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Alcune considerazioni su repressione, green pass e libertà di manifestare

Alcune considerazioni su repressione, green pass e libertà di manifestare

Guardando alle vicende legate alle proteste contro l’introduzione del green pass e alle recenti evoluzioni a livello nazionale e cittadino, ci pare importante provare a mettere sul piatto alcuni punti.

Quanto segue non ha l’ambizione di essere un’analisi a tutto tondo, nè tantomeno una presa di posizione sulle mobilitazioni in sé. Più prosaicamente, vorremmo puntare l’attenzione su alcuni elementi la cui rilevanza e le cui implicazioni crediamo non possano essere ignorate, a prescindere dalle valutazioni sul movimento, per quanto lontane tra loro queste possano essere.

Nelle ultime settimane abbiamo visto un rapido innalzamento del livello di arbitrarietà della repressione istituzionale. Abbiamo assistito al conferimento di fogli di via dalla città sulla sola base dell’appartenenza politica; abbiamo visto emettere un daspo di un anno dalla capitale nei confronti dell’organizzatore di una manifestazione non autorizzata innocua – per quanto “folkloristica” e dalla dubbia utilità; è arrivato poi il divieto di manifestazione in una piazza, piazza Unità d’Italia, utilizzata esclusivamente come bel salotto per le navi da crociera, le cerimonie istituzionali e religiose, ma che non può farsi teatro del malcontento di chi abita le strade della città, per arrivare all’emanazione di un’ordinanza da parte del sindaco di Trieste Roberto Dipiazza che vorrebbe imporre ai promotori di una qualsiasi manifestazione la nomina di personale addetto al controllo del rispetto delle norme covid, non solo deresponsabilizzando i partecipanti alle manifestazioni stesse, ma lavandosi le mani da un compito che spetterebbe casomai alle forze del disordine. All’atto pratico, ci pare evidente che quest’ultima sia un’ordinanza nei fatti inapplicabile nella sua letterarietà: come potrebbe prevedere chi organizza una manifestazione con tale precisione il numero delle persone partecipanti? Quale autorità formale (che di una formale responsabilità si tratterebbe) potrebbe mettere in campo un eventuale “steward” qualora non venisse ascoltato? Ma soprattutto – se ridicolo dev’essere, che venga portato fino in fondo – ad ogni “pettorina gialla” verrebbero associate 100 specifiche persone? Da individuarsi come? Palette e numerini come i croceristi in libera uscita nelle città? E chi deve andare magari al bagno? Affida temporaneamente il suo gregge alla pettorina vicina? Il grottesco la fa da padrone.

Ma, sebbene sia ridicola, sappiamo bene che il peso di questa ordinanza può invece dispiegarsi pesantemente ex-post, nel comminare sanzioni anche molto dure a chi sceglie di esporsi maggiormente.

Ci preme poi ricordare che queste disposizioni, sebbene abbiano come esplicito destinatario chi si oppone al certificato verde, nei fatti coinvolgono qualsiasi forma di protesta organizzata: generalizzata infatti è l’interdizione a piazza grande, così come l’ordinanza comunale può essere applicata a qualsiasi mobilitazione. Sarebbe davvero miope non riconoscerlo – o non riconoscerne le precise responsabilità istituzionali – anche da parte di quanti si pongono in netto contrasto rispetto alle mobilitazioni in essere.

Crediamo che il clima di repressione in costante aumento che sta venendo applicato nei confronti delle proteste contro il green pass adesso, costituisca un ulteriore tassello verso l’uso sistematico e sempre più esasperato di restrizioni e vincoli alla possibilità di manifestare nel futuro. E che supportare l’idea che “questi hanno manifestato fin troppo” o che “oddio signora, i danni all’economia” contribuisca a delegittimare ogni forma non immateriale di protesta, al di là del contenuto della stessa. Insomma, la proverbiale martellata in posti tendenzialmente più utili per altro.

