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La Brexit ed i lavoratori

La Brexit ed i lavoratori

Abbiamo già scritto varie cose sul referendum del 2016 riguardante il processo di uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Man mano che il tempo stringe, proviamo a gettare uno sguardo su ciò che attualmente questa situazione incerta significa per i lavoratori. Prima di entrare nello specifico, prendiamo in considerazione alcuni punti più generali sulla Brexit. Nell’articolo di Organize 97 (Inverno 2016) abbiamo scritto:

Molto spazio mediatico è stato dedicato a speculare su ciò che significa la Brexit. C’è persino qualche dubbio sul fatto che, nonostante le pesanti affermazioni di May, la Brexit andrà avanti. Di sicuro si stanno prendendo un po’ di tempo. Dopo tutto, le frazioni chiave della classe dirigente britannica non vogliono che la Gran Bretagna lasci l’UE. Vogliono manodopera a basso costo mentre il settore finanziario si preoccupato di perdere il ruolo centrale nei mercati finanziari internazionali. Inoltre, la risposta scozzese al risultato, che potrebbe portare all’indipendenza, sarebbe un duro colpo per l’azienda U.K. Una cosa è certa: la classe lavoratrice continuerà a soffrire per i bassi salari e per gli alti costi abitativi, per le condizioni di lavoro precarie e di insicurezza e per i tagli ai servizi pubblici e allo stato sociale. Non pensiamo che l’uscita offrirà opportunità per la creazione di una ‘Gran Bretagna socialista’ come hanno affermato alcuni sostenitori di sinistra sull’uscita dall’UE. Ci potrebbero essere meno scambi con l’UE, ma ce ne saranno altri, ad esempio con la Cina e l’India, che subentreranno. Abbiamo già visto che all’incontro di maggio con lo stato cinese e il sindaco di Londra Khan, questi ha nominato un milionario indiano come suo consigliere per l’open-up di Londra. A pochi giorni dal referendum, un’azienda giapponese ha rilevato un’azienda britannica . Quindi stiamo in realtà sostituendo un padrone con un altro. Ciò che conta sono i motivi per cui la maggior parte delle persone ha votato per l’uscita: l’immigrazione. Nell’UE esiste la libera circolazione dei lavoratori a vantaggio del capitale, ma almeno c’è la libera circolazione. Lasciare l’UE può solo voler dire che ci saranno pressioni per ridurre l’immigrazione. L’aumento degli attacchi contro i migranti dall’Europa orientale è segno della mentalità di alcuni elementi di estrema destra e razzisti presenti nella classe operaia. Questa xenofobia rappresenta un grosso ostacolo alla costruzione di un movimento rivoluzionario efficace della classe operaia. “

Se a ciò aggiungiamo la questione centrale del confine Irlandese ed al conseguente grattacapo per i politici e le persone che vivono ai due lati della frontiera, la situazione non è affatto mutata da quella che la nostra analisi descriveva, nonostante le negoziazioni “colpo su colpo”.

L’impatto della Brexit sui lavoratori

La battaglia sulla Brexit su basi sovraniste e con una grande dose di nazionalismo inglese, va sempre più a legittimare la discriminazione nei confronti dei lavoratori stranieri e agisce in direzione dell’erosione dei diritti di tali lavoratori in Gran Bretagna, più di quanto il “Remain” (il restare nell’UE) farebbe. Questo perché la legislazione europea offre alcune protezioni ai lavoratori migranti all’interno dell’UE e include anche una certa tutela dei diritti umani per le persone non appartenenti all’UE, così come comprende la “libertà di movimento” offerta dal trattato nello spazio Schengen.

Certo, l’Unione europea è un’istituzione capitalista che lavora a favore dei padroni per sfruttare e i lavoratori in maniera efficiente. Il capitalismo ama la libera circolazione delle persone affinché che la forza lavoro possa andare laddove il lavoro è a basso costo. A causa dell’ossessione per la sovranità e per l’identità nazionale, la questione migratoria ha dominato il discorso della Brexit. Tuttavia, i responsabili dell’economia capitalista che in Gran Bretagna si è sviluppata verso un’industria basata sulla conoscenza (quarto settore), vogliono ancora gestire la forza lavoro necessaria per sostenere l’economia. Allo stesso tempo, mentre esercitano forti pressioni sui lavoratori a bassa qualifica e meno istruzione “all’interno”, i padroni continueranno a guardare globalmente ai lavoratori in grado di soddisfare i bisogni dell’economia moderna. Idealmente vogliono persone che non avranno bisogno di troppa assistenza sanitaria, che possano badare alla propria famiglia con quello che guadagnano, che paghino le tasse, siano essi inglesi o meno. Brexit non significa in alcun modo tornare indietro a un’economia meno basata sulla conoscenza.

