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Asti: ancora in lotta contro fascismo, guerra e repressione
Aprile 25 @ 15:30 - 20:00
25 APRILE 2024: ANCORA IN LOTTA CONTRO FASCISMO, GUERRA E REPRESSIONE
Guerre e conflitti continuano a insanguinare vaste aree del pianeta, in una spirale che sembra non avere fine. Il rischio di una guerra, anche nucleare, su scala planetaria è oggi una possibilità reale.
L’attenzione mediatica sul conflitto russo-ucraino si è affievolita, ma i venti di guerra non hanno smesso di soffiare. La guerra a Est continua mentre perdurano nel continente africano conflitti continui per il controllo delle risorse. Parallelamente in Rojava si moltiplicano gli attacchi turchi e non danno segno alcuno di cessare le tensioni tra Cina e Stati Uniti per il controllo di Taiwan.
In questo scenario abbiamo assistito al riaccendersi della terribile guerra in Medio Oriente. Il massacro in atto a Gaza e in Cisgiordania trova le sue cause in una storia ben più lunga e ben più complessa del criminale attacco di Hamas del 7 ottobre scorso. Questa situazione è il frutto della pluridecennale politica coloniale e razzista dello stato di Israele, il quale pratica sistematicamente un feroce apartheid contro le popolazioni palestinesi.
In questo quadro di guerra globale l’Italia è schierata con tutto il suo arsenale: invia armi, moltiplica il numero di militari impiegati in ambito NATO, aumenta la spesa bellica sino a 104 milioni di euro al giorno. L’Italia è impegnata in ben 43 missioni militari all’estero, in buona parte in Africa, dove le truppe tricolori fanno la guerra ai migranti e difendono gli interessi di colossi come l’ENI. L’Italia vende armi a tutti i paesi in guerra, compresi Israele ed il Qatar, contribuendo direttamente a quella guerra atroce.
Al conflitto esterno se ne aggiunge un altro, quello sul fronte interno. Una guerra che il governo Meloni ha dichiarato contro i poveri e le fasce più marginalizzate della popolazione, contro i migranti e le ONG, contro le soggettività non conformi e la libertà delle donne, contro il movimento delle libere feste e delle occupazioni. Una guerra contro chi lotta nei CPR, nelle carceri, contro chi si batte per il diritto ad avere un tetto sopra la testa o contro chi fa un blocco stradale a favore del clima.
Questa politica sembra trarre diretta ispirazione da personaggi quali Orban, presidente di un paese, l’Ungheria, dove è possibile per i neonazisti sfilare in totale libertà, mentre le persone che scendono in strada per protestare marciscono in galera e sono portate in tribunale in catene. È il caso di Ilaria Salis, detenuta dal febbraio del 2023 nelle carceri ungheresi in condizioni disumane, con l’accusa di aver attaccato un gruppo di nazi, con altri compagni e compagne antifasciste. Accusa per cui rischia 24 anni di carcere.
A questo proposito è bene ricordare che l’Ungheria, esattamente come l’Italia, è una repubblica parlamentare. Orban ha saputo infatti attuare una svolta pesantemente autoritaria, rimanendo però all’interno dell’apparato democratico. Alla luce di tutto questo gli apprezzamenti reciproci tra Orban e Meloni andrebbero presi maggiormente sul serio.
Le carceri ungheresi non sono poi così diverse da quelle italiane, dove in soli quattro mesi, quest’anno, ci sono stati 31 suicidi, una persona ogni tre giorni.
Ma proprio in questi luoghi in cui si esercita il maggior livello di repressione e controllo continuano a generarsi momenti di resistenza e di lotta. Quotidianamente avvengono rivolte, scioperi della fame,
dell’aria e del carrello ma quasi nulla trapela fuori dalle mura di cinta. Sappiamo che lo stato vorrebbe isolare e silenziare questi momenti ed è per questo che è giusto continuare ad alimentare la solidarietà tra dentro e fuori, una solidarietà che si fa atto concreto, una solidarietà che fa paura a chi ci governa. Lo stesso avviene all’interno dei centri per i rimpatri chiamati Cpr, lager di stato, dove ogni dignità umana viene negata. La lotta contro questi lager è segnata dalle rivolte interne e dalla solidarietà attiva fuori.
Per tutte queste ragioni questo 25 aprile è più che mai necessario scendere in strada. Per dire no alla guerra e al militarismo. Per esprimere la nostra solidarietà a tutte le popolazioni martoriate dalle bombe, dal freddo, dalla mancanza di medicine, cibo, riparo. A fianco della gente che, in ogni angolo del pianeta, muore sotto le bombe sganciate da aerei costruiti nel nostro paese. Per dire no all’industria bellica, all’invio di armi per la guerra, alle missioni e alle spese militari all’estero che provocano morte e drenano soldi che andrebbero spesi per i trasporti, la sanità, la scuola.
Dobbiamo scendere in strada per fermare il fascismo che avanza. Per chiedere la libertà per gli arrestati di Budapest e per tutt* coloro che sono vittime della repressione di stato. Questo governo non si fermerà nella sua opera di guerra interna ed esterna. Non si fermerà se non di fronte alle lotte che sapremo mettere in campo.