Sottolineiamo tutto ciò anche perchè ci preoccupa vedere spesso riprodotta anche all’interno dei movimenti l’estrema – e grave – polarizzazione dell’opinione pubblica, facilitata dai mezzi informativi mainstream e dalla comunicazione istituzionale che, confermando la funzione di distrazione di massa del green pass, ha portato allo schieramento di due fazioni opposte tra chi si oppone al provvedimento e chi invece lo sostiene, entrambe le parti mosse con tutte le loro forze e in un rapporto di odio reciproco. Vengono meno lo spazio per il dubbio e per il confronto e la complessità si riduce ad un punto unico rispetto al quale non si può che avere una posizione manichea, prendendosi per forza tutto-il-pacchetto, con atteggiamento spesso acritico e fideistico. Da una parte chi supporta in toto le norme governative, anche quando politicamente insostenibili; dall’altra lo spazio per il rifiuto di ogni metodo scientifico o declinazione non strettamente egoriferita del concetto di libertà. Tutto-il-pacchetto, appunto; noi riteniamo siano entrambe derive da scongiurare verso un approccio critico alla realtà.

E la realtà è bene non perderla di vista: una sindemia che si protrae oramai da quasi due anni, sebbene non si esca dalla sua narrazione emergenziale. In questo quadro, Confindustria & Soci dettano le linee, priorità il rilancio economico. Ma del resto, giustamente, a ognuno il suo mestiere e poco abbiamo da stupirci. Più indicativo ci pare che il mestiere del Premier e dell’attuale Governo in carica sia sostanzialmente quello di fare da megafono/stenditore di tappeti rossi alle richieste padronali. Nulla di nuovo sotto il sole, ma forse mai così palese. Non usciamo dallo “stato di emergenza”, ma il Pnrr in tutto investe tranne che in servizi e sanità. Perfino in un’ovovia.

E’ in questo quadro che quella che potrebbe essere una comprensibile preoccupazione per la diffidenza e il rifiuto di una profilassi sanitaria da parte di fette comunque significative di popolazione, si trasforma in una sterile caccia all’untore.

Valgano come esempio, fra i tanti possibili, le dichiarazioni spregevoli del presidente di Confindustria Alto Adriatico, Michelangelo Agrusti che, allineandosi alla comunicazione governativa riguardo alla pandemia riportata sul piano bellico, è arrivato a paragonare i non vaccinati ai disertori – esempio non solo inappropriato, ma oltretutto utilizzato per richiamare alla soppressione riservata in tempi di guerra nei confronti di questi ultimi.

Inoltre siamo non troppo sorpresi, ma ugualmente e ulteriormente allarmati, dal tempismo del ritorno in auge del sistema di tracciamento dei contagi da covid-19. Abbiamo passato molti mesi in situazioni di aumento e calo variabili dei contagi senza che al tracciamento dei contatti venisse dato il giusto peso, nei pochi casi in cui veniva applicato. Tuttora vale prevalentemente il tracciamento fai-da-te; nulla di male – non saremo certo noi a biasimare l’autogestione – peccato che lasci alle singole persone l’onere, anche finanziario, del tampone e soprattutto non offra strumento alcuno a chi lavora per attivarsi con il doveroso isolamento precauzionale. Ora, a seguito delle manifestazioni contro il green pass, leggiamo dai giornali che il sistema sanitario sembra essersi svegliato e aver ricominciato a ricercare i contatti dei positivi in maniera serrata ed efficace; ci domandiamo perché si sia dovuto aspettare che i dati sulla diffusione del virus virassero sulla diffusione del covid-19 in queste manifestazioni. Soprattutto, ci auspichiamo che la necessità di un serio tracciamento non torni nel dimenticatoio se non funzionale a ragioni meramente politiche. Per questo condanniamo l’uso strumentale che del monitoraggio dei contagi è stato –  e viene tuttora  – fatto, sottolineando la necessità di un controllo effettivo costante, lontano dalla convenienza di fattori esterni alla medicina, quali le tensioni politiche. Che, davvero, “Trieste città della scienza” ci fa un’assai brutta figura.

Gruppo Anarchico Germinal

Trieste, 8 novembre 2021

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