Oltre che nell’industria, continuerà a esistere nei servizi una vera e propria crisi, in particolare nel settore della sanità e dell’assistenza sociale, perché lo stato neoliberista e gli affaristi non vogliono più pagare per l’assistenza domiciliare ai malati, ai disabili o agli anziani che hanno maggiori esigenze mediche e che sono cioè meno produttivi. Lo stato (specialmente sotto i conservatori) non è disposto a erogare ulteriori fondi agli enti locali e potrebbe essere più che disposto a ulteriori tagli ai servizi, lasciando le persone a cavarsela da sole, utilizzando tutto ciò come pretesto per ulteriori proposte di privatizzazione. Il controllo globale della forza lavoro include il trasferimento di persone dall’estero con ruoli maggiormente precari – legate al datore di lavoro con la paura di perdere lo status di residenza o dei periodi di lavoro controllati – cosa che la Brexit renderà ancor più facile.

I lavoratori extracomunitari sono già vincolati al proprio datore di lavoro a meno che non riescano a trovare un altro lavoro rapidamente e facilmente. Questa è stata parte importante della lamentela avvenuta alla raffineria di petrolio di Fawley (la lotta del 2009 che ha portato a Gordon Brown spesso erroneamente a sostenere slogan tipo “Lavori britannici per lavoratori britannici”) visto che i lavoratori italiani erano essenzialmente a contratto nonostante fossero europei, tenuti sul posto con paghe inferiori.

Anche se la Gran Bretagna rimane in Europa, ci sarebbe ancora la continua minaccia di società multinazionali (ad esempio di proprietà americana) invitate a gestire il NHS (Servizio Sanitario Nazionale) e altri servizi. Con la Brexit con relativo accordo , e anche con l’opzione “nessun accordo”, questo può semplicemente voler dire che le società europee potranno fare altrettanto, con condizioni fiscali favorevoli se stanno al gioco e non insistono sui diritti dei lavoratori, oltre a essere ammesse ad operare nel Regno Unito. Alcuni dei settori che sarebbero senza dubbio interessati riguarderebbero l’ edilizia, energia, IT, ricerca, istruzione, così come i fornitori di assistenza sanitaria. E’ un gioco d’azzardo anche se sarà necessario rendere le retribuzioni abbastanza allettanti in modo che valga la pena per qualcuno lavorare nel Regno Unito, relativamente alle opportunità di lavoro nel paese di origine del lavoratore o a quelle di un altro paese dell’UE dove avrebbe il diritto di stabilirsi. Gran parte dei ragionamenti di cui sopra dipenderanno dal fatto che la Gran Bretagna resti o meno nell’Unione doganale, poiché ciò influenzerà il modo in cui le merci si spostano e questo a sua volta influenzerà le imprese relativamente a dove necessitano che i lavoratori risiedano per ottenere maggiori profitti. Dipenderà anche da quanto liberamente l’UE permetterà ai suoi stati membri di commerciare con la Gran Bretagna dopo la Brexit.

D’altro canto, le multinazionali con sede in Gran Bretagna e le società di proprietà britannica non esiteranno a trasferirsi all’estero, se questo risulta più vantaggioso. Persino piccole compagnie di proprietà britannica operano già all’estero. Quando le aziende americane come Motorola abbandonarono le loro linee di produzione in Messico per trasferirsi in Asia, le aziende britanniche si trasferirono in Messico rapidamente per rilevare la fabbrica e la forza lavoro locale qualificata – tale era la flessibilità consentita dalla globalizzazione. Le aziende britanniche con il sostegno dello stato britannico, potrebbero decidere di trasferire alcune o tutte le loro produzioni in Europa se redditizie e se autorizzate a farlo.