Per un 25 aprile di resistenza: alla guerra, alla repressione, al fascismo, anche quando quest’ultimo si mette la maschera della democrazia.
L’attenzione mediatica sul conflitto russo-ucraino si è affievolita, ma i venti di guerra non hanno smesso di soffiare. La guerra a Est continua mentre perdurano nel continente africano conflitti continui per il controllo delle risorse. Parallelamente in Rojava si moltiplicano gli attacchi turchi e non danno segno alcuno di cessare le tensioni tra Cina e Stati Uniti per il controllo di Taiwan.
In questo scenario abbiamo assistito al riaccendersi della terribile guerra in Medio Oriente. Il massacro in atto a Gaza e in Cisgiordania trova le sue cause in una storia ben più lunga e ben più complessa del criminale attacco di Hamas del 7 ottobre scorso. Questa situazione è il frutto della pluridecennale politica coloniale e razzista dello stato di Israele, il quale pratica sistematicamente un feroce apartheid contro le popolazioni palestinesi.
In questo quadro di guerra globale l’Italia è schierata con tutto il suo arsenale: invia armi, moltiplica il numero di militari impiegati in ambito NATO, aumenta la spesa bellica sino a 104 milioni di euro al giorno. L’Italia è impegnata in ben 43 missioni militari all’estero, in buona parte in Africa, dove le truppe tricolori fanno la guerra ai migranti e difendono gli interessi di colossi come l’ENI. L’Italia vende armi a tutti i paesi in guerra, compresi Israele ed il Qatar, contribuendo direttamente a quella guerra atroce.
Al conflitto esterno se ne aggiunge un altro, quello sul fronte interno. Una guerra che il governo Meloni ha dichiarato contro i poveri e le fasce più marginalizzate della popolazione, contro i migranti e le ONG, contro le soggettività non conformi e la libertà delle donne, contro il movimento delle libere feste e delle occupazioni. Una guerra contro chi lotta nei CPR, nelle carceri, contro chi si batte per il diritto ad avere un tetto sopra la testa o contro chi fa un blocco stradale a favore del clima.
Questa politica sembra trarre diretta ispirazione da personaggi quali Orban, presidente di un paese, l’Ungheria, dove è possibile per i neonazisti sfilare in totale libertà, mentre le persone che scendono in strada per protestare marciscono in galera e sono portate in tribunale in catene. È il caso di Ilaria Salis, detenuta dal febbraio del 2023 nelle carceri ungheresi in condizioni disumane, con l’accusa di aver attaccato un gruppo di nazi, con altri compagni e compagne antifasciste. Accusa per cui rischia 24 anni di carcere.
A questo proposito è bene ricordare che l’Ungheria, esattamente come l’Italia, è una repubblica parlamentare. Orban ha saputo infatti attuare una svolta pesantemente autoritaria, rimanendo però all’interno dell’apparato democratico. Alla luce di tutto questo gli apprezzamenti reciproci tra Orban e Meloni andrebbero presi maggiormente sul serio.
Le carceri ungheresi non sono poi così diverse da quelle italiane, dove in soli quattro mesi, quest’anno, ci sono stati 31 suicidi, una persona ogni tre giorni.
Ma proprio in questi luoghi in cui si esercita il maggior livello di repressione e controllo continuano a generarsi momenti di resistenza e di lotta. Quotidianamente avvengono rivolte, scioperi della fame,
dell’aria e del carrello ma quasi nulla trapela fuori dalle mura di cinta. Sappiamo che lo stato vorrebbe isolare e silenziare questi momenti ed è per questo che è giusto continuare ad alimentare la solidarietà tra dentro e fuori, una solidarietà che si fa atto concreto, una solidarietà che fa paura a chi ci governa. Lo stesso avviene all’interno dei centri per i rimpatri chiamati Cpr, lager di stato, dove ogni dignità umana viene negata. La lotta contro questi lager è segnata dalle rivolte interne e dalla solidarietà attiva fuori.
Per tutte queste ragioni questo 25 aprile è più che mai necessario scendere in strada. Per dire no alla guerra e al militarismo. Per esprimere la nostra solidarietà a tutte le popolazioni martoriate dalle bombe, dal freddo, dalla mancanza di medicine, cibo, riparo. A fianco della gente che, in ogni angolo del pianeta, muore sotto le bombe sganciate da aerei costruiti nel nostro paese. Per dire no all’industria bellica, all’invio di armi per la guerra, alle missioni e alle spese militari all’estero che provocano morte e drenano soldi che andrebbero spesi per i trasporti, la sanità, la scuola.
Dobbiamo scendere in strada per fermare il fascismo che avanza. Per chiedere la libertà per gli arrestati di Budapest e per tutt* coloro che sono vittime della repressione di stato. Questo governo non si fermerà nella sua opera di guerra interna ed esterna. Non si fermerà se non di fronte alle lotte che sapremo mettere in campo.
Per un 25 aprile di resistenza: alla guerra, alla repressione, al fascismo, anche quando quest’ultimo si mette la maschera della democrazia.
Assemblea Antifa Asti