fa che furono una delle cause scatenanti la Prima Guerra Mondiale lo si deve solo ad un fatto: i rivoluzionari russi che ne erano venuti in possesso li resero pubblici. Altrimenti non ne sapremmo quasi nulla e, temo, la situazione riguardo i vari “accordi di libero scambio” contemporanei sia molto simile e non ne sapremo quasi nulla almeno fino ad un altra rivoluzione che apra gli archivi delle cancellerie mondiali…

Tornando al punto principale, quanto questa cosa ha condizionato l’unanime operato dei governi mondiali di cui parlavamo all’inizio? È questo il fattore unificante non considerato che ha sostanzialmente uniformato le loro politiche? Ovviamente non siamo stati presenti alle riunioni in merito dei 208 governi mondiali per cui la certezza assoluta non ce l’abbiamo però, onestamente, non ci viene in mente altro salvo il verificarsi casuale di una notevole improbabilità statistica. A rafforzare poi questa impressione ci vengono in mente due episodi nostrani che danno l’idea, il primo, di quanto pesi il ruolo di sanzioni economiche nei rapporti tra governi ed aziende, il secondo, di quanto pesi l’interiorizzazione ideologica di una sudditanza dei governi nei confronti di un’azienda persino in mancanza della minaccia di sanzioni.

Il primo è il caso della tragedia del Ponte Morandi. Di fronte allo sdegno popolare il governo di allora – compresi quelli che all’epoca avevano approvato gli accordi di concessione – ha minacciato fuoco e fiamme contro l’azienda concessionaria; poi, di fronte alla lettera degli accordi capestro che erano stati firmati che prevedevano sanzioni salatissime in caso di revoca per un qualsivoglia motivo, ha fatto una repentina marcia indietro nonostante le continue figuracce in merito cui, al massimo, si cerca di mettere qualche pezza a colori che non riesce a nascondere la sostanza della cosa.

Il secondo è il caso del risultato a tavolino della partita Juventus-Napoli, che non si era potuta giocare perché l’ASL di Napoli aveva messo in quarantena la squadra napoletana. Il giudice sportivo, applicando alla lettera il regolamento sportivo e senza alcuna considerazione del contesto oggettivo, non solo ha dato la vittoria a tavolino alla Juventus ma ha anche affibbiato al Napoli un punto extra di penalizzazione. Nonostante il fatto che si trattasse di un semplice regolamento associativo evidentemente subordinato a disposizioni legislative e sanitarie nazionali che altrettanto evidentemente la giustizia sportiva aveva deciso di ritenere assolutamente ininfluente, di fronte ad una palese messa in mora del suo operato il governo italiano non ha mosso un dito e nemmeno la bocca, se è per questo. Ah, già, oramai anche le squadre sportive sono aziende…

Non so perché ma ogni volta che qualcuno mi parla di una “dittatura sanitaria” divento rapidamente antipatico: se proprio sono di buon umore mi limito a rispondergli “magari… è molto ma molto peggio di così”. Sarà forse perché ho l’impressione che siamo di fronte ad una dittatura del capitalismo internazionale e che parlare di una dittatura sanitaria, di là della buona fede dei singoli, nasconde la subordinazione delle nostre vite agli interessi dei potenti del mondo? Se davvero fossimo di fronte ad una “dittatura sanitaria” il comportamento dei governi sarebbe stato l’esatto inverso di quello che stiamo tutti lamentando: come abbiamo argomentato finora, è assai probabile, invece, che siamo di fronte ad una dittatura dei “legittimi interessi” dell’1% dell’umanità nascosta dietro l’affermazione infondata di seguire gli indirizzi di politiche sanitarie volte al benessere collettivo.

Enrico Voccia

NOTE

[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Stati_del_mondo

[2] https://www.youmath.it/lezioni/probabilita/probabilita-discreta.html . In generale, il calcolo delle probabilità parte dal presupposto che gli eventi supposti indipendenti non siano appunto “truccati” – si pensi ad esempio ad un dado appesantito o ad un urna in cui siano stati messi più numeri uguali. Ciononostante, esso può aiutarci anche nell’individuare situazioni “truccate”: come dicevamo prima, quando ci troviamo di fronte ad un’enorme improbabilità che si verifica – in questo caso è come se 208 giocatori avessero tutti giocato a testa e croce e fosse uscito a tutti “testa” – in un caso del genere, è più che ragionevole presumere che ci sia in atto un fattore nascosto condizionante tutti gli eventi – continuando nell’esempio precedente, ad esempio, una moneta truccata.

[3] https://www.eticapa.it/eticapa/organizzazione-mondiale-del-commercio-wto-accordo-di-marrakech/?cn-reloaded=1

[4] https://it.wikipedia.org/wiki/TTIP_in_ambito_sanitario

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