Lavoratori migranti

Complessivamente, i migranti europei costituiscono il 5% della popolazione in Inghilterra e si stima che 3,5-3,8 milioni di cittadini dell’UE nel Regno Unito saranno tenuti a presentare domanda per lo status post-Brexit. Attualmente per i lavoratori dell’UE in Gran Bretagna c’è enorme incertezza sullo status di residenti in quanto non è chiaro come e se gli sarà permesso di restare dopo la Brexit. La situazione per i migranti extracomunitari è, ancora una volta, istruttiva. I lavoratori extracomunitari possono generalmente ottenere un visto per rimanere nel Regno Unito per un massimo di 6 mesi. Tuttavia, le persone provenienti da paesi non UE stanno già facendo scelte difficili se già hanno il permesso di restare e lavorare per più tempo, ad esempio fanno ore straordinarie per raggiungere la soglia salariale necessaria (che è una soglia più alta) a continuare a lavorare nel Regno Unito da soli o con la famiglia. Inoltre, probabilmente a molti cittadini britannici non è noto che la soglia minima di guadagno annuale per i lavoratori non UE è cresciuta sensibilmente nel 2016 : da £ 25mila sterline a 35mila annue, inducendo molti lavoratori statunitensi e australiani a partire (come riportato dai media all’epoca), soglia che è stata successivamente abbassata a £ 30k nel 2017. È molto probabile che il governo gestirà regole molto simili dopo la Brexit, cosa molto rischiosa per i lavoratori a basso reddito.

L’organismo che ha formulato le raccomandazioni più dettagliate sui lavoratori dello Spazio economico europeo che si sono recati nel Regno Unito dopo la Brexit, il Comitato consultivo sulla migrazione (MAC), ha pubblicato un rapporto nel settembre 2018, le cui raccomandazioni non sono sostanzialmente state influenzate dall’ultimo “accordo” sulla Brexit di maggio.

La linea guida del rapporto MAC era: “Nessun accesso preferenziale” per i cittadini del SEE (Spazio Economico Europeo) dopo la Brexit (riformulato in maniera edulcorata da Theresa May nel novembre 2018 come il mettere un freno ai migranti UE che “saltano la fila” rispetto ai lavoratori dall’Australia o dall’India). Sono stati anche raggruppati nello stesso schema lavoratori di diverse professioni e livelli di competenza, eccetto che per un probabile piano separato per i lavoratori agricoli stagionali. Apparentemente, eventuali carenze di lavoratori a bassa qualifica saranno colmate da migrazioni familiari legate ad altri lavoratori (ad esempio i coniugi) e ad un programma di mobilità giovanile (YMS) ampliato (che consente ai giovani di venire nel Regno Unito per 2 anni di vacanza lavorativa dai paesi indicati dal rapporto) che però sembra insoddisfacente nella pratica poiché è noto che molti migranti YMS ottengono lavori più qualificati anche se temporanei. Quindi il cambiamento principale post Brexit riguarda la categoria dei lavoratori sponsorizzati “Tier 2” [1] includendo lavoratori europei e non europei con la rimozione del tetto del numero annuale di visti che attualmente è di 20.700 per persone con livello salariale di £ 30mila summenzionato (tetto che che salirà a £ 60.000), più alcuni altri emendamenti. Si tratta appunto dei lavoratori sotto contratto sopra citati e questa raccomandazione metterebbe i lavoratori migranti con maggiori competenze nella stessa barca, una volta persa la libertà di movimento nello SEE. Tuttavia, per placare la lobby anti-immigrazione, May ha successivamente suggerito che i visti per i lavoratori meno qualificati potrebbero essere limitati a 11 mesi con restrizioni sui familiari, agendo così per prevenire o scoraggiare il reinsediamento. Un altro sviluppo recente riguarda un progetto pilota lanciato dal governo nel novembre 2018, incentrato sulle università, sulla sanità e sull’assistenza sociale, utilizzato per definire meglio la portata del compito, come amministrare lo schema e per accelerare alcuni aspetti chiave rispetto a figure lavorative che lo stato non vuole perdere. Questi sono già posti di lavoro con molti lavoratori precari e / o mobili. Il 16% dei ricercatori universitari proviene da altri stati dell’UE e il 23% del personale accademico in biologia, matematica e fisica sono cittadini dell’UE. Inoltre, gli immigrati dell’UE rappresentano complessivamente circa il 5% del personale dell’NHS inglese, il 10% registrati come medici e il 4% registrati come infermieri. Tuttavia, una critica importante riguarda lo schema pilota che comprendeva solo il lavoratore e non i familiari, prestando il fianco a a critiche da parte dei segretari sanitari di Galles e Scozia, oltre che da parte dei sindacati che hanno protestato contro la tassa di £ 65 chiedendo ai datori di lavoro di pagarla al posto del lavoratore, in modo tale che questa sia già coperta.

Lavoratori britannici

I lavoratori che sono cittadini britannici dovranno affrontare continue pressioni economiche dovute all’austerità come già avviene ora ma ancor peggio se l’economia ristagna. Inoltre ci sono numerosi problemi sul posto di lavoro legati alle questioni di genere create dalla Brexit. Sebbene inserita nella legge sulle pari opportunità del 2010, la parità di retribuzione per le donne deriva dal trattato di Roma del 1957. I diritti dei lavoratori a tempo parziale (pensioni, diritti di congedo parentale) e le tutele per le lavoratrici incinte provengono anch’esse dall’UE. L’imposizione delle tasse del tribunale del lavoro è stata combattuta dall’Unison (sindacato dei lavoratori pubblici) nel 2013 sulla base del fatto che è discriminatoria poiché la maggioranza dei lavoratori a bassa retribuzione sono donne. Dopo la Brexit, è del tutto possibile che il governo britannico tenti di modificare la legge per interessi economici. Inoltre, il governo ha già indicato che le donne potrebbero aver bisogno di scegliere di stare a casa al fine di prendersi cura dei parenti anziani dopo la Brexit se c’è carenza di personale per l’ assistenza sociale! Questo tipo di dichiarazioni da parte del Ministero della Salute nell’agosto 2018, dimostra come il controllo statale è già pronto qualora necessario. Anche se non sappiamo ancora cosa succederà, è chiaro che la Brexit comporta gravi conseguenze per i lavoratori.

La situazione dei lavoratori meno retribuiti che potrebbero prendere in considerazione l’idea di venire in Gran Bretagna dopo la rottura con l’UE appare particolarmente grave ad uno sguardo attento e costante sui livelli salariali e sui tempi di lavoro.

È probabile che lavoratori con alta retribuzione siano maggiormente legati ai loro datori di lavoro rischiando di perdere la residenza se il lavoro finisce, per loro quindi intraprendere azioni di protesta sarà più rischioso. Internamente, è probabile che le donne siano influenzate negativamente e la legislazione sull’uguaglianza di genere potrebbe essere messa in discussione.

Sebbene sia una congettura, sembra difficile capire come lo stato controllerà la migrazione a questi livelli di complessità (come per i visti di lavoro inferiori a un anno) senza ulteriori controlli da parte del NHS e di altri organismi, che potrebbero essere costretti probabilmente ad introdurre più carte di identità nazionali per l’intera popolazione. L’ultima volta che uno schema nazionale riguardante gli ID (documento di identificazione) è stato proposto e sconfitto (dalla protesta No2ID e dalla campagna anarchica Defy-ID nel 2005-9), furono utilizzate coi migranti (in particolare i richiedenti asilo) le carte biometriche e i dati biometrici che furono inseriti nel passaporto proprio in quel momento.

Inoltre, il passaggio ai registri elettronici nel NHS e nell’e-Gov significa che si è maggiormente in grado di tracciare alcuni dati individuali, anche se c’è stata una certa opposizione da parte dei lavoratori all’”ambiente ostile” che avrebbero contribuito a creare poiché sarebbero diventati una sorta di “polizia di frontiera”, ad es. con la protesta ‘Docs Not Cops’. (dottori e non poliziotti).

Opportunità

Da un lato, di positivo è che ci potrà essere l’opportunità di lottare per una paga migliore, se i lavoratori rimangono uniti. Nei nostri luoghi di lavoro e nelle organizzazioni politiche dobbiamo vigilare e capire come sostenerci a vicenda.

Le assemblee sui posti di lavoro sono un buon inizio, soprattutto affinché i lavoratori migranti non siano isolati. Se non possiamo fare molto sul processo della Brexit in quanto è tutto nelle mani dei politici, possiamo però prepararci alle sue conseguenze.

Questo includerebbe l’ essere pronti a difendere i compagni di lavoro e i compagni che potrebbero dover lasciare il Regno Unito se il test di residenza, ancora da definire, andasse male, portando avanti campagne anti-deportazione (gli anarchici che hanno precedenti esperienze con No Borders e solidarietà coi migranti possono in questa situazione dare un grosso contributo).

Dobbiamo anche tenere d’occhio ciò che avviene in altri paesi. Mentre i lavoratori hanno sperimentato una relativa libertà di movimento nello SEE, nei paesi che fanno parte dell’UE, dovrebbe essere più semplice evidenziare gli interessi di classe comuni, sebbene la sinistra britannica non abbia fatto molto di recente, concentrandosi sulla politica interna e sull’estrema destra. A livello pratico, l’UE ha probabilmente reso più facile la resistenza diretta: un’azione coordinata contro le frontiere e a sostegno dei migranti (all’interno e all’esterno dell’UE) e contro i vertici economici internazionali della classe politica. Gli anarchici sono stati in prima linea nelle questioni transnazionali e la nostra internazionale è rifiorita in questo periodo sulla questione dei Balcani, per esempio, quindi speriamo di avere delle basi da cui partire.

Anarchist Federation (of Britain)

[Trad. di Flavio Figliuolo]

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